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MARITI - regia Ivo van Hove

Mariti Mariti Regia Ivo van Hove

di John Cassavetes, regia Ivo van Hove, drammaturgia Thibaud Delpeut, traduzione Gerardjan Rijnders, scene e luci Jan Versweyveld, costumi An D'Huys, video Tal Yarden, suono Thibaud Delpeut
con Barry Atsma, Roeland Fernhout, Hans Kesting, Alwin Pulinckx, Halina Reijn
produzione Toneelgroep Amsterdam coproduzione Programma Cultura Dell'Unione Europea nell'ambito di Progetto Prospero, Theâtre National De Bretagne/Rennes, Prima nazionale
Teatro Storchi, Modena, 25 maggio 2012

www.Sipario.it, 13 giugno 2012

Su un grande schermo le immagini invernali di un funerale aprono la scena di Mariti di Ivo van Hove. Non si tratta solo un rimando cinematografico all'omonimo film di John Cassavetes, ma quelle immagini sono la proiezione di un punto di vista narrativo che nel corso della pièce viene mutato con soggettive realizzate grazie a microtelecamere indossate dagli attori che permettono allo spettatore di staccare lo sguardo dal palco e vedere ciò che vedono i singoli personaggi. Quel mutare di prospettiva iconica trova un'intima corrispondenza e persistenza nello splendido spazio scenico di Jan Versweyveld, una sorta di interno borghese e palestra, uno spazio chiuso che si apre all'insoddisfazione, all'angoscia e al cupio dissolvi di tre affermati professionisti. Il motore primo della 'storia' è il ritrovarsi dei tre uomini dopo anni al funerale di un loro vecchio e caro amico. Da qui parte la vicenda, meglio la costruzione di un'impossibilità di elaborare il lutto, di un'angoscia che si costruisce sulla scena in un rincorrere impossibile di una via di fuga che non esiste, in una nostalgia per il tempo che fu, per quel passato che fugge via tra le dita come la scomparsa dell'amico. Quei tre uomini si raccontano, si sfidano, fanno la lotta, dicono delle loro mogli e del peso di una quotidianità senza futuro, di un presente che stritola e ammazza i sogni. L'affetto per la vedova che sfocia in un sedurre violento, il ricordo del tempo che fu e l'emergere degli antichi attriti, tutto accade lì in quello spazio che è palestra e salotto, stanza da letto di un albergo di Londra e bordello, tutto accade lì nel desiderio di fuga e nella persistente domanda: e adesso? La risposta a questo interrogativo è lo stordimento, l'ubriacatura, l'approccio sessista alla vita... Tutto accade, o meglio nulla avviene se non uno sprofondare nella tensione e nel nulla, un disperato bisogno di evadere da se stessi. Tutto ciò è reso sulla scena attraverso una credibilità assoluta degli interpreti, una tensione che non si stempera, un trattenere il respiro che non concede pause. La regia di Ivo Van Hove mostra di saper coniugare una capacità di dirigere e lavorare con gli attori di grande precisione e rigore, una capacità che nell'uso della tecnologia si potenzia, non cerca scorciatoie ma se possibile acuisce la necessità di scavare fino in fondo ad ogni gesto, ad ogni sguardo. La panoramica del teatro si interseca con la soggettiva di un narrare in immagini che non concede spazio al far finta, ma vuole, pretende con assolutezza che ciò che accade in scena sia potentemente reale nel suo essere rappresentazione. Tutto ciò accade in Mariti ed è un poetico e straziante dolore, elaborare il lutto di una generazione di uomini in cerca di fuga e che alla fine – non si sa se rigenerati – tornano a casa con qualche dono per i loro figli, come dire tornano nei ranghi dopo la loro infantile rivoluzione e fuga dalla vita da grandi.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Ottobre 2013 13:36

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