di Eduardo De Filippo
Spettacolo per attore cum figuris
regia Lello Serao
da un'idea di Vincenzo Ambrosino e Luca Saccoia
con Luca Saccoia
spazio scenico, maschere e pupazzi Tiziano Fario
manovratori Salvatore Bertone, Paola Maria Cacace, Lorenzo Ferrara, Oussama Lardjani, Irene Vecchia
formazione e coordinamento manovratori Irene Vecchia
luci Luigi Biondi e Giuseppe Di Lorenzo
costumi Federica del Gaudio
musiche originali Luca Toller
realizzazione scene Ivan Gordiano Borrelli
assistente alla regia Emanuele Sacchetti
datore luci Paco Summonte
mastering Luigi Di Martino
fonica Mattia Santangelo
progetto grafico Salvatore Fiore
documentazione video Francesco Mucci
direttore di produzione Hilenia De Falco
un progetto a cura di Interno 5 e Teatri Associati di Napoli
in coproduzione con Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
con il sostegno della Fondazione Eduardo De Filippo e del Teatro Augusteo per i 90 anni di Natale in casa Cupiello
Al Piccolo Bellini di Napoli dal 20 dicembre 2022 all’8 gennaio 2023
L’innovazione che va ad installarsi sullo spirito della tradizione è spesso ultimamente una linea guida di molti eventi, performance e spettacoli che nel teatro e nel mondo audiovisivo dell’oggi spopolano, godendo di grande successo di pubblico. Al Teatro Bellini questa novità e questa originalità sono da anni però la base della scelta degli spettacoli da selezionare per le stagioni che di anno in anno conquistano il pubblico. E così nella cornice ristretta, ma quanto mai raccolta, intima del Piccolo Bellini, luogo perfetto per uno spettacolo di Natale, familiare come davanti al camino invernale, va in scena Natale in casa Cupiello, fedele al testo del maestro Eduardo De Filippo e forse per questo rischioso, perché suscettibile di confronti e paragoni spesso scomodi e preoccupanti per i suoi protagonisti. E invece ogni opera, pur rispettando le sue origini e le sue idee per dir così primordiali, va presa, vista e considerata in sé e per sé, come un regalo che dia agli spettatori la possibilità di essere apprezzato per ciò che è, con le sue caratteristiche ed i suoi strumenti. In particolare in questo caso, la pièce si configura come uno spettacolo per attore cum figuris, perché la regia di Serao, punta sulle straordinarie capacità di Luca Saccoia, per sfruttarne parola, gesti, emozioni, espressioni e mani. Sì, le sue mani che manovrano, insieme ad altri esperti manovratori che diverranno poi sul finale anche voci dei loro stessi burattini, marionette di perfetta fattura, come pastori del presepe in un enorme presepe. L’ambientazione è poetica, quasi magica, perché lo sfondo scenografico è, artigianalmente disegnato come uno scenario di bambini, costituito di tutti gli elementi abbozzati e colorati, della stanza di “Lucariello”, la stella cometa del presepe e il presepe stesso, la lettera che Ninuccia scrive d’impulso confessando il suo vero amore, il letto, il comodino, il caffè, il freddo di fuori con la neve che scende dall’alto e la famosissima zuppa di latte. E poi porte e finestre, cornici che come quadri viventi d’improvviso si animano, lasciando spazio ed aprendosi ai volti degli altri protagonisti, marionette, appunto, rese parlanti dalle voci dei loro burattinai (Salvatore Bertone, Paola Maria Cacace, Lorenzo Ferrara, Oussama Lardjani, Irene Vecchia), ma anche e soprattutto dall’attore principale Luca Saccoia. Attore e regista nato nel 1975 a Napoli, Saccoia è un autodidatta che ama ricercare il proprio stile come un viaggiatore, esplorando quindi se stesso e le svariate possibilità dell’arte. Lavora tra teatro, cinema e tv, collaborando, tra gli altri, col teatro San Carlo di Napoli come voce recitante e cantante solista per progetti legati ai giovani allievi di scuole primarie. Presente tra le maggiori compagnie di teatro italiane, ha poi fondato con amici e colleghi l’associazione Nerosesamo nel 2008 con la volontà dichiarata di “fare errori per conto proprio” sia in teatro che nell’audiovisivo. Con i suoi spettacoli ottiene ottimi riscontri di critica e pubblico, ma continua a ricercare, attraverso il lavoro e lo studio, il bello e la poesia. Le mani, dicevamo, Le