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MALATO IMMAGINARIO (IL) - regia Walter Le Moli

“Il malato immaginario”, regia Walter Le Moli “Il malato immaginario”, regia Walter Le Moli

di Molière
regia Walter Le Moli
con Massimiliano Sbarsi, Cristina Cattellani, Paola De Crescenzo,
Emanuele Vezzoli, Luca Nucera, Nanni Tormen, Sergio Filippa, Luca Giombi, Laura Cleri
spazio scenico con opera di Luca Pignatelli
costumi Gianluca Falaschi, luci Claudio Coloretti
arrangiamenti musicali Bruno De Franceschi, maschere e trucco Bruna Calvaresi
Produzione Fondazione Teatro Due.
A Parma, Teatro Due, dal 10 al 21 gennaio 2017

www.Sipario.it, 19 gennaio 2017

Un melanconico malato immaginario

Molière e Goldoni. I due grandi riformatori del teatro, sappiamo, hanno saputo rappresentare come nessun altro i vizi della nobiltà e della borghesia di due epoche – la vita di corte francese del '600, e i salotti veneziani del '700 - aprendo al realismo della rappresentazione. A far incontrare i due commediografi, a metterli in correlazione, o quanto meno avvicinarli in un gioco di specchi, è il bel progetto di Walter Le Moli del Teatro Due di Parma che nell'arco di un mese mette in scena due commedie del francese (Il malato immaginario, e a seguire Il borghese gentiluomo dal 2 al 5 febbraio con la regia di Filippo Dini) e una del veneziano (La locandiera), secondo un lodevole articolato disegno registico teso a indagare, al di là della farsa, ulteriori raccordi tematici sulla decadenza e la fine di due epoche, volendo "riattivare i meccanismi originari" – precisa il regista – del periodo storico e sociale in cui sono stati scritti, "andando alla ricerca degli strati più nascosti, senza assecondare quella tradizione che, collocandosi in modo univoco, ha inevitabilmente depositato incrostazioni interpretative". Grazie ad una, necessaria, compagnia stabile (l'Ensemble Attori di Fondazione Teatro Due, esempio raro in Italia) impegnata da tempo nella creazione e presentazione di un repertorio, Le Moli ha potuto costruire in continuità lavorando sui precisi caratteri degli attori valorizzando al meglio il loro specifico. Ecco quindi un Malato immaginario che rifugge dai toni farseschi, dagli eccessi caricaturali, dalle forzature pseudo surreali per una lettura più introspettiva e malinconica senza negare la contagiosa ilarità che si sprigiona dalle grandi scene comiche: i battibecchi tra Argan e la serva Toinette, il duetto tra i due Diafoirus, l'anatema scagliato dall'irato Purgon contro l'involontaria insubordinazione del malato. Questi è l'unico in abito d'epoca con tanto di parruccone - evidente identificazione con lo stesso autore, e con il suo protettore Luigi XIV, il Re Sole, che poi lo rifiutò - che, sappiamo, primo interprete della commedia, morì praticamente sulla scena lasciando interrotta la quarta recita il 17 febbraio 1673, ma impresse anche un sigillo sul grande personaggio col quale s'era misurato dopo esserselo costruito addosso, parzialmente a propria immagine congegnando l'ipocondria come una forma di salute, l'alibi migliore per il vecchio capocomico ormai tentato di morire. Gli altri personaggi vestono abiti vintage con incursioni di mantelli neri e maschere veneziane con occhioni e lunghi nasi a becco per la categoria dei luminari, mentre il fratello Beraldo si presenta in elegante costume dorato sotto le sembianze di un angelo salvatore con tanto di ali dorate. Questi altro non è che il suo doppio – di Argan, la parte lucida; di Molière, lo spirito creativo –, colui che dice la verità sullo stato reale di salute e sui medici truffatori, ridicolizzando l'eccesso di considerazione verso le medicine di cui abusa il degente in questione (Molière attribuì al ruolo del fratello un grande rilievo ideale, facendone quasi il portavoce di una profetica "honnêteté" illuministica). L'inizio della commedia è con la lunga sequela di purganti emollienti e rigenerativi, con relativi costi, che puntigliosamente l'ipocondriaco Argan ci elenca. E lo fa rapportandosi in scena con un interlocutore invisibile, che vuole essere, nelle intenzioni del regista, il suo Re Luigi IV. Le persone che via via interagiscono con Argan sembrano, a tratti, nascere dalla sua immaginazione di crudele bambino. Egli siede su una poltrona-rifugio-trono che campeggia come podio regale al centro della scena, con una botola davanti che si aprirà alle luci di una festa. Dietro, sospeso, un enorme magnifico arazzo raffigurante la testa di una scultura, quasi una presenza incombente. Il resto del palcoscenico è vuoto, attraversato solo da due scalinate con balconata sopra le quali si materializzeranno dei Pulcinella - tra cui l'innamorato Cleante -, e da quinte, con entrate e uscite, come in un balletto, dei personaggi. La forza d'urto della commedia, in fondo così fragile e trasparente, dalla comicità così ambigua nell'apparente solarità, ma con aperture drammatiche, si concentra tutta nei terrori di Argan e nelle sue manovre per dare la figlia Angelica, innamorata di Cleante, in sposa a un medico figlio di medico, ancorchè idiota. Ma al giusto momento fingendosi morto, per consiglio della saggia e invadente servetta Toinette, scopre la sordida avidità della moglie opportunista e i nobili sentimenti di Angelica. Infine sarà fatto medico per burla durante la cerimonia finale con la processione di dottori, cerusici e farmacisti, guidati da Diaroicus e dal figlio, simili a neri corvi tutti intenti a banchettare sulla credulità e il male oscuro di Argante. Tutto questo è esaltato nella limpida, arguta messinscena che poggia tutta sulla parola e sulla bravura degli attori. Tra cui vanno citati il melanconico Argan, misuratissimo, di Massimiliano Sbarsi, quasi struggente nel suo meticoloso aggirarsi dentro il cerchio della propria ossessione, e la micidiale servetta Toinette di Laura Cleri, tessitrice di intrighi benefici.

Giuseppe Distefano

Ultima modifica il Venerdì, 20 Gennaio 2017 10:38

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