di Friedrich Schiller
traduzione Carlo Sciaccaluga
con (in ordine alfabetico) Laura Marinoni e Elisabetta Pozzi
e con Gaia Aprea, Linda Gennari, Giancarlo Judica Cordiglia, Olivia Manescalchi, Sax Nicosia
chitarra e voce Giua
regia Davide Livermore, scene Davide Livermore e Lorenzo Russo Rainaldi
costumi regine Dolce & Gabbana, costumi Anna Missaglia
sound design Mario Conte, musiche e arrangiamenti Giua
disegno luci Aldo Mantovani, regista assistente Mercedes Martini
produzione Centro Teatrale Bresciano, Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
al teatro Sociale, Brescia, 12 gennaio 2022
In Maria Stuarda di Schiller «la materia storica è tutta traslata nello scontro frontale fra due eroine e sublimata in un meccanismo psicologico e dialogico ancora più complesso ed esasperato – scrive Maria Fancelli nel saggio il Secolo d’oro della drammaturgia tedesca, pubblicato nella grande storia del teatro curata da Roberto Alonge e Guido Davico Bonino per Einaudi -. Da un lato Elisabetta, regina d’Inghilterra, che s’appella alla volontà del Parlamento e del popolo, dall’altro Maria Stuarda, che proclama la propria legittimazione formale e morale di porsi come vera erede e nega le pretese dinastiche di Elisabetta, a suo parere già implicitamente destituita dal padre. In questo gioco di rivendicazioni contrapposte risalta ancora una volta la doppia verità delle cose, la fragilità della giustizia e il senso dei suoi confini, la fatalità dello scontro tra morale e politica, tra felicità individuale e potere. Ma il dramma politico e dinastico della tragedia è solo un aspetto della tragedia, perché subito emerge in primo piano il dramma personale e umano delle due donne che amano lo stesso uomo, l’abile e calcolatore cortigiano Leicester e che per questo sono continuamente scisse tra i loro ruoli e i loro sentimenti».
Questa lunga citazione ben sintetizza il nucleo tematico di Maria Stuarda e chiariti i poli di interesse dell’opera di Schiller permette di entrare subito in media res e cercare di capire il disegno registico sovrabbondante, kemp e molto pop di Davide Livermore. Il pensiero registico sul testo si crede si possa sintetizzare in quanto osservato – a sua insaputa – da Fancelli, sopra citata. Il gioco di specchi fra le due regine trova concretezza nel fatto che Elisabetta Pozzi e Laura Marinoni possono ricoprire entrambi i ruoli, in base al volteggiare leggero di una piuma d’angelo che a inizio spettacolo decide chi sarà Maria Stuarda e chi Elisabetta I. Anche per questo le due attrici si presentano di nero vestite, con i cappelli raccolti, pronte a indossare i panni del ruolo regale che l’angelico caso ha loro riservato. Nota in margine: un gioco simile vide protagoniste la stessa Elisabetta Pozzi e Mariangela D’Abbraccio in Maria Stuarda di Dacia Maraini, correva la stagione 2001/2002. Un caso?
Il sipario rosso con i due nomi delle regine accomunati dal titolo Queen anticipa i toni sovraeccitati e coloratissimi di tutta l’operazione, sostenuta con vigore dagli inserti pop/rock della bravissima Giua che fa il verso ai rocker degli inizi anni Ottanta, sul modello dei cotonatissimi Duran Duran per melodia con un’addolcita parvenza da metallara. I movimenti sono meccanici, quasi che i personaggi siano costretti a muoversi su una scacchiera, la scacchiera del potere e delle sue strategie, ma anche la scacchiera dell’amore. La scena è definita da due scalinate speculari, collegate da un praticabile che funge da bastione, da luogo di passaggio, da affaccio sulla scena della storia, ma anche da spalto da cui assistere all’agone regale. I costumi di Dolce & Gabbana sono eccessivi e danno il meglio nella costruzione delle due regine, entrambe con vistose parrucche bianche e costumi per Elisabetta I sempre di una regalità trionfante e barocca che si contrappone all’eleganza morbida della prigioniera Maria Stuarda.
Nella serata a cui si è assistito a vestire i panni della regina di Scozia è stata Elisabetta Pozzi che ha fornito al personaggio una sua plastica e al tempo stesso austera dolente autorevolezza. Elisabetta di Laura Marinoni è potente, a tratti sembra la strega di Biancaneve, la parrucca che indossa strizza l’occhio al Dracula di Scorsese. Tutto procede e si stabilizza su un tono sovraeccitato, una tenitura coerente che a tratti rischia di rendere tutti i personaggi identici, urlati, impegnati a difendere le proprie posizioni di gioco, a trarre un qualche vantaggio (politico o amoroso) dalla contesa fra le due regine. Soprattutto nella prima parte l’intreccio fra politica e amore si scioglie e si segue con una certa facilità e gradevolezza, le cose si ingarbugliano nella seconda parte che brilla per il confronto diretto fra le due regine in cui si disvela una rivalità più amorosa che politica.
Citazioni cinematografiche, l’impressione di essere dentro uno spot di Dolce & Gabbana che dura oltre tre ore, una colonna sonora invasiva e persistente fanno di Maria Stuarda di Davide Livermore uno spettacolone con tutto lo sfarzo del teatro e di certe rappresentazioni storiche che piacevano negli anni del teatro in televisione, ma rigorosamente in bianco e nero. Verrebbe da dire, molto rumore per nulla. Ma ciò che conta è la possibilità di aver goduto della poesia di Schiller e della prova interpretativa di due attrici che sanno il fatto loro. È questo basta.
Nicola Arrigoni