di Annalisa Favetti, Pino Ammendola e Clelia Ciaramelli
con Annalisa Favetti
danzatrici Gessica Dernetti e Eleonora Ponzone
regia Pino Ammendola
scenografia Giuseppe Santilli
produzione Nicola Canonico per Good Mood
Grotte di Borgio Verezzi, 21 giugno 2025
Il quarto appuntamento della Rassegna In & Out. Impronte di donne, vede la proposta di Annalisa Favetti che mette in scena uno spettacolo dedicato al personaggio di Diana Spencer. Sfruttando un’innegabile somiglianza con la principessa del Galles, l’attrice, attraverso una sequenza di flash-back, ci accompagna in un viaggio biografico ed emozionale alla scoperta del lato più personale e nascosto della giovane Diana. C’è, a monte di questo spettacolo, una lunga preparazione, una ricerca minuziosa diretta al disvelamento del dettaglio, della frase iconica, dell’abito, del gesto, del ricordo che la Favetti ha pervicacemente inseguito e ricostruito fino a farsene interprete e portatrice. Non ci troviamo quindi dinanzi ad una mera narrazione di una vita, ma ad una immedesimazione, ad un viaggio interiore che intreccia e sovrappone la storia di Diana e quella dell’interprete. Annalisa Favetti è stata generosa nel concederci, al termine dello spettacolo, un’ampia intervista durante la quale ha avuto modo di chiarire come il personaggio della principessa inglese sia poco a poco cresciuto dentro di lei passando dal nucleo dell’idea iniziale ad una creazione drammaturgica propriamente sua. Personaggio iconico dell’ultimo quarto del Novecento, Diana Spencer ha incarnato, forse suo malgrado, la favola della moderna principessa, della fanciulla che viene chiamata a ricoprire un ruolo che si è consolidato nell’immaginario popolare: la ragazza semplice che ascende al soglio reale. Ma la parte di simil-Cenerentola è solo l’inizio della vicenda drammatizzata nello spettacolo, che, in verità, ci mostra come, per dirla con D’Annunzio, la «favola bella» è poi proseguita: ovvero in quale modo si è dipanata la vita di questa giovane donna attraverso incomprensioni, ribellioni, sogni infranti e poi la morte prematura. All’icona mediatica viene tolta l’allure del personaggio costruito e mitizzato, non ci sono, in scena, le folle plaudenti ed ammirate, non ci sono i corridoi e le stanze di Buckingham Palace, i cappellini di Ascot; c’è una donna, sola con la propria storia di figlia abbandonata e poi di madre affettuosa e di moglie delusa che alterna momenti di sconforto e di gioia. Questa Lady D. umana è il tratto che la ha avvicinata al mondo una volta che lei stessa ha deciso di scendere dallo scomodo piedistallo su cui era stata collocata. La vicinanza di Diana all’universo soprattutto femminile parte da qui, dal non voler incarnare l’ombra della regina madre, ma nel voler essere, lei stessa, un’immagine che rivendica con pienezza la propria autonomia di pensiero e di comportamento. Scelta che la renderà umana, ma che pagherà duramente: l’allontanamento del marito Carlo e l’essere invisa alla parte più tradizionalista e conservatrice della corte, a cominciare da Elisabetta II: mai nominata in scena, ma figura aleggiante e sempre presente, dall’inizio alla fine della vicenda. Lo spettacolo si apre con la riproduzione dell’incidente mortale avvenuto in una galleria di Parigi dove l’auto, su cui viaggiava Diana con il nuovo compagno Dodi al Fayed, si schianta contro un pilone: moriranno l’autista, Dodi e, poche ore dopo, all’ospedale, anche Diana. La Favetti ci narra la storia dall’immediato aldilà, facendo parlare una donna che non sa ancora di essere morta come forse non ha mai saputo (né voluto) essere principessa, che non ha mai voluto «studiare da regina d’Inghilterra». Inadatta ai ruoli istituzionali, ma a suo agio in quello di madre e di moglie Lady Diana ha dispiegato il meglio delle proprie energie in attività benefiche trasformandola in una persona amata dalle folle. Annalisa Favett prende per mano il pubblico e lo accompagna lungo una storia che entra nella favola, la attraversa, e subito ne esce, una storia che costruisce il mito e immediatamente lo distrugge, metafora della nostra società che divora le proprie mitologie con una velocità impressionante. La recitazione della Favetti regala momenti di grande intensità, spesso sottolineati da inserti musicali o vocali suggestivi (come ad esempio il Padre nostro in aramaico) e dispiega tutte le sfumature di una personalità femminile attraverso il caleidoscopio della sua abilità recitativa. L’ambientazione suggestiva e affascinante delle grotte amplificano la potenza ctonia di questa voce dall’aldilà e ne rendono il messaggio più umano e profondo, in particolare ci è parsa è molto coinvolgente la scena in cui intervengono le danzatrici e spogliano metaforicamente Diana della sua anima. Al termine il pubblico ha applaudito convintamente questo eccellente spettacolo (ormai in tournée da un paio di anni) e che sta raccogliendo successi e consensi in tutta Italia e al quale auguriamo ancora lunga vita. Mauro Canova