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GUARDIANO (IL) - regia Roberto Bonaventura

Francesco Natoli e Antonio Alveario in "Il guardiano",  regia Roberto Bonaventura Francesco Natoli e Antonio Alveario in "Il guardiano", regia Roberto Bonaventura

di Harold Pinter
con Antonio Alveario, Alessio Bonaffini, Francesco Natoli
scenografia Giovanni La Fauci, Simone Di Blasi
costumi Monia Alfieri
assistente alla regia Adriana Mangano, Martina Morabito
regia e ideazione luci Roberto Bonaventura
organizzazione Marilisa Busà
produzione Castello di Sancio Panza
Sala Laudamo di Messina dal 4 al 9 aprile 2017

www.Sipario.it, 5 aprile 2017

Roberto Bonaventura fa iniziare Il guardiano di Pinter con una canzone di Battiato in cui si dice che non servono tranquillanti e terapie [...] eccitanti e ideologie perché ci vuole Un'altra vita, che è il titolo della canzone, cantata in play-back da Alessio Bonaffini che nella pièce veste i panni di Mick: un tipetto, vedremo in seguito, nient'affatto tranquillo, piuttosto anfetaminico, una sorta di velocissimo uomo ragno, che scomparirà come un fulmine quando giungono dal fondo della Sala Laudamo di Messina un tale di nome Davis (Antonio Alveario) e Aston (Francesco Natoli) fratello di Mick, ma Davis ancora non lo sa. I due arrivano sul palco agghindato con molti oggetti bric-a-brac, compreso un Budda che non si romperà mai perché gonfiabile, in quella che dovrebbe essere la stanza di Pinter, marchio di fabbrica del suo teatro iniziato nel 1957 proprio con The Room. Uso il condizionale perché quello spazio non sembra una stanza, ma un cumulo di oggetti posati sul palco lì accanto a fondali e quinte nere (scena firmata da Giovanni La Fauci e Simone Di Blasi) visibile doviziosamente dalle luci dello stesso Bonaventura regista, senza che il Teatro di Messina, che mi pare abbia dato la sua collaborazione, si sia posto il problema di realizzare un'adeguata scenografia per godere al meglio dell'interessante spettacolo. Etichettato notoriamente come "Teatro dell'assurdo", per il modo come siano gli avvenimenti a modellare i personaggi e non viceversa e in cui convivono tragedia e farsa. Il plot è semplice. Davis dopo una rissa in un pub, dove vi lavora, è raccolto da Aston che lo ospita nella sua casa. Alveario con quel vecchio impermeabile conferisce a Davis un carattere da clochard, permaloso, prepotente, pronto a uscir fuori il coltello per qualunque quisquilia, mentre invece l'Aston di Natoli, chiuso nel suo abito scuro con gilet e cravatta (i costumi sono di Monia Alfieri) ha un'aria infantile, remissiva, anche lui un po' emarginato per essere stato ricoverato in una clinica psichiatrica e curato con l'elettroshock. Davis pensa d'aver trovato una buona sistemazione, forse una casa tutta per sé, ma dovrà fare i conti con Mick che sbucando fuori come un bolide gli dice che quella è la sua casa e che dovrà sloggiare. Intanto spicca in alto sul proscenio un secchio che raccoglie gocce d'acque che talvolta vengono giù. Ma è solo un diversivo per dire come quella casa sia da ristrutturare. Argomento di cui dovrebbe occuparsi Mick non si sa quando, certamente con i quattrini che guadagna facendo il costruttore. La sensazione che s'avverte sempre nei lavori di Pinter è che da un momento all'altro debba succedere un evento: un temporale, qualcuno o qualcosa che all'improvviso entri dentro la stanza e che scombussoli il normale tran-tran quotidiano di chi vi abita, raffigurato qui da Mick che arriva in scena quando meno te l'aspetti. Non è un caso che quello di Pinter è stato anche definito il "Teatro della minaccia". Nei momenti più sereni, sia Aston che Mick offrono a Davis il lavoro di "custode", altro termine del titolo inglese The caretaker (1959), noto ormai come Il guardiano, che pulisca scale e pianerottolo, sorvegli l'ingresso e lucidi i campanelli, dalla cui pièce, con la sceneggiatura dello stesso Pinter, Clive Donner nel 1964 ha tratto l'omonimo film con Donald Pleasance (Davis), Alan Bates (Mick), Robert Shaw (Aston) protagonisti. Il tempo passa, Davis ha ritrovato la sua-borsa-non-sua, dentro vi ha trovato una giacca color arancio che si bea di portare fino alla fine, cercando disperatamente un paio di scarpe che gli stiano finalmente comode al posto dei sandali che indossa e poter recuperare in altro luogo i suoi documenti; Aston parla dei suoi tristi trascorsi e Mick vorrebbe fare di quella catapecchia una villa prestigiosa. In realtà non succede nulla. Ognuno cerca di tirare acqua al proprio mulino cercando di accattivarsi le simpatie dell'altro, sino a quando Davis non viene licenziato, oppure no, per ritornare tutti e tre al loro isolamento iniziale. Dei tre atti originari Roberto Bonaventura con opportuni tagli ne ha ricavato un tempo di 75 minuti, assumendo lo spettacolo dei connotati piacevoli e scorrevoli, determinando il successo del Castello di Sancho Panza che ha prodotto lo spettacolo.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Venerdì, 07 Aprile 2017 08:43

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