da Sofocle
con Daniele Nuccetelli
parole di Fabrizio Sinisi
consulenza clinica Laura Bonanni
progetto e regia Gianpiero Alighiero Borgia
produzione Teatro dei Borgia
Ciclo di Spettacoli Classici al teatro Olimpico – Sezione Off
Vicenza, Villa Lattes, 4, 5, 6, 7, 8 9 ottobre 2022
Un signore che non ha età canticchia entrando sulla scena. Apparentemente allegro, un uomo come tanti. Purtroppo, come tanti, affetto da una grave malattia che si scopre nel proseguo dello spettacolo, che come può cerca di combattere a suo modo, di fronteggiare, chiamandola sempre “lui”, il morbo. Le parole di Fabrizio Sinisi nel terzo progetto scenico del Teatro dei Borgia del Trasporto dei Miti ancora una volta sono un tremendo, sconquassante sfogo che arrivano dritte dritte al cuore, meglio ancora se qualcuno del pubblico ha vissuto in prima persona una tragedia in famiglia come quella. E’ il proporre agli altri, e continuamente a se stessi il dramma di una vita che scorre e ti abbandona, che affianca il lavoro sul Mito a una trama teatrale contemporanea e reale, uno spezzato metropolitano di come si vive una malattia neurodegenerativa, che fa mancare i propri pezzi di storia, di esistenza, e rende pian piano nulli. Nella tragedia di Sofocle rapportata ai giorni nostri il Teatro dei Borgia punta a impegno sociale e ricerca (con tanto di lavoro fatto dall’attore “sul campo” per lungo tempo, osservando in una struttura sanitaria i propri simili colpiti da un’importante, debilitante forma di demenza). Che naturalmente va a compromettere tutto, con dolore e rabbia, impotenza e allucinazioni. “Chi siete voi stranieri”? si chiede il protagonista rivolgendosi a un pubblico (fantomatico), che non riconosce, ma che essendo un ex attore trova la forza di immaginarsi? Filottete abbandonato sull’isola di Lemno è oggi quell’uomo, che vive in prima persona dolore e dolore, abbandono (da parte del figlio) e malattia, appunto. Ma sia da uno che dall’altra non si ritorna, e Lemno come la sala di una RSA è una terra sconfitta, come lo stesso uomo che le appartiene. Sono, purtroppo e talvolta, i conti che dobbiamo fare col destino, che si contrappongono a una vita spesso di eccessi, di rincorsa ad accumulare denaro, a non coltivare i rapporti umani, e di esempi ne abbiamo tutti molti davanti e intorno. Ecco dunque le analogie dei Miti che si incontrano e non può essere altrimenti, con quelle dell’uomo moderno. Un uomo che non vive la tragedia, ma è la tragedia stessa, come mi piace che affermi un luminare grecista, il professor Alberto Camerotto, dell’Università Ca’ Foscari. Abbandono e malattia, dunque, tabù ieri come oggi, discreti, silenziosi ma spezzanti il cuore di chi è coinvolto. Uno strazio infinito, sul quale si levano gli scudi del moderno Filottete, che si dota di un unico amico, muto, Bill, che poi è un pesce rosso. E che purtroppo vive le sue giornate immerso nel tormento di dolori, tremori, con la diffidenza verso l’esterno, il mondo che l’ha messo lì dentro. C’è anche stavolta, nelle produzioni dei Borgia, come nelle precedenti due (“Medea per strada” e “Eracle, l’invisibile”) un’ottima prosa di fondo, che riempie la scena grazie alla bravura decisamente consistente, piena, costruita da Daniele Nuccetelli che dà al suo personaggio assoluta credibilità, anzi, lo vive. L’inquilino “che ha dentro” lo combatte con tutte le sue forze anche se contro la decisione della natura poco si può fare, se non prendere o farsi assumere pasticche varie, per ridurre i disturbi, il male, la connessione allucinatoria che lo annienta ora dopo ora. Dandogli vere lacrime, reale disperazione dove le pause rappresentano il vero abbandono, quei momenti annientati che possiamo solo immaginare. Colpito periodicamente dai dolori, proprio come l’eroe sofocleo, sentendosi di preoccuparsi per il suo Bill che magari lo vede sofferente. La tensione è consistente, si taglia col coltello, e felicissima è stata la scelta di Giancarlo Marinelli di riportare la tragedia dei giorni nostri all’attenzione degli spettatori, quella del Teatro dei Borgia, appunto, dello splendido Daniele Nuccetelli, che è proprio bravissimo. Ne vedessimo spettacoli così in giro.
Francesco Bettin