di Giovanni Verga
scene Salvo Manciagli
costumi Carmen Ragonese
regia Guglielmo Ferro
Personaggi e interpreti:
Don Gesualdo Motta Enrico Guarneri
Baronedda Rubiera Ileana Rigano
Canonico Lupi Rosario Minardi
Bianca Francesca Ferro
Barone Rubiera Rosario Marco Amato
Don Diego Pietro Barbaro
Don Angelino Giovanni Fontanarosa
Barone Zacco Vincenzo Volo
Donna Cirmena Elisa Franco
Diodata Alessandra Falci
Isabella Federica Breci
Produzione Associazione Culturale Progetto Teatrando
Teatro Quirino – Vittorio Gassman dal 3 al 8 Dicembre 2019
Quando Guglielmo Ferro decide di adattare un’opera letteraria per il palcoscenico si avvale di una tecnica che, di volta in volta, è sempre la stessa: il protagonista viene dapprima mostrato alla fine dei suoi giorni – o al culmine di una situazione narrativa – intento a ricordare. In questo richiamare alla memoria fatti del proprio passato, ecco avanzare sulla scena personaggi che con il principale hanno avuto a che fare; ecco emergere episodi emblematici che, adeguatamente estrapolati dal romanzo, chiariscono come e perché si è arrivati al culmine della tensione vista ad apertura di sipario. In questo andirivieni fra passato e presente, lo spettacolo prosegue e si finisce per provare la sensazione di leggere il libro che vediamo animarsi sopra le tavole della ribalta. Ciò costituisce un vantaggio ma, al contempo, anche un limite.
L’adattamento che Ferro ha realizzato del Mastro don Gesualdo per il Quirino non si discosta dalla tecnica dianzi accennata, e mostra il protagonista verghiano in condizioni di salute precarie, attanagliato com’è da un male che si intuisce lo condurrà presto alla morte. A interpretare colui che con fatica, sudore e duro lavoro ha compiuto l’agognata scalata sociale è Enrico Guarneri, che tratteggia un Gesualdo Motta che pare conoscere due sentimenti fondamentali sui quali la recitazione tutta s’impernia: la rabbia e la rassegnazione. L’attore siciliano impersona un uomo rude che ad alcuna dolcezza si abbandona. Potrebbe cedere a un innocente sentimentalismo verso la figlia in punto di morte, ma quando ciò sta per succedere ecco riemergere il cipiglio del padre padrone imperativo e odioso. Tra urla, conflitti, silenzi rassegnati e memorie che sfumano facendo riemergere il presente, l’intera vicenda del romanzo di Verga ci viene raccontata così come la si sarebbe potuta leggere nel libro comodamente seduti nel proprio salotto di casa.
E ci domandiamo: perché dovremmo sentire vicino, ed anche simile, un uomo come Gesualdo Motta? Possono ancora esistere queste distinzioni sociali settarie fino al limite del razzismo? E se esistono, chi se ne rende responsabile e verso chi sono dirette? Più sinteticamente: chi sono i don Gesualdo e i baroni Rubiera che nel nuovo millennio ancora lottano tra loro?
Nulla, di questo, emerge dalla riduzione di Ferro. In ciò il limite della tecnica drammaturgica che egli usa: perché essa pur permettendogli di riassumere la trama narrativa nei suoi snodi principali, lo ostacola nell’approfondire situazioni e personaggi. Così facendo, si corre il rischio di dimenticare che il teatro non è narrazione, ma sintesi dalla quale si deve intuire l’intera storia attraverso pochi accenni, fugaci battute, scaltre allusioni.
Ne è emerso un lavoro abbozzato, esaustivo nel riassumere le vicende raccontate da Verga, ma che ha dato pochi colori ai personaggi, scarso valore alle situazioni. Ciò di cui ha risentito sia la recitazione di un bravo attore come Guarneri, sia la potenza simbolica di Mastro don Gesualdo.
Pierluigi Pietricola