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ODORE ASSORDANTE DEL BIANCO - VINCENT VAN GOGH (L') - regia Alessandro Maggi

Alessandro Preziosi in "L'odore assordante del bianco", regia Alessandro Maggi Alessandro Preziosi in "L'odore assordante del bianco", regia Alessandro Maggi

di Stefano Massini
con Alessandro Preziosi
e con Francesco Biscione
Massimo Nicolini, Roberto Manzi, Alessio Genchi, Vincenzo Zampa
scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
disegno luci Valerio Tiberi e Andrea Burgaretta
musiche Giacomo Vezzani
supervisione artistica Alessandro Preziosi
regia Alessandro Maggi
Teatro Comunale di Carpi, 2 Febbraio 2019

www.Sipario.it, 7 febbraio 2019

Sabato 2 Febbraio 2019, il Teatro Comunale di Carpi ha fatto da cornice a L'odore assordante del bianco, di Stefano Mannini.
Può un colore essere assordante? Può un colore avere un odore? L'ossimoro racchiuso nel titolo dello spettacolo è già chiave di lettura importante per aprirci le porte di un mondo altro, quello del manicomio di Saint-Paule de Mausole e del suo ospite speciale.
Tramite una regia scarna e intensa, viene restituito al pubblico un Vincent Van Gogh inedito, così come inedita è l'interpretazione di Alessandro Preziosi, capace di entrare nei panni del noto pittore olandese, quasi in punta di piedi, con molto garbo e rispetto.
Ritratto in uno dei momenti più duri della vita, ovvero la reclusione in una struttura di sicurezza per cosiddetti "malati mentali", il Van Gogh di Massini è un uomo con tanto da dare, ma perso nel mare dei propri tormenti interiori.
Siamo di fronte a un testo immediato, ma ricco di complessità. Il fatto che il colore Bianco, spesso associato alla figura di Dio, assuma una consistenza tale da avere un odore si rispecchia in modo perfetto attraverso la scelta stilistica legata alla scenografia. Su una superficie inclinata attorniata da pareti bianche si muove il corpo di Vincent che prova a liberarsi da un camice di forza anch'esso bianco.
Alle sue spalle la figura di un uomo, si tratta di Theo, suo fratello che in questo caso funge da specchio/antagonista. Il dialogo tra i due cattura da subito l'attenzione creando un rapporto alchemico con lo spettatore.
Quanto rumore fra le pareti bianche di Saint-Paul. Le voci che attanagliano la mente di colui che è ritenuto uno dei maestri dell'arte, sono vere? E' solo lui a percepirle? Quanto rumore sembrano fare. Nella mente di un creativo come Van Gogh tutto diventa subito motivo per essere tradotto in immagini e la pittura unica finestra su un mondo che non gli apre le sue porte. I colori, soprattutto, unica arma per constrastare il grigiore.
Esiste libertà d'espressione in un luogo così?
-Se Dio esistesse, lo rinchiuderebbero a Saint Paul- recita, a un certo punto Preziosi e il suo tono in quel momento è così puro e tenero da somigliare a un bambino.
Oppure no. Somiglia all'uomo quando è privo di maschere, nella purezza di una verità detta come fosse la cosa più naturale del mondo.
Questa frase forte, espressa in una forma drammaturgica perfetta, capace di una sintesi poetica e graffiante, viene pronunciata proprio dalle parole di Vincent, uomo ancor prima che artista, scisso come chi si trova a dover combattere una guerra che non desidera, quella tra sè e il mondo esterno.
Diviso.
Questo uomo obbligato a stare rinchiuso, legato, oppresso all'interno di un luogo dove non viene capito, ma considerato pericoloso, subisce la repressione della sua arte e si trova a dover combattere in maniera maldestra, ma assai decisa, pronto a tutto pur di farsi valere.
Tra soluzioni sceniche intriganti e una recitazione pulita di sicuro impatto, L'odore assordante del Bianco è metafora del mondo stesso. Chi è il vero malato? Il visionario che vede bellezza laddove non c'è per trasformarla in arte? O il sistema che vuole rieducarlo all'omologazione spegnendo ogni barlume di luce?
Temi sempre vivi ed attuali, interrogativi che riaffiorano ogni qualvolta ci si accosta alla figura dell'artista.
L'odore assordante del bianco porta -finalmente- in scena un testo.
Quando alla base di uno spettacolo vi è una drammaturgia di alto livello, anche la recitazione ne beneficia inevitabilmente.
L'intero cast -coordinato dalla magistrale regia di Alessandro Maggi- recita "al servizio" del testo in un matrimonio ben riuscito tra ruoli che si intersecano senza sovrapporsi.
