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MEDEA - di Paolo Magelli

Valentina Banci in "Medea", regia Paolo Magelli Valentina Banci in "Medea", regia Paolo Magelli

di Seneca

traduzione Giusto Picone

regia Paolo Magelli

scena e costumi Ezio Toffolutti

musiche Arturo Annecchino

regista assistente Luca Cortina

progetto luci Roberto Innocenti
Medea Valentina Banci

Giasone Filippo Dini

Creonte Daniele Griggio

Nutrice Clara Galante

messaggero Diego Florio

corifee/corifei Elisabetta Arosio, Simonetta Cartia, Clara Galante, Giulia Diomede, Diego Florio, Lucia Fossi, Ilaria Genatiempo, Viola Graziosi, Doriana La Fauci, Sergio Mancinelli, Francesco Mirabella

bambini Gabriele Briante, Giovanni Cianchi
costumi Laboratorio di sartoria Fondazione Inda Onlus

scenografie Laboratorio di scenografia Fondazione Inda Onlus

produzione Teatro Metastasio di Prato, Fondazione Inda Onlus - 51° ciclo di rappresentazioni classiche

Prato, Teatro Metastasi dal 5 al 10 aprile 2016

www.Sipario.it, 3 aprile 2016

PRATO - Desta profonda impressione come, già due millenni orsono, il pensiero greco fosse riuscito a comprendere e descrivere l'indole dell'umanità, a inquadrarla con tale acutezza al punto che quelle riflessioni corrispondono ancora alla realtà. L'anelito di libertà del singolo, la sua vocazione al libero pensiero, si scontra inevitabilmente con la massa amorfa e vile, asservita al potere e incapace di rinunciare alla propria meschina tranquillità. Archetipo di questo modo di essere, la bella e spregiudicata Medea, che per amore di Giasone trafugherà il vello d'oro del padre Eete, e con lui fuggirà a Corinto dopo aver ucciso il fratello Absirto per impedire al padre di seguirla e allontanarla da Giasone. Il mitologico personaggio di Medea, con le sue implicazioni, è stato affrontato da Euripide, Ovidio, Draconzio e Seneca. È la versione di quest'ultimo che Paolo Magelli riprende per il suo allestimento con Valentina Banci nelle vesti della protagonista, colta nel momento di essere ripudiata da Giasone, che adesso le preferisce la più giovane Creusa. Il testo di Seneca tralascia gli antefatti legati al vello d'oro, restituendoli soltanto per via didascalica nei dialoghi della tragedia, che si concentra sui tormenti interiori di Medea, decisa a ogni costo a vendicarsi di Giasone e di Creonte (il re di Corinto padre di Creusa, che l'ha condannata ingiustamente all'esilio).
La scena si apre con le invocazioni di Medea agli dèi delle tenebre, affinché l'aiutino nel compiere la sua vendetta, nel trovare il modo migliore per colpire Giasone, e lasciargli indelebile memoria dell'accaduto. Ma quella che a prima vista può sembrare una donna malvagia, è in realtà una donna dal coraggio non comune, che ha più volte salvata la nave Argo - riportando a terra i migliori intellettuali della Grecia Antica -, che ha ucciso per amore di Giasone, sacrificando per lui i suoi precedenti affetti, e che adesso si sente offesa nella sua essenza di donna, e porta il suo dolore davanti alla nutrice (Clara Galante), e a Creonte (Daniele Griggio). La prima, donna saggia, che comprende le ingiustizie, ma sa di non avere la forza per opporvisi, consiglia a Medea di fuggire, per evitare ulteriori disgrazie. Il perfido Creonte, dopo aver ascoltati gli strazianti lamenti della donna, le accordo semplicemente un giorno di tempo per rivedere i suoi figli prima di partire per l'esilio. È in questo momento che Medea concepisce la sua vendetta, capendo l'amore che Giasone prova per loro, e decidendo di ucciderli per arrecargli un dolore che sia il più profondo possibile.