mani di queste marionette non sono affatto statiche, no, anzi: le mani parlano. Eh sì, proprio come si diceva del pittore Leonardo Da Vinci per i suoi quadri, ad esempio L’Ultima cena, dove le mani dei personaggi disegnati ci fanno capire esattamente il loro atteggiamento, le loro espressioni e tutto quello che ci vogliono dire, anche qui, le loro mani parlano perché con un gesto, un movimento, un’inclinazione del corpo, della testa, ma soprattutto appunto delle mani, noi potremmo facilmente indovinare quello che ci sta comunicando ogni personaggio. Luca non si ferma mai, riesce a parlare con una velocità impressionante, dando però colore e tono, oltre che significato, alle sua parole, cambiando suono, personalità e registro ogni volta che, tra una battuta e l’altra, dona la sua voce ad un burattino diverso, a se stesso o al burattino di se stesso. Italo Calvino diceva che un classico è quel testo che non ha mai smesso di dirci qualcosa ed è per questo che bisogna continuare a leggerli, anche dopo anni, secoli, perché avranno sempre, in ogni loro forma, qualcosa ancora da dirci e da regalarci. Molte volte pensiamo che la spettacolarità vera sia il mettere e poi vedere in scena migliaia di attori, figuranti e ambientazioni che cambiano in continuazione, magari con effetti speciali e invece, senza nulla togliere ai grandi allestimenti per palchi smisurati, questa semplicità rivela in realtà una ancor più difficile prova d’esecuzione perché la vera bravura si vede quando sei solo, o quasi solo, su di un palco e sai modellare mille voci, dispiegar centinaia di caratteri, donarti ai tuoi spettatori senza riserve, perché c’è la verità del personaggio e anche la verità del suo attore. Ecco quindi uno sfondo in cui man mano che vengono chiamati in causa gli elementi s’illuminano, disegni di artigiani della bellezza, voci e colori di una Napoli andata e tuttavia che forse non andrà mai via davvero, un volume della vita più alto, pur mantenendo quel sottotono di un tenore dell’esistenza basso eppure dignitoso. La sottile e velata malinconia che cresce a poco a poco durante tutto il testo, trasformandosi sul finire in tristezza è fedele alla scrittura originaria, chiamata a testimoniare il fatto che ogni famiglia che si rispetti, anche in una festa d’amore e di unione come il Natale, cela anche involontariamente, insoddisfazioni, paure, ansie ed incertezze che sono poi gli ostacoli della vita, le debolezze umane nelle difficoltà e nell’infelicità di ogni giorno, che vanno però rinquadrate nell’ottica della ricerca continua di quella felicità tanto soggettiva quanto forse momentanea, che per tutta la vita rincorriamo e che magari è già accanto a noi. Tommasino risponde sempre di no alla domanda del padre, così tanto legato al suo presepe, orgoglioso forse più che della sua stessa persona della sua opera, unico tesoro per lui rito così tradizionale e prezioso da esibire, con conseguente tenerezza, a chiunque passi per quella casa, fatto con le sue mani, con tutto l’amore che questa artigianale fattura può rappresentare. Risponde di no forse più per dispetto, per ribellione, per rabbia che per altro, risponde no per gridare la sua disperazione da una condizione da cambiare, ma poi, quando alla fine la domanda (artisticamente presente anche sugli specchi del foyer del Teatro Bellini) ritorna dolcemente, lui dice di sì e in questo caso non è soltanto il compiacere da parte di un figlio il padre morente, ma è un nuovo inizio, una nuova consapevolezza, verso un futuro in cui credere un po’ di più. Un’opera teatrale in 3 atti, che è una tradizione delle Feste, tragicomica scrittura di Eduardo che dal 1931 arriva fino a noi come una delle commedie più conosciute del drammaturgo napoletano ed uno dei suoi lavori più brillanti, rappresentata per la prima volta proprio nel giorno di Natale. Sarà perché è un classico, sarà perché a Napoli è una tradizione come lo sono i presepi (San Gregorio Armeno ce li offre tutto l’anno, spettacolo gratuito di modelli a cielo aperto), ma è proprio uno splendido regalo di Natale, da scartare con gli occhi e con le orecchie. E a voi, piace il presepe?
Francesca Myriam Chiatto