Non ci sono esercizi di stile o manierismi: questo spettacolo rispetta talmente tanto l'uomo Van Gogh da volerlo raccontare nel migliore dei modi possibili, senza violentarlo.
Oltre a portare in scena un mirabile ritratto del pittore, il testo mette in luce una serie di altri temi alquanto interessanti da un punto di vista strettamente antropologico: come ad esempio l'abuso di potere perpetuato dal meschino capo reparto Dottor Vernon-Lazàre, interpretato magistralmente da Roberto Manzi.
Al narcisista Vernon-Lazàre, piace l'idea di punire e umiliare tanto da arrivare a compiere un gesto estremo verso l'arte di Van Gogh.
Chi è dunque il vero malato?
Vincent che reagisce dietro evidente provocazione o il maligno e razionale Vernon-Lazàre, dominato in realtà solo dalla propria vanesia arroganza?
A tener testa a questo personaggio demoniaco, che arriva in scena coi suoi baffetti impertinenti è invece la figura del Dottor Peyron, che si pone in netta antitesi.
Il Dottor Peyron si complimenta con Vincent per aver ridimensionato l'ego di Vernon e grazie a domande mirate e la voglia vera di comunicare da quest'ultimo scaturisce un'interessante indagine psicologica capace di dar vita a un dialogo che restituisce dignità a un animo troppo spesso frainteso e torturato dall'umana ignoranza.
Finalmente qualcuno ascolta quest'uomo che è stato sempre e solo giudicato, qualcuno vuol sentire la sua versione dei fatti, qualcuno vuole curarlo e non attaccarlo.
Gli si tende la mano e una lacrima di commozione scende in mezzo al pubblico, come se finalmente il pittore olandese che ci ha regalato tele d'inestimabile valore, offrendoci i suoi colori, potesse anche lui ricevere un dono, quello più grande: quello dell'ascolto, della comprensione senza pregiudizi. Come se finalmente anche lui potesse avere uno spazio suo, privo di invasioni.
Ed è proprio in quell'ascolto vero e reale che Vincent sembra rivelarsi, aprirsi.
Il suo mondo ovattato, la sua sorda introspezione, rivive nella voce di un Vincent bambino che amava talmente tanto il fratello Theo da vederlo in età adulta anche dove non c'è, da percepirne la voce anche laddove non esiste suono alcuno. Un amore fraterno e bellissimo che rende visionari e sordi poichè troppe sono le voci di un passato che trattiene e logora, ma capace anche di redimere e liberare.
Il ricordo di Theo è la culla, il riparo dalla crudeltà di una realtà troppo distante dalla sensibilità del pittore.
Un caos perenne, un dimenarsi continuo tra realtà e immaginazione.
La confusione di chi si trova a dover combattere con se stesso semplicemente perchè non accettato in quel valore immenso che è la propria unicità.
Il Van Gogh di Massini, ad ogni replica, riceve applausi e standing ovation anche per questo. Perchè racconta Vincent, l'artista par excellence e ritraendolo nella sua magnifica fragilità.
Non ne esalta i momenti di forza e successo, ma lo rende vicino a noi attraverso la narrazione di un percorso doloroso.
La scelta di far interpretare questo ruolo ad Alessandro Preziosi si rivela più che mai vincente.
L'aderenza naturale alla dolce follia del bambino - uomo Vincent si esprime attraverso una fisicità essenziale, dove vengono messi in risalto soprattutto i piedi.
Si, esatto. Nudi e vivaci, si muovono come dipingessero concetti, come un uomo governato dalla razionalità mai farebbe.
Van Gogh è l'unico in scena ad avere paradossalmente i piedi ben piantati a terra.
Quest'umano circondato da persone non affini alla sua natura libera e creativa, riuscirà a ritrovare se stesso? Verrà ritenuto, infine, idoneo? O come si suol dire in gergo comune: sano? Potrà tornare alla sua tanto amata libertà? In mezzo ai colori che vivono dentro e fuori di lui? Realtà e finzione si mescolano di continuo. Verità e illusione si alternano, in quella che è una pièce unica nel suo genere.

Uno spettacolo come L'odore assordante del bianco è quel che serve in questa società fatta di troppi lavori in serie. Il testo è importante anche per ricordare che un po' di sana imperfezione fa bene, in quel valore incredibile che è la diversità.
Importante anche capire come si possa reciprocamente guarire, curando i propri demoni che spesso sono solo ferite e nulla più.
Da un ascolto di qualità possono nascere fiori (o in questo caso, consentitemi di dire Girasoli), di inestimabile valore.

Dafne D'Angelo

Ultima modifica il Domenica, 10 Febbraio 2019 17:59

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