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OPERA DA TRE SOLDI (L') - regia Robert Wilson

L'Opera da tre soldi L'Opera da tre soldi Regia Robert Wilson

di Bertolt Brecht
musiche di Kurt Weill
regia, scene e ideazioni luci: Robert Wilson
costumi: Jacques Reynaud, co-regia: Ann-Christin Rommen, direzione: Hans-Jörn Brandenburg, Stefan Rager
con la Compagnia dei Berliner Ensemble
Festival dei 2 Mondi di Spoleto
Spoleto, Teatro Nuovo, 5 e 6 luglio 2008
prima assoluta: 27 Settembre 2007 al Berliner Ensemble
Teatro Valli di Reggio Emilia, il 12 dicembre 2010

www.Sipario.it, 17 dicembre 2010
Panorama, N. 8, 2008
Giornale di Sicilia, 7 lugio  2008
Avvenire, 8 lugio  2008
Il Messaggero, 5 luglio  2008
Corriere dlla Sera, 7 luglio  2008

Bisogna prenderla alla larga per parlare dell'Opera da tre soldi di Brecht nella versione capolavoro del regista Bob Wilson, realizzata dagli straordinari attori del Berliner Ensemble, in scena al teatro Valli di reggio Emilia. Bisogna partire proprio dalla Fondazione I Teatri di Reggio Emilia alla guida artistica della quale è stato confermato fino al 2012 Daniele Abbado. Si crede che nel riferire della scelta coraggiosa e sublime di proporre nei cartelloni di lirica e prosa, l'Opera da Tre Soldi di Brecht sia doveroso dire della volontà artistica che è sottesa a questa decisione, dire della voglia – evidente – di investire con coraggio sui linguaggi della contemporaneità, del desiderio di immaginare un pubblico trasversale, locale e non, giovane e meno giovane interessato a quanto accade in scena, informato e soprattutto attento e curioso. Si crede che nella conferma del direttore artistico e nell'impegno organizzativo ed economico profuso ci sia la voglia di muovere le acque, di mostrare quanto il teatro possa fare per la crescita della comunità, per l'educazione dei giovani. E pieno di giovani era il Valli per L'Opera da Tre Soldi di Brecht che Bob Wilson ha ambientato in uno spazio di elegante minimalismo, come sua abitudine. Wilson declina la storia di Mackie, capo di una banda di malavitosi londinesi e del suo matrimonio con Polly, la figlia di Peachum, proprietario della ditta L'amico del mendicante rielaborando l'iconografia dei film degli albori del cinema, con particolare attenzione ai grandi capolavori di Chaplin e attingendo a piene mani dalle opere espressioniste di Rudolf Schlicher o di George Grosz. La scena finale dell'impiccagione e dell'improbabile salvezza in extremis di Mackie, graziato dal re, è invece un'esplicita citazione della messinscena dell'Opera da Tre Soldi del 1928 a firma di Brecht. L'apertura è da urlo con quei meccanismi luminescenti che raccontano di un'industrializzazione agli albori e gravida di speranze, ma anche pronta a tritare gli uomini. Alla ribalta il racconto di quanto accade in scena, la presentazione dell'argomento per evitare l'immedesimazione. Il trucco bianco laccato, gli occhi cerchiati, le sopracciglia disegnate fanno di ogni personaggio una maschera grottesca, espressionista. Il segno ricorrente è quello delle sbarre della prigione in cui più volte sarà rinchiuso Mackie, sbarre luminose che definiscono lo spazio scenico insieme alle luci. Qualche panca, un letto, la forca e le già citate sbarre sono gli unici orpelli scenici e poi L'Opera da Tre Soldi di Bob Wilson è un tripudio di colori, è un gioco di luci in cui si riflette il mondo terribile diei bassifondi e della miseria, raccontato con austera secchezza e con poetica inventiva. E sì perché ogni volta Bob Wilson – pur fedele a se stesso – stupisce e riesce a declinare la propria estetica con intelligenza, mettendola al servizio del testo che affronta. Questo è accaduto in maniera perfetta nell'Opera da Tre Soldi in cui tutto si tiene magicamente senza alcuna sbavatura. Ciò è reso possibile anche e soprattutto grazie ad una straordinaria tenuta scenica degli attori del Berliner Ensemble, attori, cantanti, ballerini, corpi flessibili e docili, strumenti intensi e veri al servizio della scena e del regista. Non c'è una caduta di tono, non c'è un momento di stanca in questa Opera da Tre Soldi che rielabora con acume le inquietudini dei primi del Novecento, denuncia lo squilibrio fra poveri e ricchi, fra chi il potere ce l'ha e chi no, che chiede un'equa distribuzione delle risorse per assicurare una dignità esistenziale a tutti. E' questa la vera utopia brechtiana che fa impallidire anche il lieto fine di assoluzione impossibile, omaggio alla The Beggar's Opera di John Gay ma anche sottolineatura di un'improbabile deus ex machina che rende – se possibile – ancora più amara la riflessione politica di Brecht in cui si rispecchia con sconcertante attualità il disagio dei nostri anni di crisi e globalizzazione. Come dire con L'Opera da Tre Soldi di Bob Wilson il teatro s'è fatto portatore sano di pensiero sul mondo e sulle sue inquietudini. Indimenticabile.

