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FAUST - regia Glauco Mauri

Faust Faust Regia Glauco Mauri

di Goethe
traduzione Dario Del Corno
con Glauco Mauri e Roberto Sturno
scene: Mauro Carosi
costumi: Odette Nicoletti
regia: Glauco Mauri
Roma, Teatro Quirino, dal 13 novembre al 9 dicembre 2007
Firenze, Teatro della Pergola, dal 1 al 10 febbraio 2008
Pavia, Teatro Fraschini, fino al 16 marzo 2008

Corriere della Sera, 14 marzo 2008
Corriere della Sera, 3 febbraio  2008
La Repubbica, 3 dicembre  2007
www.Sipario.it, 9 dicembre 2007
La Stampa, 18 novembre  2007
Il Messaggero, 17 novembre  2007
Grande e ironico Mauri nel «Faust» al Fraschini

Glauco Mauri, regista e autore della traduzione-adattamento con Dario Del Corno del «Faust» di Goethe, dà vita a uno spettacolo colorato, ironico e tragico, con estrosi abbandoni e semplici incanti, con gusto del gioco teatrale e amore e rispetto per la parola, nel quale gli attori sono «ammaliati e ammaliatori». La bella scena di Carosi è una macchina teatrale che asseconda il viaggio di Faust con botole e tappeti che scorrono, i costumi di Odette Nicoletti sono fantasiosi. Un atto è dedicato al Primo Faust: la scommessa con Mefistofele, la seduzione e la morte di Margherita e l' altro al Secondo Faust con la corte dell' Imperatore e l' invenzione della cartamoneta, la Grecia di Elena, Filemone e Bauci. Glauco Mauri e Roberto Sturno con felice scambio di ruoli sono a turno Faust e Mesfistofele. Mauri è uno splendido vecchio Mefistofele, non inquietante ma cinico e bonario, umano nella sua cattiveria, ed è un vecchio Faust disperato e sconfitto. Il bravissimo Roberto Sturno è un giovane Faust pieno di desiderio di vita, dall' umanità sofferta e un Mefistofele impertinente. Una buona compagnia in uno spettacolo che, per usare una metafora goethiana, sa essere simile a uno stagno dove accanto all' acqua limpida della poesia, c' è una certa dose di nutrimento «facile» per allietare gli esseri che lo frequentano.

Magda Poli

Con Goethe per «fermare l' attimo»

L' arte del palcoscenico è una miscela di improvvisazione fantastica e scrupolosa disciplina, di capriccio e serietà, di spontaneità e di artificio. Questo e altro ancora scopre il protagonista del romanzo di Goethe La vocazione teatrale di Wilhelm Meister, e con gli occhi di Wilhelm, il grande Glauco Mauri, regista e autore della traduzione-adattamento con Dario Del Corno, sembra aver costruito il suo Faust, in uno spettacolo colorato, ironico e tragico, con estrosi abbandoni e semplici incanti, con gusto del gioco teatrale e amore e rispetto per la parola, dove gli attori sono insieme «ammaliati e ammaliatori». Una riduzione della grandiosa opera di Goethe, la tragedia del divenire dell' Uomo per cercare un' unica possibilità di salvezza: fermare l' Eterno nell' Attimo. Un atto è dedicato al Primo Faust: la scommessa con Mefistofele, la seduzione e la morte di Margherita e l' altro al Secondo Faust con la corte dell' Imperatore e l' invenzione mefistofelica della cartamoneta, la Grecia di Elena, Filemone e Bauci. La bella scena di Mauro Carosi è una macchina teatrale che ben asseconda il viaggio di Faust con botole e tappeti che scorrono, i costumi di Odette Nicoletti sono colorati e fantasiosi. Glauco Mauri e Roberto Sturno con un felice scambio di ruoli sono a turno Faust e Mefistofele. Glauco Mauri è uno splendido vecchio Mefistofele, non inquietante ma cinico e bonario, umano nella sua cattiveria, ludicamente pericoloso ed è anche un vecchio Faust scontento, disperato e sconfitto. Il bravissimo Roberto Sturno è un giovane Faust pieno di desiderio di vita, dall' umanità sofferta e un Mefistofele impertinente. Una buona compagnia in uno spettacolo che, come scrive Goethe, deve essere simile ad uno stagno dove accanto all' acqua limpida, alla poesia, c' è una certa dose di nutrimento facile per allietare gli esseri che lo frequentano.

