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GRAMMA DELLA FANTA (LA) - regia Matteo Cecchini

Giulia Aiazzi  in "La gramma della fanta", regia Matteo Cecchini. Foto Ilaria  Costanzo Giulia Aiazzi in "La gramma della fanta", regia Matteo Cecchini. Foto Ilaria Costanzo

Liberamente ispirato a La Grammatica della Fantasia di Gianni Rodari
Testo Aiazzi/Cecchini/Tempestini
Con Giulia Aiazzi e Lorenzo Tempestini
Regia Matteo Cecchini
Una produzione Prospettiva Capaneo
Ex chiesino di San Giovanni, Prato, 2 e 3 marzo 2016

www.Sipario.it, 3 marzo 2016

PRATO - Il teatro è magia, sogno, evasione, libero pensiero. E rivendica con forza il suo ruolo, in una società contemporanea massificata, standardizzata dalla sovraesposizione a messaggi pubblicitari di ogni genere, che in nome di un apolitica guidata dall'economia, cercano di schiacciare il potere dell'individuo di ricorrere al proprio intelletto e affrancarsi da questo aberrante dominio mediatico.
A questo proposito, la giovane compagnia pratese Prospettiva Capaneo, porta sul palco uno dei testi più interessanti di Gianni Rodari, dimostrando una non comune attenzione per un autore considerato "per l'infanzia", ma in realtà capace di esplorare importanti aspetti dell'esistenza. La Gramma della Fanta è l'originale trasposizione teatrale della Grammatica della Fantasia, che il regista Matteo Cecchini opera attraverso la vicenda di una ragazza adulta (Giulia Aiazzi) e del suo compagno (Lorenzo Tempestini), una coppia alle prese con la maternità, l'educazione del figlio, e la scuola, intesa come istituzione; il risultato, è uno spettacolo in bilico fra commedia amara, teatro dell'assurdo, teatro canzone, che sprigiona tutta la rabbia e la frustrazione dell'esistenza contemporanea, con i suoi ritmi alienanti, sfiancanti, assurdi, che riducono l'individuo a perdere contatto con sé stesso. Immaginando una maternità e una vita di famiglia per la coppia in questione, la regia di Cecchini sviluppa, anche attraverso una misurata satira politica, un'ironia amara contro la quotidianità che schiaccia la capacità, e la voglia, d'immaginare un futuro diverso, al di fuori degli schemi precostituiti dalle categorie di famiglia, scuola, lavoro.
Quello che a prima vista può sembrare un gioco per bambini, è in realtà una profonda disamina delle tecniche d'invenzione e della loro importanza nel processo di crescita e maturazione dell'essere umano, la fantasia essendo un mezzo per dar sfogo alla parte più nobile libero arbitrio. Un'arma potentissima, che ha saputo scavalcare i peggiori confini: ce ne danno testimonianza Giovanni Guareschi durante la prigionia a Wietzendorf, e Dostoveskij nel gulag siberiano. È con la fantasia che si costruisce un mondi interiore capace di renderci individui liberi, autonomamente pensanti, in grado di contrastare i modelli preconfezionati che ci propone ogni giorno la televisione, veri e propri assassini del pensiero.
Lo spettacolo, così come l'opera di Rodari, è vicino alla Patafisica di Jarry, a quella "scienza delle soluzioni immaginarie che supera la realtà, opponendone un'altra altrettanto plausibile. Cecchini, impostando una regia a tratti didascalica, sviscera le regole di Gianni Rodari che vanno alla ricerca delle eccezioni jarryane, per rivendicare all'immaginazione lo spazio che deve avere nella vita di ciascuno, rompendo schemi precostituiti, e avvicinandosi a una visione entropica del mondo, che apra le porte a una realtà superiore, una sorta di surrealismo. La si può anche considerare una sorta di rivoluzione intellettuale, di rifiuto di concetti imposti, in favore di una liberazione della capacità d'immaginare. Nelle note di copertina della prima edizione del 1973, Rodari scrisse come fosse suo scopo il "ricercare le "costanti" dei meccanismi fantastici, le leggi non ancora approfondite dell'invenzione, per renderne l'uso accessibile a tutti". La parola acquista un valore particolare, essendo il fondamento di una realtà che "non esiste" da un punto di vista sensibile, bensì esiste al modo platonico di "idea". Ed è l'idea il fondamento del pensiero, ciò che distingue, o dovrebbe distinguere, l'uomo dagli altri animali.
Lo spettacolo sviluppa un linguaggio a tratti scatologico, vicino a quello dell'Ubu di Jarry (del quale riecheggia più volte l'esuberante incipit "Merdre!"), per accompagnare una vicenda a suo modo tragicamente contemporanea, che va incontro a un'amara delusione. Nel suo allestimento, Matteo Cecchini compie un'attenta analisi delle possibilità offerte dalle teorie di Rodari, mettendole alla prova "sul campo" del palcoscenico, e riflettendo sulla natura dell'individuo, la cui capacità d'immaginare, e quindi di essere libero, negli ultimi decenni si è drasticamente ridotta. Giulia Aiazzi, protagonista principale, regala al pubblico un'interpretazione energica, vibrante, arrabbiata, una giovane donna alle prese con la difficoltà di conciliare la vita familiare con la vita professionale, ben spalleggiata da un bravo Lorenzo Tempestini nel doppio ruolo del compagno e del figlio, di poche parole ma dalla convincente espressività.
L'amarezza che risale dal fondo, costringerà la coppia a rinunciare ai propri sogni, e lo spettacolo è da intendersi appunto come una critica a un sistema sociale, e scolastico, massificato, che ha allontanato l'individuo dalla dimensione dell'immaginazione, quando invece c'è bisogno d'inventare un nuovo mondo, per trasferire su dimensioni più accettabili gli orrori di cui straripano il Novecento e il Duemila, per rompere il muro di una quotidianità alienante che fa dell'individuo una macchina e non un essere libero.

Niccolò Lucarelli

Ultima modifica il Venerdì, 04 Marzo 2016 13:17

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