Nicola Arrigoni

Wilson all'Opera tra genio e regolatezza

La ricetta per un capolavoro? È semplice: basta prendere un regista come Bob Wilson e applicarne gli estri geniali all'Opera da tre soldi, in cui Bertolt Brecht ricrea la Londra truffaldina e mentecatta della Beggar's Opera di John Gay sui song indimenticabili di Kurt Weill, passandola al bulino del suo sguardo cinico sulla società. Aggiungete attori di strepitoso talento come quelli del Berliner Ensemble, da Stefan Kurt elegantemente bisex nel ruolo di Mackie Messer alla struggente Angela Winkler come Jenny delle spelonche, e calateli nella ragnatela di tubi al neon e colori ora vivaci ora acidi, dal blu al nero, al rosso, che illuminano le perfette geometrie della scena. Eppure, avrete solo una pallida idea dell'emozione provata dal pubblico del Teatro Nuovo per questo spettacolo che ha segnato il vertice del rinato Festival di Spoleto.
Mescolando le grottesche biacche espressioniste a Charlot e ai comic Usa stile Betty Boop, Wilson non perde un centesimo della sua libertà estetica pur restando fedele al testo. E ci regala l'unico straniamento possibile: quello scarto rispetto alla norma che caratterizza l'arte vera.

Roberto Barbolini

A Spoleto Brecht secondo Wilson

Spettacolare "Opera da tre soldi"

