di Carlo Goldoni
regia Antonio Latella
con Sonia Bergamasco, Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Giovanni Franzoni, Francesco Manetti, Annibale Pavone, Gabriele Pestilli, Marta Pizzigallo
dramaturg Linda Dalisi scene Annelisa Zaccheria costumi Graziella Pepe
musiche e suono Franco Visioli luci Simone De Angelis
assistente alla regia Marco Corsucci assistente alla regia
volontario Giammarco Pignatiello Teatro Stabile dell’Umbria
Teatro Manzoni, Pistoia, 23 novembre 2024
La Mirandolina di Sonia Bergamasco è degna della protagonista indipendente e moderna della Locandiera di Goldoni che, nel 1752, scrisse quest'opera come inno alla straordinarietà di una donna padrona, consapevole della sua femminilità e forte delle sue convinzioni. Una bella rappresentazione fedele al testo e modernizzata dai costumi, la storia profonda è resa brillante e comica dalle scene di grande intesa tra il Marchese ed il Conte, sancita iconicamente da un bacio sul finale, ma anche dalla finta nobiltà sfoggiata dalle due commedianti, altro grottesco ma efficace esempio di emancipazione femminile. Mirandolina e il Cavaliere di Ripafratta sono nemici l’uno dell’altro, lottano per rimanere fedeli ai loro principi, l’una di locandiera civettuola con il potere di far innamorare gli uomini, l’altro di uomo solitario incorruttibile dall’altro sesso. È quando le fredde luci al neon che illuminano la quotidianità delle scene iniziano a sfarfallare, dapprima leggermente, poi sempre più rumorosamente, che le loro lucide intenzioni vacillano, sempre di più, fino a crollare con il letterale svenimento di Mirandolina alla fine del primo atto. Si riapre il sipario con un trionfo di musiche diverse, un mix di sinfonie classiche e rap post moderne che accompagnano da una parte le rituali e abitudinarie azioni dei due tormentati, e dall’altra l’ormai smascherata trasgressione dei propri ideali, figurati simbolicamente dal cappotto del Cavaliere, dapprima corazza dell’uomo anti donne e poi coperta per curare la donna amata. Le scelte simboliche del regista segnano con evidenza il lento coinvolgimento emotivo di Mirandolina, nato per gioco, e il Cavaliere, il quale vive l’ innamoramento come un crudele soccombere alla più grande debolezza umana; la sua trasformazione è visibile in scena: il misterioso uomo che, di spalle al pubblico, disprezza le donne, abbandona lentamente il suo guscio di camoscio per indossare i panni eleganti dell’ennesimo uomo perso per una donna. Ed è proprio quando ammette la sua “sofferenza di trattar con piacere” con lei, che la Locandiera mette fine a “questi spassi” e sceglie, infine, di sposare l’unico uomo che le garantisca la sua stimata libertà, Fabrizio. Sul proscenio, di spalle al pubblico e abbracciata a quel cappotto di camoscio, Mirandolina assiste come spettatrice al siparietto di tutti gli uomini invaghiti di lei che, furiosi per la sua sconoscenza, litigano e sbraitano in un’esilarante scena corale resa ridicola dal brandire shanghai come spade, altra brillante trovata registica; il monologo con cui li interrompe riconferma la bravura dell’attrice che, con le lacrime agli occhi, dice addio alla Locandiera per come l’abbiamo conosciuta. Benedetta Cafissi