di Nikolaj Gogol,
regia di Valery Fokin
scene e costumi Alexandr Borovsky, musica Leonid Desyatnikov, direttore musicale Ivan Blagoder, luci Damir Ismagilov
con (in ordine di locandina) Natalia Panina, Kira Kreilis-Petrova, Maria Kuznetsova, Igor Volkov, Dmitry Lysenkov, Pavel Yurinov, Andrey Matykov, Valentin Zakharov, Yulia Sokolova, Arkady Volgin, Kirill Menshchikov, Ivan Parshin, Galina Yegorova
Produzione Teatro Alexandrinsky, San Pietroburgo
Teatro Strehler – Milano 27 e 28 settembre 2008
Dopo aver assistito a Il matrimonio di Nikolaij Gogol, nella messinscena del Teatro Alexandrinsy di San Pietroburgo per la regia di Valery Fokin, ci si conferma nell’idea che molto ci sia da imparare dalle grandi scuole di teatro europee e non solo per la loro tradizione ma soprattutto per la vivida capacità di leggere i testi nella loro profondità. È questa la riflessione che viene spontaneo fare alla fine de Il matrimonio di Gogol, un testo che potrebbe essere liquidato come una commedia sofisticata, una satira di costume, una farsa sulla paura di sposarsi… Tutto ciò è ben presente nella ritrosia dell’immancabile funzionario a convolare a giuste nozze e negli intrighi e sotterfugi di amici e conoscenti che lo porteranno a capitolare, o almeno così sembra, salvo il colpo di scena finale. Il protagonista è – come spesso accade nei russi – affetto da un’inerzia oblomoviana che fa sorridere e racconta di una stasi esistenziale che è di un mondo, quella Russia del XIX secolo che molto a da dire al nostro oggi. Lo spettacolo del Teatro Alexandrinsy si apre e si chiude col protagonista Podkolyosin sul divano e proprio il divano è da un lato simbolo dell’inerzia dell’uomo ma anche spazio del sogno, consumato in un agitato dormiveglia. La costrizione al matrimonio è sollecitata dall’amico di turno e fa da specchio all’ansia da marito della promessa sposa che soffre della medesima insofferenza nei confronti del legame matrimoniale, insofferenza che si esprime nell’impossibilità di trovare il proprio uomo ideale, neppure in sogno. Ed è questa la parola chiave del brioso e intelligente allestimento firmato dal regista Valery Fokin. La scena del divano – cupa e soffocante – lascia presto il posto ad una stupefacente pista di pattinaggio su ghiaccio, una pista circolare su cui si svolge l’intera vicenda, in un contesto da allegro inverno moscovita, ma anche astrazione circense di una serie di situazioni assurde che hanno come due ‘clown’ i promessi sposi. Tutto ne Il matrimonio di Fokin funziona, quell’idea scenografica è idea drammaturgica e registica che porta l’azione in un luogo della mente e alleggerisce la natura caricaturale dei vari personaggi che pure persiste con grande eleganza e buon ritmo attoriale. La compagnia è ben assortita e ancora una volta ci si ritrova a sottolineare come le doti interpretative degli attori siano tali da far credere reali e intensamente presenti ogni gesto ed ogni tema. Alla fine si crede anche alla dichiarazione di sei pretendenti mariti, un carillon di assurdità e clownerie che divertono e immalinconiscono al tempo stesso. Il matrimonio di Valery Fokin della compagnia del Teatro Alexandrinsy è uno spettacolo non geniale, ma che ha tutte le carte in regola per fare breccia su un pubblico intelligente ed eterogeneo: propone un testo di apparente facile lettura, lo traspone in scena con acume e facendo intuire l’inquietante infantilismo di una borghesia annoiata, si affida ad un gruppo di attori ben rodati e in grande sintonia, sa far divertire con una comicità immediata ma mai grossolana, inquadrata in un contesto di pensiero registico che stimola l’analisi e la ricerca del sottotesto. Dietro all’apparente impostazione tradizionale de Il matrimonio si avverte un’operazione registica acuta che sa tener conto della leggibilità dell’azione teatrale e la necessità di interpretare con libertà creativa il testo di Gorkij.
Nicola Arrigoni