SPOLETO – E' uno spettacolo di travolgente bellezza questa "Opera da tre soldi" di Brecht con le musiche di Kurt Weill, nata a Berlino alcuni mesi fa e messa in scena adesso da Bob Wilson con i formidabili attori cantanti del Berliner Ensemble a Teatro Nuovo all'interno della 51° edizione del Festival dei due Mondi di Spoleto con la nuova direzione artistica di Giorgio Ferrara. Uno spettacolo memorabile di cui Wilson firma pure le splendide scene astratte e reinvesta l'ennesimo disegno luci che solo lui sa come renderle magiche.Uno spettacolo salutato alla fine, dopo poco più di tre ore con intervallo, da ovazioni e applausi che finivano mai e che è raro vedere solitamente nei nostri teatri. Uno spettacolo recitato in tedesco con i sottotitoli in italiano, che iniziava con le note musicale della "Ballata di Mackie Messer" eseguita da vivo da un'orchestrina di dieci elementi, mentre tutti i personaggi dell'opera sfilavano sulla ribalta come in una sorta di varietè o spettacolo circense alla Fellini, con le loro grottesche facce, infarinate di bianco, e chiusi nei loro caratterizzanti costumi curati di Jaques Reynard. Poi per incanto la scena si illuminava con tanti cerchi di varie dimensioni e tutti contornati da lucette accese di vario grado e intensità lasciando attonito il pubblico quando appariva la figurina virilmente effeminata di Stefan Kurt nei panni di Mackie Messer, resa ambigua dal Wilson per via dei suoi ondulati capelli biondi, in stile Ludwig di Visconti, un dandy elegantissimo in doppio petto nero con rosa bianca all'occhiello, lontano invero da tanti truci gangster del passato. Uno spettacolo per il quale Wilson ha rispolverato immagini espressioniste del Bauhaus, flirtando col cinema muto degli anni venti, agghindando la strampalata banda di Macheath come tanti fumetti pop della serie Dick Tracy o di Spider Man, divertendosi a vestire Axel Werner, il capo della polizia di Londra, alias la famigerata "tigre" Brown, come un vampiro alla Dreyer o un segaligno Buster Keaton con piccola tuba in testa e rendere Uli Plebmann, il suo aiutante Smith, molto simile a un calvo Erich Von Stroheim sbucato fuori da quel "Viale del tramonto " di Wilder cui gli era accanto una carismatica Angela Winkler nei panni di Jenny delle Spelonche molto vicina a Gloria Swanson. E oltre ai già descritti personaggi sono un vero motore a scoppio il Peachum di Jurgen Holtz proprietario di una ditta di mendicanti con nero zucchetto in testa e della di lui abbondante moglie Traute Hoess, nonché la figlia Polly di Christina Drechsler che si illuderà troppo presto di agguantare il suo Macheath per l'eternità. Resta impressa nella memoria la scena del gineceo delle prostitute in guepiere, avvolte da nubi fumogene mentre il fondale vira dal verde all'azzurro al bianco e neo e le nove lampade a fungo che pendono giù, si illuminano di un rosso intenso stemperandosi via via. Infine la scena in controluce dell'impiccagione che non avverrà e il finale consolatorio con un sontuoso sipario di velluto scarlatto che incornicerà uno spettacolo indimenticabile.

Gigi Giacobbe

A Spoleto Wilson stravolge Brecht e vince
Enorme successo per la rilettura dell'«Opera da tre soldi» del drammaturgo che è un concentrato perfetto di arte teatrale, visiva e musicale del Novecento. Ottimi gli attori

Il teatro di Robert Wilson (giova ripeterlo) è il tea­tro del gesto e del segno, del linguaggio che si rein­venta incessantemente per sconvolgere lo spettatore. Ancora, teatro che si muove tra reale e immaginario, tra concreto e astratto. Come di­mostra anche questa affasci­nante versione che egli ci consegna della brechtiana O­pera da tre soldi. Versione di recente curata per la massi­ma compagna tedesca, e cioè il Berliner Ensemble, che è poi e da sempre la casa ma­dre del drammaturgo di Au­gusta, e piombata come una meteora (a risultare anche la punta di diamante di questa edizione) nel bel mezzo del Festival dei Due Mondi.Pubblico delle grandi occa­sioni al Teatro Nuovo di Spo­leto ed entusiasmo totale per uno spettacolo che è un con­centrato perfetto di arte tea­trale, visiva e musicale del Novecento. Coniugati magi­stralmente Mondrian e Ma­gritte, il cinema espressioni­sta, le maschere grottesche di Grosz che sembrano cala­te sui visi dei protagonisti, e il design , la pop art, il fu­metto. Uno spettacolo que­sto Dreigroschenoper che of­fre sequenze d'antologia. A cominciare dal prologo . Quello sfilare al proscenio in lenta apparizione di tutti i personaggi – dal gangster Macheath detto Mecky Mes­ser, all'ineffabile e losca cop­pia dei coniugi Peachum – di questa fiaba corrosivamente allegorica che Bertolt Brecht insieme al compositore Kurt Weill, giusto 80 anni fa, nel 1928, aveva recuperato, rein­ventandola, da altro testo fa­moso: The Beggar's Opera dell'autore inglese del '700 John Gay. Fiaba che, mettendo in cam­po tutto un esercito di scroc­coni, di gente di malaffare, di lestofanti e di finti mendica­ti ma vestiti ostentatamente da borghesi, ci suggerisce co­me nessuna classe e nessuna società saranno mai perfette e felici fino a che gli uomini non sapranno dominare gli egoismi, le rapacità, le igna­vie e le basse passioni.
Sono tre ore intense quelle che Wilson offre. Tre ore sen­za mai cedimenti narrativi, né stanchezza visiva. In cui espone quel suo vocabolario scenico dove anche i colori netti e abbacinanti delle luci che esplodono sul palco so­no essi stessa drammaturgia. Sottolineano stati d'animo o segnano il sopraggiungere di azioni. Tutto a correre, anche se certo sotto la superficie la ferocia e il sarcasmo non so­no cancellati, sul filo della piacevolezza e della legge­rezza. La musica di Weill, ma­gari un poco arrangiata e portata sul terreno del musi­cal, fresca e seducente come sempre ad avere certo una notevole parte. Tanto più che gli interpreti sono tutti mae­stri sia nella recitazione sia nel canto.
La compagnia del Berliner si conferma infatti ancora una volta eccellente. Giganteggia Stefan Kurt che fa un Mackie Messer fuori dalla tradizio­ne, biondo e ambiguo come una vamp degli Anni Trenta ,ma straordinario è il Pea­chum di Jurgen Holtz e al­trettanto strepitosa è Traute Hoess nelle vesti della con­sorte. E se Christina Drech­sler è una Polly scintillante di grazia e malizia, Angela Winker è una Jenny impa­reggiabile.