Lo spettacolo allestito da Magelli porta sul palco il tormento interiore di Medea, combattuta fra l'istinto materno e il desiderio di vendicarsi dell'ingiustizia subita. Valentina Banci regala un'interpretazione particolarmente intensa, costruendo una Medea combattiva, indurita dalla sofferenza, divisa fra l'amore per i figli e l'odio per Giasone, ma soprattutto costretta a combattere da sola, isolata all'interno di una comunità prona alle decisioni del potere. Il coro che la affianca sul palco, è infatti la metafora del servilismo, con le sue invocazioni agli dèi per la buona riuscita del matrimonio di Giasone e Creusa, con le sue nostalgie per i tempi andati, l'epoca in cui gli uomini vivevano in modo spartano e «ognuno radeva pigramente la propria costa o invecchiava nel proprio campo, non conoscendo altri beni che quelli del suolo natio». In queste parole sta la chiave della posizione di Medea: a Corinto, lei nata in Colchide, è una straniera, che ha portato soltanto scompiglio nelle tranquille abitudini dell'isola, e adesso merita di essere ripudiata. Nessuno, invece, le rende merito per aver salvata la nave Argo. Il teatro greco è l'esempio più fulgido in fatto di acutezza di pensiero sociologico, e la vicenda di Medea è ancora oggi il simbolo di tante situazioni di oppressione, in ogni angolo della Terra.
Toccante e spettrale insieme, il confronto fra Medea e Giasone, che avviene sotto luci soffuse, sul grande palcoscenico coperto di sabbia, e il gioco delle ombre proiettato sulle pareti. Due individui ormai lontanissimi l'uno dall'altra, divisi da quell'istinto di egoismo che caratterizza l'animo umano; Medea tenta invano di convincere Giasone a fuggire con lei, e ottenuto un rifiuto, prosegue nella sua doppia vendetta, di uccidere Creusa con un mantello avvelenato (e Creonte, che accorre inutilmente per salvare la figlia); dopo di che si avventa sui figli, e compie su di loro la più atroce delle vendette. Giasone resta annichilito dal dolore, ma la stessa Medea, sopraffatta da un estremo impeto di amore materno, muore di crepacuore, e viene sepolta nella sabbia al suono di una sinistra musica tribale. Magelli allestisce uno spettacolo sottilmente violento, come suggerisce anche la particolare colonna sonora, che sceglie anche brani rock e dance, che calano la vicenda in una sorta di atmosfera precedente a un sacrificio (come di fatto avverrà).
Una donna, Medea, esule per amore, e per amor di libertà, e in quel suo vagare è l'antesignana della Libertà d'illuministico impeto, che guida (senza successo) il popolo alla conquista del libero pensiero, strumento imprescindibile per non essere schiavi; il suo esilio ricorda quello di tante figure dell'Italia risorgimentale, percorsa da Nord a Sud da centinaia di liberali in fuga dalle persecuzioni del potere (fece eccezione il Principe di Canosa, unico esule per amor di tirannide). Magelli infonde allo spettacolo una violenza quasi soreliana, tanto è intensa nel difendere e ribadire le ragioni che l'hanno mossa: l'amore, appunto, ma anche la volontà di "esportare" la sapienza di due mondi lontani, Corinto e la Colchide, e cercare di farli incontrare.
Medea lo si può quindi pensare alla stregua di un dramma sociale, ma anche di un dramma politico, incentrato sul primato del libero pensiero (sulla scorta della maieutica socratica; sono domande ben precise, quelle che Medea rivolge a Giasone, a Creonte, al coro). Valentina Banci, splendida e intensa Medea del Duemila, idealmente prende per mano la massa istupidita dalla televisione, e la spinge a mettersi in cammino per ritrovare un minimo di senso critico, per riscoprire il piacere del libero pensiero, per non chinare la testa di fronte all'iniquità del potere.

Niccolò Lucarelli

Ultima modifica il Venerdì, 08 Aprile 2016 08:50

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