di Eduardo De Filippo
Regia di Gabriele Russo
con Natalino Balasso - Calogero Di Spelta; Michele Di Mauro - Otto Marvuglia
e con: Veronica D’Elia - Amelia Recchia; Gennaro Di Biase - Mariano D'Albino e Brigadiere di P.S.;
Christian di Domenico - Arturo Recchia e Gregorio Di Spelta; Maria Laila Fernandez - Signora Marino e Rosa Di Spelta;
Alessio Piazza - Gervasio e Oreste Intrugli (genero Di Spelta); Manuel Severino - Cameriere dell’albergo Metropole e Gennaro Fucecchia;
Sabrina Scuccimarra - Zaira (moglie di Marvuglia); Alice Spisa - Marta Di Spelta e Roberto Magliano; Anna Rita Vitolo - Signora Zampa e Matilde (madre Di Spelta)
Scene Roberto Crea; luci Pasquale Mari; costumi Giuseppe Avallone
musiche e progetto sonoro Antonio Della Ragione
Produzione Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini, Teatro Biondo Palermo, Emilia Romagna Teatro ERT/ Teatro Nazionale
Al teatro Ivo Chiesa di Genova dal 21 al 23 febbraio 2025
La grande magia non è tanto e soltanto una 'commedia' di Eduardo, io credo una delle più complesse e sincere sue 'farse tragiche' e forse per questo tra le più difficili da rappresentare e meno rappresentate, è in fondo Eduardo medesimo, al centro della sua vita, alle prese con la percezione dell'inconsistenza (tra magia, illusione e influenza pirandelliana) del Teatro e insieme della sua illuminante sincerità, della sua irriducibile capacità di raccontare la realtà degli uomini e delle donne (e della loro società) proprio grazie alla sua inconsistenza immaginifica, che intercetta il sentimento nel vuoto dei suoi abbaglianti giochi di prestidigitazione. È proprio grazie a questo sovrapporsi di illusionistiche magie che però alla fine costruiamo una identità più vera di quella che la Società ci impone, creiamo cioè una maschera volontaria e 'consapevole' dalla quale, come l'Enrico IV di Pirandello, non possiamo o vogliamo più sottrarci se intendiamo 'realmente' sottrarci alla falsità dei ruoli e delle maschere che il caso ci impone. È come se il Teatro assumesse in Eduardo la falsità e l'ipocrisia della vita sociale e convenzionale per magicamente trasformarla nella più intima e irriducibile percezione di sé, perduta in quella stessa ipocrisia convenzionalmente accettata, in una lucida e razionale percezione scissa dell'irrazionale e dell'assurdo delle nostre vite. Ma è una vittoria, e qui sta il tragico dell'intera commedia, anch'essa illusoria, senza alcuna gioia in cui la battuta irresistibile ed il riso della farsa muta inevitabilmente nel ghigno della pazzia e della sofferenza, come se tra Teatro e Vita non vi fosse alcuna possibile 'mediazione' o alcuna alternativa al 'gioco delle parti' continuamente 'giocato' e continuamente 'smascherato' e rigettato. Infatti la commedia, questa commedia non finisce e la sua risposta rimane ermeticamente chiusa in una scatola, come la moglie “da chissà da quanto tempo perduta” da un infelice marito nel quale la gelosia è solo il più evidente sintomo di una ben più profonda nevrosi. È una scrittura, questa 'magica' di Eduardo, che qui ha se vogliamo le sue lontane e ribaltate radici nel Sik Sik, l'artefice magico del 1929 (ricordiamo la esilarante ripresa fatta da Carlo Cecchi), capace di trasformare il grottesco in tragico, riempiendo il vuoto che ogni barocchismo letterario cerca continuamente di celare ed illuminandolo con le luci del cuore che trasformano l'illusione in immaginazione. L'una, Sik Sik l'artefice magico, non a caso parte delle cosiddette “Cantate dei giorni pari”, l'altra invece, questa Grande Magia del 1948, parte delle cosiddette “Cantate dei giorni dispari”, dall'ottimismo del sentimento al pessimismo della ragione. Certamente il suo teatro è da subito fuori, liberandosi da ogni limite scarpettiano, da qualsiasi dialettismo, ma qui in particolare la sua lingua drammaturgica si libera da ogni vincolo di tempo e luogo per inoltrarsi felicemente nell'umano e nell'universale, con la mente che padroneggia l'eruttare palpitante del cuore. È dunque una commedia questa che 'è' tanto profondamente Eduardo da porre chi la riprende di fronte al dilemma se cercare di farla alla Eduardo, missione quasi impossibile senza la singolarità drammatica di De Filippo, oppure di prescinderne, utilizzando del testo proprio quegli spunti di indeffettibile contemporaneità che contiene. Credo che la messa in scena di Gabriele Russo non risolva integralmente il dilemma, pur mescolando con una certa abilità i linguaggi drammatici e anche recitativi, tra rivalutazione /trasfigurazione delle maschere o macchiette (in cui necessariamente precipita il personaggio del 'mago' Otto Marvuglia) e loro sottrazione attraverso evidenti suggestioni pirandelliane che man mano emergono nel marito tradito Calogero Di Spelta. In particolare, al Mago, l'interpretazione del pur bravo Michele di Mauro sembra sottrarre nella reiterazione degli elementi comici quella umanità che Eduardo riconosceva, anche recitandoli, ai suoi amati/odiati personaggi, mantenendo un tono sempre troppo estroverso e gridato, quasi da baraccone, che priva il personaggio di quella intima componente di riflessione che lo rende una maschera profondamente umana. Nel contempo Natalino Balasso sembra veramente a proprio agio nei panni del marito solamente quando questo si chiude nella sua pazzia lucida e consapevole. Ne nasce un'impressione di incompiuto, che è forse già nel testo drammaturgico, ma che fatica a trovare una sua risoluzione piena nel complesso della messa in scena. Al riguardo sono apparse un po' fredde e contraddittorie le molto pirandelliane scenografie 'geometriche' di Lorenzo Crea, molto più adatte ad una Minnie bontempelliana, fino a trasformare il baraccone del mago quasi in una moderna sala ospedaliera. Buona la prestazione del cast, con una Sabrina Scuccimarra apprezzabile, e come sempre attenta alle radici ultime del suo personaggio, nell'ambiguo, non facile e non secondario ruolo della moglie del Mago. Uno spettacolo dunque insieme fedele ma anche latamente fedifrago, una ripresa meritata di un testo stratificato e complesso ma che rimane spesso alla sua superficie comica, forse per il desiderio di troppo semplificare ciò che è complesso e anche perturbante per renderlo più 'digeribile'. Al teatro Ivo Chiesa di Genova, ospite del Teatro Nazionale, dal 21 al 23 febbraio, tappa della lunga tournée italiana. Numericamente consistente la risposta del pubblico genovese che ha riempito la sala. Maria Dolores Pesce