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PROPRIETÀ E ATTO (ESILIO PERMANENTE) - regia Leonardo Lidi

Francesco Mandelli in "Proprietà e atto"::regia Leonardo Lidi. Foto Luca Del Pia Francesco Mandelli in "Proprietà e atto"::regia Leonardo Lidi. Foto Luca Del Pia

di Will Eno
Produzione BAM Teatro/La Corte Ospitale
Traduzione di Chiara Maria Baire
Supervisione di Elena Battista
con Francesco Mandelli
Luci di Stefano Valentini
Foto di scena Luca del Pia
Illustrazione originale di Pietro Nicolaucich
Regia di Leonardo Lidi
Bassano del Grappa (Vicenza), Teatro Remondini, 25 febbraio 2019

www.Sipario.it, 27 febbraio 2019

La scena è lì, semplice, scarna, minimalista. Una sedia, una pedana di legno chiaro, e un personaggio che arriva di fronte al pubblico. Si siede composto, sta ritto sulla schiena, e comincia tra un misto di curiosità (da entrambe le parti) a parlare al suo interlocutore, in un monologo che, dovendo ancora rompere qualche indugio, appare all'inizio un pochino distaccato. Tutto quello che lui dice è rivolto proprio al pubblico. Comincia a raccontare da dove viene, di com'è il suo paese, in un confronto abbastanza continuo tra il nuovo luogo dov'è arrivato, e la sua provenienza, della quale veniamo a sapere che esportano sarcasmo e acido urico. Il personaggio appare (è) stravagante, stralunato quanto basta, gli piace raccontarsi, scherzare cinicamente salvo scusarsi, fissare qualcuno e indugiare in qualche suo aspetto, e a lungo andare si scioglie e fa sciogliere, nonostante la tensione non smetta di esserci. E' una riflessione, la sua, su questo stato di esilio permanente come voluto dall'autore Will Eno, drammaturgo minimalista americano, tracciata con numerose parole declamate (e l'importanza delle stesse, non dimentichiamolo mai), sull'esistenza, su una senza dimora mai totalmente affermata. Tra le cose che colpiscono, per tutta la durata della pièce, i sorrisi scattosi e meccanici, con tanto di "scrocchia" della mandibola, del protagonista, quel suo voler appparire distinto senza apparentemente esserlo o forse si, ma sempre con un certo cinismo, una voglia di impressionare e di irritare probabilmente con una certa consapevolezza. Che è quello che in un certo qual modo "deve" venir fuori dalla commedia. Che stia tirando fuori dalla borsa "di suoi effetti personali" un pezzo di legno, o una scatola di latta con l'immagine di Bugs Bunny, o stia deliziandosi con quegli scatti sul viso manifestando però il disagio e l'inadeguatezza, chiedendo "Non odiatemi" e "Non compatitemi", lo strano personaggio arrivato da chissà dove appare un visionario, a volte freddo e cinico appunto, a volte estremamente razionale, lucido, attivo nel confrontarsi con gli altri, i "voi di qui". Sembra di assistere a uno di quei spettacoli da cantina, di teatro off che tanto imperversavano negli anni Settanta, dei quali ora si trova traccia qui e là, e che hanno avuto e hanno il merito di porre l'attenzione sul volto forse più puro dell'umanità proprio perché scritti da contemporanei. Il suo parlare è una riflessione continua, perché tocca argomenti comuni, come i sentimenti, mettendosi anche a nudo (metaforicamente s'intende), come quando genuinamente afferma di sentirsi "lontanissimo". Da cosa, da chi? Da tutto? E' un momento solo o è lo stato delle cose? Quello scritto da Will Eno, messo in scena da Lidi e interpretato da Mandelli appare come una specie di delirio commovente, introspettivo, che sa di verità e di certezza. Venire da un paese diverso che per ogni cosa faceva le parate, e interagendo con il pubblico con malinconia e sofferta solitudine, mostra una persona che si palesa piena di lividi e brividi, anche per quel suo troncare le frasi, passare da un discorso a un altro, affermare che "tutto è un elogio funebre". Uno spettacolo che a tratti è esilarante, come quando lui si sdraia per terra per mostrare (o mostrare a se stesso) com'è un funerale visto dai morti. Qui e là fa capolino anche il suo rapporto con le donne, soprattutto la bionda Lisa, e sforzandosi di essere rassicurante, anche per se stesso naturalmente, dichiarando che nel nuovo luogo sta bene, l'uomo non fa altro che riaffermare il disagio, suo e di molti altri, il rendersi conto della non felicità. La regia di Leonardo Lidi è sintetica, come tutto del resto, ma con una forza potente, un motore che gira a mille di continuo. E fa un bell'effetto vedere Francesco Mandelli in ottima forma, cosciente del suo stato di attore ormai sdoganato, e di scrittore (e prossimamente regista) che può saltare con arguzia e intelligenza da un ruolo all'altro, in un testo che finalmente si presta a essere condiviso e discusso, arrivando a smuovere quel qualcosa che troppe volte si assopisce in noi. La scommessa organizzativa di Bam Teatro e de La Corte Ospitale è stata vinta, si spera solo che tanti altri spettatori, in più teatri, possano provare con coscienza cosa significa sentirsi esule. Il pubblico di Bassano del Grappa, in un quasi religioso silenzio fino alla fine, attende di vedere "davvero" cosa succede e al termine apprezza per tre quarti. Solo una minoranza, a detta dei commenti, non percepisce quella qualità che invece noi vorremmo vedere di più, quell'osare lucido, volando alto, e bene.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Mercoledì, 27 Febbraio 2019 20:01

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