martedì, 18 febbraio, 2025
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LA MORTE OVVERO IL PRANZO DELLA DOMENICA – ideazione, drammaturgia e regia Mariano Dammacco

Serena Balivo in "La morte ovvero il pranzo della domenica", ideazione, drammaturgia e regia Mariano Dammacco. Foto Angelo Maggio Serena Balivo in "La morte ovvero il pranzo della domenica", ideazione, drammaturgia e regia Mariano Dammacco. Foto Angelo Maggio

ideazione, drammaturgia e regia Mariano Dammacco
con Serena Balivo 
musiche originali Marcello Gori
consulenza spazio e luci Vincent Longuemare
oggetti di scena Andrea Bulgarelli / Falegnameria Scheggia
foto di scena Angelo Maggio
ufficio stampa Maddalena Peluso
produzione Compagnia Diaghilev con il sostegno di Spazio Franco (Palermo) e Casa della Cultura Italo Calvino (Calderara di Reno)
OFF TOPIC, Torino, 17 gennaio 2025

www.Sipario.it, 18 gennaio 2025

Tu chiamale se vuoi, suggestioni! Frequentando con assiduità le sale teatrali può capitare che, in uscita dopo gli applausi, il cronista rifletta su quanto appena visto con un laconico “è proprio tutto vero”. Poco importa se il commento sia dovuto ad un’emozione passeggera, o certifichi reale immedesimazione, ma nel caso de La morte ovvero il pranzo della domenica della coppia Mariano Dammacco-Serena Balivo la sensazione di un déjà vu è stata concreta e reale.

A Torino per il cartellone di FTT-Fertili Terreni Teatro, il monologo dell’eccellente Balivo entra nell’animo dello spettatore come lama nel burro: se poi chi ascolta e guarda è persona matura con genitori anziani da cui con regolarità ci si reca per pranzi/cene, allora il processo di identificazione è pressoché garantito. Piegata su di un tavolino, con tanto di eloquio un po’ biascicato e mozzicone di sigaretta tra le dita, Serena Balivo è una figlia non più giovane dall’elegante abito con parrucca di capelli bianchi: donna agée pronta a ringiovanire per riferire della settimanale visita a casa dei genitori ultranovantenni, pretesto per la celebrazione di un rito sempre uguale scandito da piccoli, ripetuti, gesti di vita quotidiana.

La ricerca del parcheggio, lo scampanellìo al citofono, l’ingresso in casa, la consumazione del pasto, la conversazione in un alternarsi di parole e musica, il ritorno a casa: in sessanta minuti scorre la carrellata di un’intera esistenza tra ricordi dei luoghi natìi e speranze di farvi ritorno una volta compiuto il grande passo. Ed è proprio intorno a quel momento che i discorsi si concentrano: da un lato un padre meticoloso, deciso a pianificare la propria morte come ha organizzato tutta la vita, dall’altro una madre terrorizzata dal finire in pasto ad insetti e vermi di ogni sorta. In mezzo, la figlia che racconta e “gioca” con una nera signora dalle snodate fattezze di uno scheletrino, comprato al mercatino delle pulci, che quasi per esorcizzarne l’arrivo sempre più imminente Serena si diverte a far cadere dal tavolo dopo averla investita con una scarica di arachidi e noccioline. Tra i ricordi di chi non c’è più, e i desiderata per quel poco che resta da vivere, il tempo si cristallizza come per incanto, e le ore di una tarda mattinata-primo pomeriggio diventano tunnel temporale da riempire con parole e suoni, prima di congedarsi dal pranzo di famiglia con mamma e papà che salutano dalla finestra una figlia che rivedranno, forse, non prima di sette giorni. 

Pregio indiscusso dell’intera operazione, che giustifica l’”è proprio tutto vero” dell’apertura, l’aver edificato una partitura teatrale le cui solida fondamenta sono continui e concreti riferimenti al quotidiano conditi da una genuina ironia mista a tocchi di poesia, che sia una colonna sonora, un cambio luci, o più semplicemente un non detto a sostituire tante parole: a Dammacco/Balivo va riconosciuto il merito di una pagina di teatro che si fa cartina di tornasole della vita, lucida istantanea di esistenze fissate nello scorrere del tempo, e offerte allo spettatore in una disarmante profondità. 

Roberto Canavesi

Ultima modifica il Sabato, 18 Gennaio 2025 20:59

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