di ODIN TEATRET
Dedicato a Hamnet e ai giovani senza futuro
Attori: Antonia Cioază, Else Marie Laukvik, Jakob Nielsen, Rina Skeel, Ulrik Skeel, Julia Varley
Disegno luci, Disegno luci, video e manifesto: Stefano Di Buduo
Consulente film: Claudio Coloberti
Marionetta: Fabio Butera
Costumi: Odin Teatret
Spazio scenico: Odin Teatret
Direttore tecnico: Knud Erik Knudsen
Assistenti alla regia: Gregorio Amicuzi e Julia Varley
Testo: Eugenio Barba e citazioni dall’Amleto di William Shakespeare
Drammaturgia e regia: Eugenio Barba
Al teatro Arena del Sole di Bologna, visto il 14 maggio 2025
Cosa unisce un figlio letterario ad un figlio reale, e loro stessi ai rispettivi padri? Quale enigma li unisce al di là delle analogie e delle differenze? D'altronde il passato anche quando è storico e reale è anch'esso una invenzione, o meglio una immaginazione che parte dal presente, come la vita vissuta in fondo differisce così poco da uno spettacolo: di entrambi siamo protagonisti/attanti quando agiamo oppure, alternativamene, spettatori quando osserviamo. Forse ciò che li unisce è la 'passione' che si genera in entrambe le situazioni sempre speculari e che il nostro drammaturgo chiama qui con l'affascinante e binario nome di nostalgia. Le nuvole di Amleto, l'ultimo spettacolo dell'Odin Teatret di Eugenio Barba approdato in Italia, ripropone l'enigma (che è poi quello del teatro) innanzitutto dal punto di vista drammaturgico, custodendo, o anche per così dire partorendo la narrazione della morte del figlio (e poi del padre) di William Shakespeare dentro quella dell'omonimo principe di Danimarca cantato dello stesso Bardo, e così attivando un doppio corto circuito, quello tra la storia e la vita, e quello tra il ricordo ed il presente, quello nostro di oggi in cui cercare di riconoscere in quelle storie un senso che possa appartenerci. Eugenio Barba gioca (in senso ovviamente teatrale) con l'inesausto tema della 'eredità', quella che ogni genitore affida ai propri figli e quella che la storia ha affidato al nostro presente, alle generazioni nuove che quella stessa storia ha prodotto proprio perché ne possano raccogliere premesse ed esiti. Un corto circuito che sembra rischiare però oggi, nella nostra strana modernità, di veder interrompersi la luce, di veder sospesa la circolazione delle energie, abbandonando le giovani generazioni all'oscurità dell'assenza e della mancanza di radici condivise, incapaci quasi di pensare un futuro. Ma Barba, che da allievo e poi aiuto regista di Grotowski ha trovato man mano una sua originale strada diventando a sua volta un 'maestro' riconosciuto, lo fa anche dal punto di vista formale costruendo la scena come un fiume che scorre tra due argini speculari di spettatori contrapposti e lasciando che la scintilla si accenda tra loro e gli attanti, pietre focaie che solo se sfregate assieme possono produrre il fuoco della conoscenza e la luce della consapevolezza. Sembra teoria ma in realtà, grazie a Barba e alla sua storica compagnia, è soprattutto pratica (teatrale ed esistenziale). Il paradosso è che non apprendiamo niente perchè in realtà, mentre siamo lì, riconosciamo già ogni cosa (e non parliamo solo o tanto della fabula), sappiamo la verità di quella storia, che sia del doppio Amleto o delle nuvole che li sovrastano e li attraversano, perché senza che lo sapessimo era custodita dentro di noi. Uno spettacolo che si direbbe 'esperienziale', costruito com'è sulle interazioni, tra attore e se stesso, tra gli attori tra loro e tra gli attori e gli spettatori, ciascuno dei quali porta e apporta intuizioni ed illuminazioni che, grotowskianamente appunto, non riguardano la storia narrata e magari non hanno niente a che fare con noi e con la situazione tra noi, eppure sanno trascinare alla superficie un sentimento che, come le nuvole in cielo, alla fine si compone, figurativamente e psicologicamente, in immediate immagini di senso. La drammaturgia peraltro, proprio attraverso questa forma, non dimentica i suoi contenuti e la sua dimensione storica ma, in fondo, invece che discuterla e discutersi li compone nella loro immediatezza, come un enigma, appunto, quello che la Sfinge (e sempre di padri e figli parliamo) ci propone in continuazione. Uno spettacolo intenso come ci aspettiamo sempre da Eugenio Barba e dai suoi attori, a partire da Julia Varley, che raramente deludono. Una parola in più a proposito di quest'ultima la cui presenza scenica è ormai diventata, a fianco di Eugenio Barba, un punto di riferimento essenziale nella capacità della messa in scena di organizzare sentimenti e significati testuali e più generalmente drammaturgici. Licenziato dalla stessa associazione che aveva contribuito a costruire (a proposito tra l'altro di 'eredità'), ora l'Odin Teatret è ancor più una compagnia itinerante che ha come scenario il mondo e che al mondo appartiene. La sala dell'Arena del Sole di Bologna piena, lunghi applausi. Una serata di teatro. Maria Dolores Pesce