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MORTE DI DANTON - regia Mario Martone

Paolo Pierobon e Giuseppe Battiston in "Morte di Danton", regia Mario Martone Paolo Pierobon e Giuseppe Battiston in "Morte di Danton", regia Mario Martone

di Georg Büchner
traduzione Anita Raja
regia e scene Mario Martone
con (in ordine alfabetico) Giuseppe Battiston, Fausto Cabra, Giovanni Calcagno,  Michelangelo Dalisi, Roberto De Francesco, Francesco Di Leva, Pietro Faiella, Denis Fasolo, Gianluigi Fogacci, Iaia Forte, Paolo Graziosi, Ernesto Mahieux, Carmine Paternoster, Irene Petris, Paolo Pierobon, Mario Pirrello, Alfonso Santagata, Massimiliano Speziani, Luciana Zazzera, Roberto Zibetti
e con Matteo Baiardi, Vittorio Camarota, Christian Di Filippo, Claudia Gambino, Giusy Emanuela Iannone, Camilla Nigro, Gloria Restuccia, Marcello Spinetta, Beatrice Vecchione
costumi Ursula Patzak
luci Pasquale Mari
suono Hubert Westkemper
registi collaboratori Alfonso Santagata e Paola Rota
scenografo collaboratore Gianni Murru
produzione Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale
Al Teatro Carignano di Torino, dal 9 al 28 febbraio 2016