Magda Poli

Mauri, diavolo vegliardo

Glauco Mauri, grande ed etico maestro della scena, fa pensare a Goethe decano che radunò gli attori del Faust per dare voce, da autore a tutti i ruoli, ora che lui, attore-regista-adattatore di oggi raccoglie in due ore la massima opera di teatro, un Faust tradotto da Del Corno. Plasmando un decimo dell'originale doppia tragedia (lungi dalla maratona di Strehler, o di Stein), evita le metafore d'una crisi della civiltà e costruisce un gioco speculare d'effetto scambiando la propria parte di Faust maturo con un sé giovane impersonato dall'inquieto Roberto Sturno (che a inizio e fine è un Mefistofele entertainer, con variante centrale d'un diavolo vegliardo reso da Mauri). Nulla togliendo alla bella assertività dei duellanti, manca un'angoscia forte. Tra un sepolcro-portale, amene clownerie di corte, raffinate macchinerie per le visioni di Paride/Elena o Filemone/Bauci, la parabola con una diafana Margherita (Cristina Arnone) e poi la vanità della scommessa con conciliazione finale "umanistica", è, con levità musicale di Mazzocchetti, da racconto di Shakespeare davanti al caminetto.

Rodolfo Di Giammarco

Ecco due attori che hanno venduto l'anima al teatro: Glauco Mauri e Roberto Sturno. E l'uno ha venduto l'anima all'altro, formando una coppia in osmosi perfetta che da anni si vende al pubblico con spettacoli sempre di livello culturale, d'impegno civile, da fare invidia al più sano, ammesso che ci siano, dei teatri stabili pubblici.

Da fare invidia, dicevamo; e sì, perché, essendo i due la "ditta" di una compagnia privata, potevano dedicarsi anche a un teatro più appetibile, commercialmente parlando. Invece no, da anni ci propongono testi stanati dagli anfratti dell'oblio, o prelevati dalla polvere degli scaffali. Basti pensare a testi quali "L'idiota"di Dostoevskij, "Variazioni enigmatiche" di Schimitt, "Il Volpone "di Jonson ecc.

Bene, questa coppia, nel bene e nel male, condivide con passione e testardaggine questa avventura del teatro, fatta di sacrifici, sofferenze, malumori, riconoscimenti e disconoscimenti; ma anche tanti applausi, perché, se sopravvive nel tempo, significa che ci sono stati e che ci saranno ancora, tanti applausi.

Stavolta, chi meglio di loro poteva confrontarsi con un testo "incommensurabile" come "Faust" che, per metterlo in scena, alcuni, come Peter Stein, hanno dovuto spalmarlo in ventinove rappresentazioni, o come Strehler che si è accontentato di nove serate, mentre altri in misure sempre diverse, ma toste.

Glauco Mauri, con la complicità di un esperto traduttore come Dario Del Corno, in qualità di principale interprete, di regista, e anche adattore, senza guardare in faccia il rischio che poteva incontrare, ha preso il diavolo per le corna e si è cucito uno spettacolo contenuto in tre ore, compreso l'intervallo per fumarsi un sigaretta. Alcuni potranno storcere anche il naso, ma l'operazione anche se esposta a critiche, ne valeva la pena, per questa inossidabile coppia di attori. E alla faccia di tutti, con energia, impegno economico, cioè, tradotto, senza badare a spese, con rigore estetico, professionalità, Mauri e Sturno hanno consegnato alla scena italiana uno spettacolo da vedere, comprendere, valutare, dibattere. E' vero che ci sono dei passaggi tra scene e scene che proprio non hanno la "consecuzio" chiara, ma che vuol dire? E' un buon motivo, per chi si vuole documentare meglio, di aprire il voluminoso tomo che quel brigante di Goethe ci ha messo una vita per terminarlo e consegnarlo ai posteri.

Mauri e compagni in tre ore lo hanno sintetizzato, come si usava una volta con quei volumetti orditi per affronatre gli interrogatori a scuola, battezzati "bignamini". Certe sintesi ci vogliono, diamine.

Il sapere si può concentrare anche in pillole, diamine.

Questo Faust che Mauri ha sicuramente assaporato durante la sua lunga carriera, che se l'è portato dentro, l'ha poi partorito, e si sente che è il frutto di un grande innamoramento per quelle idee creatrici che ha immaginato e realizzato intorno a quel suo "palcoscenico" da far stare sopra alle assi di un altro palcoscenico: una macchina che merita di essere descritta perché è quella che dà ritmo e scansione alla drammaturgia delle sequenze scelte da Mauri-Del Corno. Una struttura che comprende una base girevole su cui c'è un altro elemento con possibilità di essere mosso in verticale e in orizzontale dando luogo a volte ad un portale, a volte ad un coperchio di un grande catafalco su cui recitarci, ecc. Con una tal mecchina teatrale, certamente ricca di stantuffi, motorini, ingranaggi o cinghie di trasmissione eccetera, c'è da sperare che nel corso delle repliche questo marchingegno non faccia cilecca, perché, altrimenti, regista e attori dovranno agire all'impronta per nuove soluzioni. Facciamo i dovuti scongiuri, Ma se anche accadesse niente di male, ragazzi, perché la squadra di attori che gli impresari Mauri-Sturno hanno messo in campo è poliederica, eclettica, trasformista, e collaudata a qualsiasi tipo di cambiamento.

