venerdì, 23 maggio, 2025
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LA GATTA SUL TETTO CHE SCOTTA - regia Leonardo Lidi

“La gatta sul tetto che scotta”, regia Leonardo Lidii. Foto Luigi De Palma “La gatta sul tetto che scotta”, regia Leonardo Lidii. Foto Luigi De Palma

di Tennessee Wiliams
traduzione Monica Capuani
regia Leonardo Lidi
con Valentina Picello, Fausto Cabra, Orietta Notari, Nicola Pannelli, Giuliana Vigogna,
Giordano Agrusta, Riccardo Micheletti, Greta Petronillo, Nicolò Tomassini
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Aurora Damanti, suono Claudio Tortorici
assistente regia Alba Maria Porto
Una produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale,
al Teatro Carignano dal 29 aprile all'11 maggio 2025 in prima nazionale

www.Sipario.it, 4 maggio 2025

Se al mélodramma si toglie il mélò rimane solo il dramma, spigoloso e perturbante che è come vedere la morte attraverso l'amore, attraverso il sentimento. Questa sembra la cifra con cui nella sua ancora breve, ma già di successo, parabola registica Leonardo Lidi utilizza per portare in scena alcune delle più profonde drammaturgie del 'sentimento', intese proprio nel senso del 'sentire' interiore, tra '800 e '900, dallo stesso Williams, ricordiamo il suo Lo zoo di vetro, alla più recente trilogia cechoviana.

Con La gatta sul testo che scotta, andato in scena in prima nazionale al Carignano di Torino, rimane il dramma senza infingimenti, senza quella sorta di schermatura sintattica che ha prevalentemente guidato la percezione di quelle drammaturgie, in un doppio nascondimento ipocrita che si riteneva ne permettesse l'accoglimento.

Doppio perché da una parte interno alla rappresentazione stessa, e dall'altra speculare alla gabbia sociale che ne imprigionava le potenzialità 'eversive'. Oltre lo stesso  miglior Fassbinder, che usava la sintassi del mélò per dire dell'osceno interiore e sociale, e qui più direttamente attraverso il sistematico scassinare quelle regole narrative per scassinare quell'insieme di maschere e di condizionamenti sociali che chiamiamo 'ipocrisia', andando laddove lo stesso Tennessee Williams voleva andare, andando cioè al cuore della vita e della morte.

C'è di tutto questo un esempio assai sintomatico ed è la ben più famosa trasposizione  cinematografica del dramma del 1958, diretta da Richard Brook con Paul Newman ed Elizabeth Taylor, che appunto non solo trasfigurava ma soprattutto allontanava dalla scena ciò che linguisticamente era allora ritenuto 'improponibile' (la filigrana 'omosessuale' ma non solo) ottenendo però lo scopo, molto criticato dallo stesso drammaturgo americano che non partecipò alla sceneggiatura, di molto attenuare l'obiettivo principale, appunto l'ipocrisia come metodo sociale coinvolgente, totalizzante e impossibile da schivare, assai doloroso per ogni tipo di individualità 'difforme'.

A quel cuore, dunque, Leonardo Lidi vuole quasi testardamente andare, in fondo perché solo in questo modo il male di vivere, altrimenti 'rimosso', trova in una dimensione di consapevolezza universale e quasi metafisica, una sua dimensione umana.

Costruisce così, dentro una scenografia bianca e marmorea, più una tomba di (della) famiglia che un nosocomio, un mondo non binario, senza buoni o cattivi (categorie queste di assai difficile decifrazione) ma in cui tutti partecipano, ciascuno con una sua identitaria spinta e motivazione, non solo 'a stare' ma anche a 'costruire' la sua 'ipocrisia' incoercibile, che nella relazione triangolare tra Margaret, Brick e un fantasmatico (ma sempre presente in scena) Skipper si fa vieppiù esplicita, illuminando di luce e smascherando l'insieme delle relazioni che si muovono in quella 'vita/morte'.

Il genere, o i generi e le loro differenti articolazioni e attrazioni, sono solo l'occasione infatti per mettere in luce una infelicità sociale indotta che inevitabilmente diventa infelicità individuale introiettata in una sorta di diffusa auto-accettazione.

Dentro questo mondo ciascuno dei personaggi è portatore di una storia diversa ma coerente, metaforica e icastica, dal padre patriarca ricco self-made man cui Nicola Panelli dona la propria esperienza, a sua moglie incessantemente 'attaccata' al ruolo di vittima (quasi dolorosa la prova di Orietta Notari), alla famiglia 'ordinaria' e 'normale' (Gooper e Mae con figlia carico, rispettivamente Giordano Agrusta, Giuliana Vigogna e Greta Petronillo) cui tutto importa tranne il sentimento. 

E poi Margaret (una bravissima Valentina Picello) che vuole ad ogni costo sfuggire alla sua antica povertà, che diventa il gorgo in cui miscelare e amalgamare come in un frullatore le ambiguità del marito Brick (un giovane ed efficace Fausto Cabra) e del suo amico suicida Skipper (un Riccardo Micheletti con convinzione nella parte). Del resto anche l'invalidità di Brick può essere vista come la rappresentazione simbolica di una 'perdita'.

Completa il bel cast il Reverendo Nicolò Tomassini.

È come se la messa in scena facesse sì che molto del non detto del racconto e dei singoli personaggi venisse improvvisamente gridato sul palcoscenico, come quando Skipper diventato una specie di Dottor Morte, svela la malattia e la prossima fine del patriarca che sembrava 'invincibile'.

La bella traduzione di Monica Capuani è, come sempre, molto attenta alle potenzialità del recitativo e senza inutili 'imitazioni' propone, oltre ogni letteratura, una lingua che ben supporta la visione assai contemporanea del regista.

Ben integrano lo scenario le scene e le luci di Nicolas Bovey, i costumi di Aurora Damanti e l'ambiente sonoro di Claudio Tortorici.

Uno spettacolo complesso che colpisce e anche ferisce talvolta, come se ad ogni spigolo 'pericoloso' ci si fosse curati di togliere ogni imbottitura, e che recupera e 'restituisce' un testo stratificato e ricco di sfumature, forse per questo non molto 'praticato' nel teatro italiano. 

D'altra parte lo stesso Tennessee Williams era in fondo alieno da ogni 'posizionamento' morale o peggio moralistico ma ha cercato di mostrare una condizione umana che, oltre le singolarità esistenziali, tutti ci riguarda anche nel dolore e nella alienazione, ed è stato efficace Lidi nel riuscire a far transitare questo messaggio così lontano da ogni colpevolizzazione o facile assoluzione, portandolo fin dentro lo spettatore.

Pieno il bel Teatro Carignano e molti gli applausi, 

Maria Dolores Pesce

Ultima modifica il Lunedì, 05 Maggio 2025 07:09

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