di William Shakespeare
regia: Gabriele Lavia
costumi: Andrea Viotti
con Federica Di Martino, Pietro Biondi, Lorenzo Lavia, Tamara Balducci, Giovanna De Maio, Francesco Bonomo, Salvatore Palombi, Alessandro Riceci, Alessandro Cangiani
Verona, Teatro Romano, dal 3 al 7 luglio 2007
Roma, Teatro India, dal 23 settembre al 19 ottobre 2008
L'inizio col tavolo da prova per tutto il cas di Molto rumore per nulla di Shakespeare ricorda Vanya sulla 42ma strada di Malle. Una canzone sull'uomo ingannatore del II atto eletta a refrain, e la struttura da commedia musicale (con bei pianoforti), competono in esuberanza col film che ne ricavò Branagh. Il doppio binario di trame e complotti amorosi del testo messinese del Bardo risolti, con la regia "esterna" di Gabriele Lavia, in vitalità sovreccitata, virtuosismo atletico, giochi da commedia dell'arte o d'una sicula armata Brancaleone (vale per la ronda) sono un irriducibile ed energico manifesto del Lavia-pensiero. Con i rischi di maniera. Ma questa troupe quasi tutta giovane in cui eccellono Lorenzo Lavia (Benedetto) e Giorgia Salari (Beatrice) è una squadra da tutelare.
Rodolfo Di Giammarco
Su cosa sia, cosa debba essere o cosa sia destinato a diventare il teatro continuano ad accanirsi in appassionanti quanto sterili parapiglia sociologi e specialisti fin da quando l'alta eloquenza di Eschilo risuonò nella cavea deputata all'antica tragedia. Ma forse nessuno come Rousseau ne ha penetrato l'intimo senso di festa collettiva che unisce la ragione alla psiche in un indissolubile nodo.
Ed è a questo che si è rifatto con humour e intelligenza Gabriele Lavia quando ha deciso di mettere in scena quell'incantevole apologo intitolato Molto rumore per nulla in cui il Bardo, in un attimo di arioso gioco a rimpiattino sulle contraddizioni della natura umana, mescola nella figura del frate impiccione un grammo di Romeo e Giulietta, somministra nel caso di Claudio Geloso dell'incolpevole Ero i veleni di Otello e per finire esuma il gran contrasto della Bisbetica domata nel gran duello verbale tra Benedetto guerriero spregiator di femmine e Beatrice perversa nemica del maschio predatore e padrone.
Sul palco vuoto dove i giovani della compagnia, prima che la fabula inizi, si destreggiano in movenze ginniche al suono di un pianino simile all'organetto di Berberia cantato da Prévert, gli attori presto rivestiti dei manti regali attribuiti ai loro fantomatici personaggi agiscono il gran teatro della farsa slapstick, ma stavolta senza torte in faccia. Colloquiando a tratti con la platea in un confronto d'impianto processuale l'estroso e stralunato Benedetto del bravissimo Lorenzo Lavia dà il suo filo da torcere alla maschietta di turno Federica Di Martino inseguita a ruota, sulla strada giocosa della perversione da salotto, dall'ombroso Don Juan di Alessandro Riceci. Mentre, sull'altro piatto della bilancia, incuranti degli strepitosi quiproquo del Bargello e della sua Ronda di accoliti spiritati, l'aitante Claudio di Francesco Bonomo e la grazia svenevole della sua innamorata Tamara Balducci sembrano usciti dall'Heptameron, il libro di sospiri d'amore di Marguerite, regina di Navarra.
Enrico Groppali
Una compagnia di giovani attori intreccia la trama fitta d' inganni di Molto rumore per nulla di Shakespeare nella messinscena fresca e spumeggiante di Gabriele Lavia, che ha il sapore dell' incostanza e il rumore allegro e scomposto dell' estate della vita, in bella consonanza con le note della commedia nella quale intrighi e finzioni si annodano per parlare dell' amore. Amore di spiriti giovani che ora dichiarano di odiarsi, di disprezzare il matrimonio come Beatrice e Benedetto e due minuti dopo cantano il loro amore, ora dichiarano di amarsi per l' eternità ma basta un refolo di vento per passare all' odio e allo spregio come accade a Claudio che la notte prima delle nozze con Ero si fa ingannare dalle trame di don Juan, uomo impastato di caparbia cattiveria. Solo un ulteriore inganno permetterà alla verità di avere il tempo di riapparire, svelata da un gruppo di guardie cialtrone, un pò pupi e un pò macchiette siciliane (l' azione della commedia si svolge a Messina). Nello spazio vuoto, nero, due pianoforti, un lungo tavolo, molte sedie. I diciotto attori in maglietta e pantaloni neri annunciano le scene e indossano senza allacciarli o un corpetto o un abito d' epoca colorato, i bei costumi sono di Andrea Viotti, e il gioco del teatro nel teatro è svelato. La coppia protagonista è quella di Beatrice e Benedetto che non capiscono che il loro dichiarar guerra all' amore non è incapacità d' amare ma rifiuto delle convenzioni, lei un pò bisbetica da domare, lui spirito allegro che conosce, però, la distanza tra finzione e realtà e non teme quest' ultima, ed è bravo Lorenzo Lavia nel costruirlo con bella vivezza rifuggendo l' ovvietà. Temperamentosa come da copione la Benedetta di Federica Di Martino, bravo Pietro Biondi, il padre di Ero che malgrado i capelli bianchi non sa essere saggio al momento opportuno. Ma un plauso va a tutta la compagnia da Tamara Balducci a Giovanna De Maio, da Francesco Bonomo a Salvatore Palombi, a Alessandro Riceci, a Alessandro Cangiani in una messinscena che corre con il sapore di una festa, con una tumultuosità giovanile e qualche momento di pesantezza. Del resto lo spettacolo come la vita non può librarsi sempre negli alti cieli della poesia, e questo Shakespeare lo diceva e sapeva bene.
Magda Poli