Domenico Rigotti

L' "Opera da tre soldi"
alla luce di Bob Wilson

Spoleto

Chi ha visto L'opera da tre soldi di Brecht con la regia di Bob Wilson a Berlino, alla "prima" assoluta, ricorda fondamentalmente tre cose: la forte essenzializzazione delle scene, la tinta grottesca della rappresentazione nel suo complesso, la vitalità quasi circense con la quale gli attori del Berliner Ensemble, benché imbrigliati dal disegno del grande texano, strappano con facilità, agli spettatori volonterosi, riso e sorriso.
Wilson, nel suo Brecht assai lontano dalla visione strehleriana, acchiappa i malavitosi e le donne di vita per stagliarli contro schermi crudeli, girandole da fiera, tenebre tagliate dai riflettori. Li rende figure da romanzo erotico, metaforicamente accucciate su divani alla Grosz, li tritura e li esalta al tempo stesso.
Merito (non piccolo) del primo Festival di Spoleto diretto da Giorgio Ferrara è senz'altro quello di regalarci, stasera al Nuovo, la "prima" italiana dello spettacolo. Due sole recite, purtroppo (la replica domani alle 15.30). Salutare, in ogni caso, il veder riallacciato il rapporto del Due Mondi con le grandi produzioni internazionali. Alle quali sono stati affiancati eventi di minor cabotaggio ma di sicura acutezza.
Interessa, al di là della messinscena, l'incontro fra due mondi quello rarefatto di Wilson e quello ribollente del Berliner all'apparenza antitetici, nei fatti capaci di scambievoli utilità. La Dreigroschenoper è una miniera di occasioni e di trappole. Brecht la giudicò, a un certo punto, addirittura superata. Wilson la rinfresca esaltandone i connotati che preferisce, il rumore, il suono, la luce capace di disegnare case e spelonche, prigioni e grattacieli. E non esistono complessi, in palcoscenico: il delitto è delitto, la puttana mostra e incassa, il ladro ruba, l'assassino uccide, il borghese sfrutta, eccetera. Tutto è visivamente nitido, senza nascondere, senza nemmeno camuffare. Brecht non può sentirsi tradito. Anzi.

