(guariscimi amore dal male d’amore)
scritto e diretto da Fabrizio Lopresti
con Fiorenza Pieri e con la partecipazione di Fabrizio Lopresti nel ruolo di Ulisse
abito di Penelope dello stilista Pierangelo Masciadri
produzione Superba produzioni
Prima Nazionale
Grotte di Borgio Verezzi, 28 giugno 2025
Si conclude, la II Rassegna teatrale In & Out, ideata da Maximilian Nisi, con lo spettacolo, in prima nazionale, Penelope, a conclusione di un ciclo fortunato e coinvolgente dedicato a cinque icone femminili. Dopo Artemisia Gentileschi, Camille Claudel, Clitennestra e Lady Diana sabato sera è stata la volta di un’altra protagonista del mito greco, Penelope. Fabrizio Lopresti, come ci ha amabilmente raccontato nel corso di un’intervista al termine dello spettacolo, rifletteva da tempo attorno al personaggio di Penelope. Alla fine ne è nato questo spettacolo che riprende le immagini della narrazione omerica, ma le rivede dalla prospettiva femminile della moglie di Ulisse. La storia dell’assedio troiano assume pertanto un sapore completamente differente: non la battaglia, la conquista, l’onore e la gloria sul campo, ma quello che Omero ci racconta tra le righe e che solo una visione in controluce può mettere in scena: il rovescio della medaglia della guerra, l’abbandono, il sangue versato inutilmente, la devastazione delle città e dei sentimenti. E tutto ciò lo si comprende meglio, lo si percepisce con maggior intensità e profondità se a viverlo e a raccontarlo è una donna. Tra i personaggi dell’Odissea, Penelope raramente entra in comunicazione con gli dèi e, più ancora di Ulisse, deve attingere alle proprie risorse personali per affrontare le difficoltà che la vita le pone dinanzi e, tuttavia, ella, con eccezionale forza interiore, saprà resistere e vincere i colpi della sorte. Quel personaggio che Omero ci presenta così umano, nello spettacolo ideato e scritto da Lopresti, assume ancor di più e non soltanto i connotati di una donna vera, attuale, ma anche quelli dell’eterno femminino: di colei che assiste alla partenza del proprio uomo per una guerra lontana, intuendo fin da subito le bugie che gli uomini raccontano e si raccontano per mascherare l’ennesimo inutile conflitto. Dietro ad una guerra ci sono mille menzogne: sui tempi, sulle ragioni, sui trucchi, sempre disattesi, per non partire e Penelope sembra sapere benissimo che tutto ciò è una grande messinscena che si perpetua dalla notte dei tempi e si proietta nel futuro, fino ai nostri giorni. Ella diventa così l’ipostasi della donna dinanzi alla violenza e all’irrimediabile, fatale insensatezza del conflitto, di colei che, suo malgrado, dovrà reagire e vestire gli abiti anche di chi si è allontanato. Questo infinito scontro tra visioni differenti finisce con il rimanere irrisolto, e tale soluzione drammaturgica ci è parsa l’idea migliore dello spettacolo di Fabrizio Lopresti perché trascina l’evento storico, circoscritto nelle pagine omeriche, in una dimensione eterna ed universale, ma non, come si diceva poco sopra, limitatamente all’evento bellico, ma alla duplice visione conflittuale in cui alla fine, nessuno ne esce vincitore. Non Ulisse, che viene riconosciuto solo come eterno guerriero e sterminatore di popoli, non Penelope, che attende con consapevolezza e tenacia il ritorno del suo sposo, sapendo benissimo che quell’uomo non sarà più lo stesso. Penelope compie allora, nella sua interiorità, il passaggio sublimante che porta la fedeltà su un piano più alto: ella è fedele all’amore, e solo in questo modo si eleva al di sopra di tutti e vince la sua personale sfida alla guerra e al dolore. Lo spettacolo, che si avvale dell’intensità interpretativa di Fiorenza Pieri, si apre con la chiamata alle armi di Ulisse e segue la vicenda vista dalla prospettiva femminile pertanto, la guerra si trasferisce al tempo eterno con inserti della realtà del XX e XXI secolo: echi dai campi di sterminio nazisti, parole di una donna da Mariupol che assiste alle devastazioni belliche, il rimpianto di una ragazza palestinese che non può coronare il suo sogno d’amore con un giovane israeliano… Tali inserti, intervallati a loro volta dalle voci di Polifemo, di Achille, di Priamo, spezzano il ritmo della vicenda biografica della protagonista aprendolo al tempo moderno (ma anche eterno) della guerra dei maschi; ma il finale, in cui l’interpretazione della Pieri sale decisamente di tono e si prende l’intera scena, ponendo in ombra la vicenda odissiaca, è tutto di Penelope, che fa il bilancio dell’uomo, marito e guerriero Ulisse, messo a confronto con ciò che lei stessa, sola e forte, ha saputo costruire e tenere insieme, opponendosi ai pretendenti e reggendo, per venti anni, le sorti di un regno. E il bilancio è di vittoria, ma anche amara, solitaria, resistenza: la trasformazione del trucco degli occhi di Penelope che, alla fine dello spettacolo, sono rigati da lacrime di sangue, si attaglia con quanto Fiorenza Pieri, declamando una lirica di Saffo, pone a sugello dello spettacolo: «È tramontata la Luna / insieme alle Pleiadi / la notte è al suo mezzo / il tempo passa / io dormo sola». Apprezzamento convinto, pertanto, per questo spettacolo, che può essere potenzialmente ampliabile, come ci suggeriva lo stesso Lopresti, ma che anche nella formula attuale è risultato molto gradito, come sottolineato dal pubblico che, al termine, ha applaudito lungamente l’intensa e coinvolgente performance di Fiorenza Pieri. Mauro Canova