Sapendo che il testo è un classico con dimensioni poetiche è chiaro che le immagini che Mauri, d'intesa con lo scenografo Mauro Carosi ha concepito tendono a concetrare su se stesse molta dell'attenzione, distogliendoci a volte dalla tessitura delle parole. Lo spettacolo, sia per i colori scelti, per i materiali scenografici (belli), sia per i costumi di Odette Nicoletti (belli), sia per le luci di Gianni Grasso è avvolto in un' atmosfera un po' cupetta, che induce a momenti di tedio, ma, per carità, sono solo piccoli frammenti che passano veloci.

Le idee non sono mancate, anche troppe, e si sente che molta energia si è concentrata sul quel macchinario, a discapito di una maggiore attenzione alla recitazione che, averne, è buona, ma, standoci più sopra, avrebbe maggiormente evidenziato le capacità dei giocatori.

Glauco Mauri, sia nella parte di Faust, sia in quella di Mefistofele, ci consegna una recitazione tutta sua, sempre graffiante, pungente, ricca di intelligente ironia, venata da una patina di strittezza, melanconia (eccola che ritorna).

Sturno disegna un Faust giovane e un diabolico Diavolo (Mefisto sarà contento di questo accostamento) dai toni crepuscolari e birichini.

Gli altri, da Mino Manni, che si dipana dentro i personaggi di Valentino, Imperatore, Cantastorie regge degnamente la responsabilità assegnatagli, così dicasi per Marco Bianchi, nei ruoli di Gentiluomo, Strega, Linceo, e dicasi pure per Simone Pieroni, nei panni di Maresciallo, Wagner, e infine per Alessandro Scavone, nei ruoli di Euforione, Tesoriere, Homunculus. Anche Francantonio ( Cancelliere, Filemone) e Alessandro Menin (Paride) facevano parte della squadra, che come si è detto, ha ben giocato.

La Margherita di Cristina Arnone, ci ha preso, ma con le replica troverà ritmi e colori più appetitosi.

Incisiva la Dora Romano nelle vesti di Marta, poi Bauci e poi Angoscia. Le musiche di Germano Mazzocchetti, ben studiate, avvalgevano in modo encomiabile il tutto.

Concludendo: uno spettacolo da non perdere, in cui il messaggio che sta tanto a cuore a Mauri-Sturno è utile e importante: indagare nell'animo, o meglio, nell'universo dell'uomo e nelle sue problematiche esistenziali.

Alla replicha a cui abbiamo assistito al Teatro Quirino di Roma, con inizio alle ore 19, c'erano anche molti giovani plaudenti. Buon segno. Finché stanno a teatro questi giovani evitano di incontrare quella carogna di Mefistofele che non perde occasione per insidiarsi nei gangli dell'animo umano.

Mario Mattia Giorgetti

l Faust di Mauri ha perso l'acuto

La formula adottata da Glauco Mauri per ridurre a spettacolo teatrale Delitto e castigo, la stagione scorsa, era originale e sorprendentemente fruttuosa. Invece di sintetizzare il romanzo, come di solito si fa, il nostro grande attore, affiancato da un Roberto Sturno alla sua altezza, ne proponeva solo qualche brano, ma quasi integralmente; e ne emergeva un conflitto dialettico, una battaglia di idee densa, articolata, nonché, una volta entrati nel gioco, irresistibilmente affascinante. Applicato ora al Faust, anzi ai Faust, di Goethe, lo stesso metodo risulta però meno convincente. Perché? Be', innanzitutto malgrado la mole il romanzo di Dostoevski ha una trama lineare, facilmente riassumibile in due parole, e che quindi si può dare per scontata o quasi; mentre Faust è uno sconfinato accumulo di avventure, riflessioni, apologhi, per un totale di ventunmila versi (recitandoli a mille per ogni 60', l'esecuzione integrale di Peter Stein durava appunto 21 ore); sceglierne solo tre o quattro significa lasciare lacune enormi. In secondo luogo, il Faust è poesia e poesia sublime, mentre Dostoevski scriveva prosa, e prosa, ci dicono i russi, di scarso rilievo stilistico. In traduzione dunque Dostoevski perde poco, e Goethe, almeno secondo alcuni, forse addirittura quasi tutto, anche se qui Dario Del Corno consegna una benvenuta limpidità. Avviene così che mentre per Delitto e castigo non avevamo bisogno di seguire la storia, tanto la sapevamo, e potevamo quindi concentrarci sulla superba battaglia di concetti, qui nella campionatura offerta la storia risulta poco appassionante, e i discorsi a volte un po' nebulosi.

