da “Le Troiane”, “Ecuba” e “Elena” di Euripide, adattamento di Sartre, riscrittura di Seneca
Regia: Carlo Cerciello
Con: Imma Villa
E con: Mariachiara Falcone, Cecilia Lupoli, Serena Mazzei
Costumi: Antonella Mancuso
Musiche: Paolo Coletta
Foto di scena: Anna Camerlingo
Aiuto regia: Aniello Mallardo
Scene: Andrea Iacopino
Costumi: Laboratorio Donadio
Video editing: Fabiana Fazio
Assistenti: Anna Orabona, Umberto Ranieri, Luca Russo
Produzione: Fondazione Teatro Due/Anonima Romanzi
In scena al teatro Nuovo di Napoli fino al 12 gennaio 2025
La genialità oggi risiede nel rendere evidente ciò che abbiamo sotto gli occhi e che ci ostiniamo a non vedere. E allora Carlo Cerciello è un genio perché in “Le Troiane - in guerra per un fantasma", di cui firma la regia, tratto da "Troiane”, “Ecuba” e “Elena” di Euripide, adattamento di Sartre, riscrittura di Seneca, trova tutto quello che serve per rendere palese la stupidaggine dell'essere umano. Quello che accadde nel 415 a.C., la guerra tra Greci e Troiani, doveva servire da monito ed invece di guerre oggi ce ne sono e tante. Le troiane di Euripide, del resto, è un testo contro la guerra, dalla parte degli sconfitti, che però evidenzia anche l’incapacità degli sconfitti di liberarsi dall’idea delle vendetta e ben si sposava con l’idea di Cerciello di raccontare un testo sulla guerra evidenziandone l’inutilità. Cerciello regala al pubblico una regia contemporanea di una bellezza e funzionalità difficile da rendere a parole. In questo contenitore di bellezza abitano quattro attrici straordinarie: Imma Villa e Mariachiara Falcone, Cecilia Lupoli, Serena Mazzei. Riflettiamo sul sottotitolo: un guerra per un fantasma. Già Euripide delineò una Elena innocente nella tragedia omonima del 412 a. C che non aveva tradito il marito, poiché nel letto di Paride, la dea Era aveva messo un simulacro: la guerra, dunque, si sarebbe combattuta per un fantasma. Elena, pertanto, è solo un pretesto, una fake news, uno strumento di propaganda guerrafondaia, ma è anche vittima della sua stessa bellezza, l’icona, cioè, di una visione fallocratica che l’ha condannata ad un’esistenza di pregiudizi. Imma Villa è di una bravura incredibile: dal primo movimento che compie fino ai saluti finali resta nel personaggio senza nessuna sbavature. È una Ecuba talmente credibile da pensare che questa donna può avere solo il suo volto, la sua voce, i suoi tormenti, il suo magnetismo. Molto in questo spettacolo è affidato alla voci delle protagoniste e si spazia tra unicità e coralità che diventano tutt’uno. La Villa mette fuori un canto silente e disperato, una cronaca di ciò che avviene dentro di lei ed intorno a lei. Il suo sguardo, la sua voce, sono indimenticabili. Ma le altre interpreti non sono da meno: Cassandra e Andromaca sono caratterizzate con giustezza. E poi Elena, la causa di una guerra di dieci anni, o piuttosto un fantasma che a Troia non ci è mai stata? Ed eccolo il dubbio che attanaglia lo spettatore, che è entrato in sala convinto di conoscere la storia ed invece, ora, deve cedere all' incertezza. Le attrici lavorano con dedizione totale ai loro personaggi, accompagnando alla recitazione, pochi, giusti e studiati movimenti. Ogni monologo è seguito da momenti corali dove la perfezione dei tempi si fa strada. Tutto ciò risponde all’idea registica di creare una polifonia di voci cogliendo in essa un effetto musicale unitario, singole voci che diventano un’unica voce di dolore e speranza insieme, dolore per la denuncia delle atrocità della guerra e speranza perché ciò non possa più accadere. Lo spettacolo ha una durata di un'ora ma il tempo scorre a velocità doppia: dal primo spiazzante ingresso di Elena fino all' ultimo gesto delle Troiane si vive immersi in un lavoro in cui tutto è perfetto. Il pubblico si immerge nella storia, nelle modulazioni e variazioni attoriali e dimentica il tempo e lo spazio come ipnotizzato dalla forza delle parole, della recitazione, e dalle splendide idee registiche. Una nota importanti va fatta sui costumi di Antonella Mancuso che sono ideati con Cerciello e diventano parte essenziale del lavoro: guardano alla cultura giapponese ed evidenziano anche le caratteristiche dei personaggi. Ecuba, Cassandra e Andromaca in nero per l’idea del lutto che però non sollecita in loro un’autocritica, mentre Elena in bianco, in stile Marilyn Monroe con un abito corto anni Cinquanta-Sessanta. È a lei, invece, che alla fine spetta la critica. Elena nella sua assenza di lutto dice la verità. Ecuba nel suo splendido abito, nella sua posizione centrale sulla scena, irradia potenza. I saluti finali, lunghi per accontentare il pubblico che vorrebbe continuare a partecipare a questo momento di alto teatro, accompagnano la deposizione di una bandiera della Palestina per ricordare il genocidio che accade nel silenzio assordante del Potenti del mondo. Lo spettacolo, in scena al teatro Nuovo di Napoli, è una produzione Fondazione Teatro Due/Anonima Romanzi. Roberta D’Agostino