www.Sipario.it, 15 febbraio 2016

TORINO - La difficile conciliazione fra la lotta per una giusta causa, e la gestione liberale della vittoria di quella stessa causa, evitando abusi di potere che spesso causano guasti più gravi di quello cui s'intendeva porre rimedio. Anche la Rivoluzione francese è passata attraverso questa dinamica, dimostrando di fatto la vanità di qualsiasi nobiltà d'idee, a fronte dell'avidità di potere dell'uomo. Appunto, Morte di Danton analizza il doppio volto delle rivoluzioni sociali, la loro - purtroppo quasi sempre immancabile -, deriva autocratica, la sete di potere di coloro che un tempo erano gli oppressi, e adesso diventano gli oppressori.
Dalla vicenda umana e politica di Georges Jacques Danton prende le mosse il testo di Georg Büchner (1813-1837), autore del primo Romanticismo tedesco, a sua volta personaggio scapigliato che prese parte a numerose rivolte e manifestazioni in nome della libertà, contro l'oppressivo clima dei vari Stati tedeschi. Nel suo animo di giovane autore romantico impegnato, la vicenda di Danton - che morì sulla ghigliottina per aver osato sfidare il massimalismo del giacobino Rousseau -, esercitò un fascino invincibile, avendo per protagonista un uomo che credeva negli ideale con onestà intellettuale, con la consapevolezza di lottare per il bene dell'umanità, o comunque del popolo francese.
Nel suo testo, Büchner esprime un romanticismo atipico, che indaga non tanto i moti del cuore con le loro implicazioni esistenziali, bensì fa luce sulle passioni che muovono dall'avidità di potere, dall'attaccamento fanatico a un'idea, dall'invidia nei confronti del carisma altrui. Paradigma di questa infausta dinamica sociale, la "coppia diabolica" Saint-Just/Robespierre, sostenitori della causa giacobina, contrari a qualsiasi approccio moderato alla Repubblica nata sulle ceneri dell'Ancien Régime. Fausto Cabra e Paolo Pierobon incarnano con grande efficacia drammaturgica Saint-Just e Robespierre, ne portano sul palcoscenico l'energia che dispiegavano nei comizi, l'altero e severo portamento di chi vota tutto sé stesso a una causa, e a loro modo lo fanno con estrema coerenza. O quasi. Vero è che rifuggono qualsiasi piacere dell'esistenza (con uno zelo simile a quello dei calvinisti), perché "una società che ha strappata la veste all'aristocrazia", non può ereditarne la "lebbra del vizio". E tuttavia, Robespierre ne ha ereditata la lebbra del potere, e con lui Saint-Just e i loro accoliti. E alle aspirazioni di uguaglianza e giustizia sociale rivendicate dal popolo nei caldi giorni d'agosto, si reagì soltanto eccitando gli animi a nuovi massacri di aristocratici e borghesi lealisti, senza però risolvere il problema della carestia, della disoccupazione, della povertà. E quando una deputazione lionese verrà a Parigi per chiedere che cessino i massacri, la sua istanza verrà respinta.
Su queste due posizioni, massimalismo e moderazione, si gioca lo scontro fra Robespierre e Danton, ognuno attorniato dai suoi seguaci: Barère, Billaud-Varenne, Collot d'Herbois da una parte, Desmoulins, Hérault de Séchelles, Lacroix e Philippeaux dall'altra.
L'eroe "romantico" di questo dramma è appunto Georges Jacques Danton, foscolianamente "bello di fama e di sventura", che non credeva nell'efficacia del Terrore, contrapponendogli una linea liberale e tollerante, che rifugge l'assassinio di Stato e le persecuzioni di classe. Giuseppe Battiston, che un po'ricorda Danton nel fisico robusto, lo rende sul palco con straordinaria efficacia, calandosi nel personaggio e mostrando al pubblico sia il suo lato libertino, sia quello del pensatore politico, sempre però legato all'uomo; è infatti un convinto epicureista, scettico in fatto di religione, ma pronto a indulgere ai piaceri, in particolare alle donne. E sono, queste, una sorta di seconda coscienza dello spettacolo, in particolare la moglie di Camille Desmoulins, pronta a condividere la stessa sorte del marito, morendo ghigliottinata pochi giorni dopo di lui. È però, quello delle donne, un punto di vista decisamente apolitico, portato avanti più con la passionalità che con la fredda razionalità.
Cruciale, nella vicenda, il ruolo del popolo francese, universalmente rappresentativo di tutte le masse eccitate, cresciute però nell'ignoranza e scevre di senso critico: pur mostrandosi all'inizio favorevole a Danton, e contrario alla sua condanna a morte, dopo un'accorta arringa di Robespierre, che non difettava di carisma (magistralmente reso da Pierobon), è pronto a rinnegare il sostenitore della libertà. Emblematicamente, questo popolo fatto di donne, vagabondi, prostitute, guardie repubblicane, canterà davanti al patibolo La Carmagnole, inno rivoluzionario che incita alla violenza (viene però alla mente anche l'acquiescenza del popolino romano, che più bonari mante si disinteressava di politica, cantando Gira de qua, gira de là, semo romani volemo canta'). Una scena suggestiva nell'allestimento di Martone, ma triste per i risvolti che implica: sinché il popolo non avrà sviluppata una sua coscienza, qualsiasi rivoluzione è destinata a fallire. A poco servono i bagni di sangue, è sulle coscienze che si deve lavorare.
Lo spettacolo, costruito in larga parte su scene corali di ampio respiro estetico e drammaturgico, mostra con efficacia lo scontro cruciale all'interno fra le correnti rivoluzionarie, e al dramma politico affronta quello umano, regalando al pubblico struggenti e violenti ritratti di uomini che credevano nelle loro idee - per le quali furono disposti anche a morire -, e che sono attraversati da stati d'animo particolarmente intensi: la fredda solitudine di Robespierre, gli innamoramenti facili di Danton, l'affetto di Camille per la giovane moglie. Importanti anche le figure femminili, mogli o prostitute che siano, che danno la misura degli umori del popolo: qualcuna seguace di Danton, altre fedeli a Robespierre. Il quale, con una subdola manovra, inscena un processo sulla base di false accuse, e incrimina di alto tradimento Danton e i suoi "discepoli".
Durante la breve prigionia, si osserva uno spaccato delle carceri repubblicane, delle quali fu ospite anche il filosofo americano Thomas Payne (un interessante Paolo Graziosi), e che dimostra la scarsa tolleranza di Robespierre nei confronti degli avversari politici.
I giorni cruciali fra marzo e aprile del 1794 vengono consegnati alla storia anche attraverso il palcoscenico, grazie a uno spettacolo corale caratterizzato da un'interpretazione particolarmente energica di tutto il cast, un affresco sociale e psicologico che ritrae uno spaccato d'umanità fra splendori e miserie, grandi ideali e meschinità, coerenza e contraddizioni.
La regia di Martone asseconda il testo originale, e ne dispiega la bellezza sia nelle sontuose scene che richiamano l'atmosfera di certe tele di David o Delacroix, sia nella regia, che segue fedelmente il respiro del testo originale, riuscendo quindi a catturare lo spirito di un'epoca breve ma intensa, nel corso della quale, nel bene e nel male, si è scritta anche la storia dei secoli a venire. Inutile ricordare come il socialismo massimalista, che sarà alla base di tante dittature, sia nato dalle teorie rigidamente egalitarie di Rousseau e Robespierre, e poco importa se Stalin non li ha letti. Altrettanto inutile ricordare la spietatezza con cui tutti i regimi dittatoriali hanno eliminati i loro avversari. In questo risiede l'universalità del testo, che costituisce un efficace e intelligente esempio di teatro civile e politico, che parla direttamente alla coscienza dell'uomo, facendo appello al suo spirito critico; un testo intriso di scetticismo illuminista, di romantica devozione ai propri ideali (Danton), di fredda esecuzione dei meccanismi del potere (Robespierre), di libertinaggio appena accennato, e, non ultima, della sofferenza di un intero popolo. E ancora, il testo è un attacco vibrante al potere, un'amarissima riflessione sui metodi da esso utilizzati per eliminare gli avversari, o, più semplicemente, le persone oneste che intralciano ambizioni personali o loschi traffici. Anche la storia italiana recente annovera i suoi molti, troppi, Danton. Con lui e i suoi seguaci, non muoiono soltanto cinque uomini, muore anche quel volto umano del potere che, se non avesse perso questi suoi campioni, avrebbe forse potuto dare un volto diverso alla Repubblica francese, e fatto probabilmente scuola nel resto d'Europa. E anche il Novecento sarebbe forse stato diverso.

Niccolò Lucarelli

Ultima modifica il Lunedì, 15 Febbraio 2016 16:01

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