Non che la qualità del tutto, intendiamoci, sia meno che eccellente. Ancora una volta Mauri regista opta per una scenografia semplice ma colorita, commissionando a Mauro Carosi strutture geometriche praticabili contro un fondale vuoto, e a Odette Nicoletti costumi allegri, estrosi, vivaci. Le due parti dello spettacolo (durata totale, tre ore) sono dedicate rispettivamente al primo e al secondo Faust. La prima narra il noto patto col diavolo, con Faust vecchio e Mefistofele giovane ciascuno dei quali si cala nel fisico dell'altro: Mauri da venerando sapiente diventa uno spiritoso demonio agé, Sturno da scattante Mefisto, un Faust rinverdito, entrambi conservando tuttavia chiome di smagliante candore. Qui campeggiano soprattutto la seduzione e poi la morte di Margherita (una composta Cristina Arnone).

Questa zona della serata risulta più convenzionale, quasi una illustrazione senza acuti della porzione meglio nota e più spesso riproposta dell'immane capolavoro. Assai più scintillante, per fortuna, il resto, col Secondo Faust rappresentato da due episodi, quello della corte dell'Imperatore con Mefistofele che inventa le banconote, e quello dei vecchietti Filemone e Bauci crudelmente sacrificati a un progetto col quale Faust si illude di beneficare l'umanità. Con felice trovata registica, i dignitari alla corte dell'imperatore sono attori gustosamente truccati da burattini ciascuno emergente da un suo teatrino mobile. Anche altri momenti dello spettacolo convincono, e niente è mai meno che squisitamente curato; ma è in questa scena corale che il pensiero profondo che sta dietro a ogni momento della concezione si sposa con un brio davanti al quale lo spettatore si arrende.

Masolino d'Amico

"Faust". Fermati,

attimo, sei così bello

Fu concepito da un Goethe anziano, il Faust, e pubblicato per intero dopo la sua morte,nel 1832. Il poeta tedesco vi aveva lavorato attraverso il tempo e fino all'ultimo istante, considerando opera più adatta ai posteri che ai contemporanei. E forse proprio in questa chiave avveniristica, in teatro quanto mai opportuna e gratificante, Glauco Mauri, regista e interprete, e Roberto Sturno offrono da qualche sera al Quirino (ultima replica romana l'8 dicembre) la loro lettura di un capolavoro assoluto.

Sul testo hanno lavorato, adattando e traducendo, lo stesso Mauri e Dario Del Corno, mentre la confezione scenografica, sontuosa nell'apparente nitore, e i magnifici costumi, sono, rispettivamente, di Mauro Carosi e Odette Nicoletti. L'allestimento, nel suo complesso, è degno di un teatro pubblico: momenti di macchineria barocca si alternano con apparizioni fantasmagoriche, piene di fumi e colori; illusionismi alla Brachetti danno il cambio a orizzonti puliti, luminosi, tabulae rasae sulle quali far comparire, dalla notte dei tempi, l'ologramma di Elena di Troia e Paride, che la rapì al talamo legittimo; di Filemone e Bauci uniti fino alla vecchiezza e avvolti in un solo drappo bianco; di Mephisto che assiste impotente, stretto nell'abito di velluto viola, rosse di raso lucido le mani artigliate, alla salvazione dell'anima di Faust da parte delle schiere angeliche. E che meraviglia, che aperture del cervello e della fantasia, all'inizio e all'epilogo, l'irruzione di due figure lussuosamente circensi quali la Strega e l'Angoscia; oppure, come incipit della seconda parte dello spettacolo, l'artificioso mondo dell'Imperatore e dei suoi ministri, definiti da travestimenti folli, pagliacceschi, caleidoscopici, quasi escano dal Mago di Oz o da Alice nel Paese delle Meraviglie. E qui che Mauri-Mephisto (Sturno gli cede il ruolo quando assume quello di Faust, ringiovanito dal potere del Diavolo) indossa un ipertrifico costume da clown, color verde mela, in cui si concede cose da antologia. Vedi, per citarne una, l'accavallare un piede sull'altro alla maniera del più tenero Charlot.

Bravissimi, i due protagonisti. Ad entrambi è concesso il brivido d'essere il Dottore che vende l'anima al demonio per amore di conoscenza e sete di potere. Entrambi rimandano in platea, moltiplicata, la tangibile emozione di questo doppio percorso. Mauri, potente e carismatico, si concede di "citare" Prospero, Lear, Don Giovanni, tutti i titani del Sapere; Sturno giganteggia in ambiguità e ironia, dolore e passioni, ombreggiando l'evento del suo "terribile" sguardo chiaro.

Da non perdere.

Rita Sala

Ultima modifica il Venerdì, 30 Agosto 2013 11:01

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