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MAKROPULOS CASE (THE) - regia Robert Wilson

The Makropulos Case The Makropulos Case Regia Robert Wilson

da Karel Capek. Regia, ideazione scene e luci di Robert Wilson. Musiche di Aleš Brezina. Costumi di Jacques Reynaud. Light designer di A.J.Weissbard. Drammaturgia di Martin Urban
Con: Sona Cervená, Miroslav Donutil, Filip Rajmont, Václav Postránecký, Peter Pelzer, Pavla Beretová, Jan Bidlas, Milan Stehlík, Vladimír Javorský. Musicisti: Vladimír Strnad, Martin Sedlák, Tomáš Koubek. Prod.: The National Theatre Czech Republic Prague.
Teatro Mercadante 7-8-9 giugno 2012. Napoli Teatro Festival.

www.Sipario.it, 12 giugno 2012

A Bob Wilson piacciono i personaggi che campano più di trecento anni. Forse perché hanno più cose da raccontare, perché certamente vestono più ruoli nella loro lunga esistenza e forse perché, come la maggior parte degli esseri umani, vorrebbe sempre tenere il più lontano possibile l'eterna nemica. Era successo una ventina d'anni fa con Orlando (1929) dell'inglese Virginia Wolf con Isabelle Huppert protagonista, ma anche con altre star nelle versioni successive, è successo adesso con The Makropulos case (1922) del ceco Karel Capek al Teatro Mercadante nella quinta edizione del Napoli Teatro Festival. Opera questa incentrata sulla figura di Emilia Marty, fascinosa donna ammantata di mistero e d'inquietudine, qui con capelli rossi, viso cereo e abito nero quello della formidabile e incredibile Sona Cervená che si porta a spasso splendidamente i suoi 87 anni, che per uno scherzo del destino nel 1565 è stata costretta dal padre, medico e alchimista di corte, Hieronymus Makropulos, a bere una pozione magica preparata per l'imperatore d'Asburgo Rodolfo II e da questi rifiutata, e diventare nei suoi 337 anni di vita una delle maggiori cantanti di ogni epoca. Ogni sessanta/settant'anni cambia identità per non destare sospetti e nella sua lunga vita ha sempre mantenuto le iniziali "E.M.". Iniziali in stampato maiuscolo e minuscolo che appaiono ad inizio di spettacolo ma anche successivamente, impresse come un rebus su più righe illuminate a giorno su un grande sipario per quanto è grande il boccascena del teatro, per ricordarci che la donna fu all'inizio Elina Makropulos, poi la cantante scozzese Ellian MacGregor, quindi la spagnola Eugenia Montez, ancora la cantante russa Ekaterina Myshkin e infine Elsa Müller prima di diventare Emilia Marty. Nell'arco della sua singolare esistenza questa donna ha patito più d'una morte interiore e a causa dei cambiamenti di identità, necessari a nascondere la sua abnorme longevità, è incapace di amare. La scelta della bellezza senza fine l'ha costretta ad abbandonare innumerevoli figli, mariti e amanti. Nel 1922 ( è da qui che prende avvio il mirabolante spettacolo di Bob Wilson) pare che l'effetto dell'elisir di lunga vita stia per svanire e rifiutando l'idea d'invecchiare Emilia-Elina decide di ritornare a Praga, nella città dove tre secoli prima aveva avuto la sua incredibile avventura, per ritrovare la formula segreta e assicurarsi così altri trecento anni di vita e di giovinezza perché, dice, ha paura di morire. Qui dopo varie disavventure, testamenti andati perduti e poi ritrovati e cause in tribunale, la donna viene in possesso della formula che poi per incanto prenderà fuoco mentre poi slitterà lentamente verso la morte. C'è un uomo, una sorta di fool con bastone e lungo abito nero (Vladimír Javorský) che s'aggira tra i personaggi descritti, che qui appaiono come marionette o meglio come tanti "robot" ( "robota" in ceco, termine come è noto coniato dallo stesso Capek che così designava gli automi del suo famoso lavoro R.U.R. del 1920), agghindati con abiti lucidi simil-pelle di vari colori, con i visi imbiancati e truccati da clowns come in alcuni film di Fellini o come alcuni manichini di Oskar Schlemmer e caracollanti al ritmo di valzer e di dolci carillon. La scena re-inventata da Wilson è come sempre nuda, ampia, spaziosa e pulita nei colori e nelle forme, qui arricchita da una selva di faldoni che lentamente s'innalzano sino a raggiungere la graticcia e verso la fine si staglia un vistoso monolite kubrickiano dietro il quale un giudice discute la controversia finale. Uno spettacolo non facile da seguire per l'intrigato racconto in lingua ceca, reso fruibile attraverso la traduzione in inglese e in italiano su due monitor ai lati della scena e salutato alla fine da un oceano applausi. A quando caro Bob metterai in scena la vita di Matusalemme, patriarca biblico vissuto prima del diluvio universale sino a 969 anni?

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Ottobre 2013 13:36

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