Rita Sala

Tre colori per raccontare la vita Wilson esalta il cinismo di Brecht

SPOLETO - Il Teatro Nuovo non è il San Nicolò. E' un piccolo, nobile teatro. Ma vederlo pieno, fin nell' ultima fila di palchi, era un piacere. Luc Bondy, il regista del Marivaux inaugurale, sarà anch' egli un regista del Berliner Ensemble, ma il suo spettacolo era, e tale nella memoria rimane, niente più che un lavoro di beneducata confezione. L' Opera da tre soldi di Bertolt Brecht e Kurt Weill che Wilson ha realizzato proprio con il Berliner è invece un' opera d' arte, e non a caso il pubblico ha riservato ai musicisti, agli attori e al loro regista, tornato in scena fino all' ultima chiamata, una vera e propria ovazione. Di questo entusiasmante spettacolo vorrei segnalare i dati salienti. Prima di tutto, il colore. Anzi, i colori. Che, dominanti, sono tre: il nero, il bianco e il blu. Il nero su tutti gli altri. E' nero il sipario che scandisce la divisione dei tempi e degli spazi; e sono neri i costumi degli attori, prevalentemente in velluto e in pelle. Se non ho capito male, sono in velluto i delinquenti di rango, rispettabili; sono in pelle i delinquenti di strada, quelli da tre soldi. Il bianco e il blu sono i colori del regista. Sono i colori dello spirito, della vitalità. Essi appaiono come fattori di contrasto - in una camicia (Macheath ha sempre un' immacolata camicia); in un bastone (Peachum lo agita per ricordare chi comanda in città); ma soprattutto nei tubi al neon, orizzontali, verticali e piramidali, che sono un tratto stilistico ricorrente del teatro di Wilson, quasi una sua religione. Mentre camicia e bastone annunciano, contro il buio del mondo, la cruda verità, il neon può essere, anch' esso, in proposito illuminante, illuminarci intorno alla verità. Ma può essere, al contrario, abbagliante: da bianco diventa incandescente e cioè blu, e cioè eccessivo, una verità troppo gridata, non più vera. In secondo luogo vi è la questione dello spazio. Come ho accennato, il sipario è nero. Esso non si limita ad aprire e chiudere. Ha una ben precisa funzione di, lo spazio, tagliarlo in due. Lo spazio profondo, quello dell' illusione, è lo spazio scenico, dove accade la vita. Lo spazio sottile, impercettibile, è quello che Brecht ha riservato a se stesso: per, l' azione, commentarla. Di conseguenza, questo è lo spazio del regista, dove Wilson si esprime con maggiore libertà, come nella scena iniziale, quando sul nero del sipario disegna due o più serie di tre circoli luminosi, che si incrociano tra loro. Un terzo elemento di spicco è il lieve, ma sempre distinto, quasi azzimato tratto caricaturale di tutti i protagonisti, che sono, dai mendicanti ai ladri, dalle guardie al loro sceriffo, tutti piccoli o grandi criminali. In Brecht, per sopravvivere, o per vivere, sempre si delinque, ma quasi sempre si delinque in guanti bianchi. In questo caso, nel caso di Wilson, i guanti bianchi sono quelle fisionomie da cinema muto, dunque un travestimento culturale, un' autentica, compiacente farsa. Vorrei infine segnalare che due volte compare il color rosso. La prima, quando Macheath viene arrestato. La seconda, quando viene inopinatamente liberato. Rosso, ci dice Wilson, è il colore della verità giusta, non pietosa, ma anche il colore della fiaba. Ed è qui, nella scena finale - quando «la lotta tra poveri» dovrebbe trovare il suo tragico epilogo con l' impiccagione di Macheath, il bandito strafottente, che invece, contro «l' asprezza dei giudici», cioè della realtà, trova il colpo di scena, di sublime ironia, della grazia e del premio del re - è qui che Brecht e Wilson scoprono la loro compatibilità e, forse, questa Opera da tre soldi svela il suo segreto. Il tedesco e l' americano, la vecchia Europa e la sempre giovane America, si ricongiungono nella metamorfosi del cinismo, che in Brecht era un puro e semplice metodo (di conoscenza), nell' ironia, che in Wilson diventa un sistema onniavvolgente, la materia sacra e sovrana di ogni spettacolo che si faccia in terra.

Franco Cordelli

Ultima modifica il Sabato, 21 Settembre 2013 07:42

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