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PIAZZA DEGLI EROI - regia Roberto Andò

"Piazza degli eroi", regia Roberto Andò. Foto Lia Pasqualino "Piazza degli eroi", regia Roberto Andò. Foto Lia Pasqualino

di Thomas Bernhard
traduzione di Roberto Menin
regia di Roberto Andò
con Renato Carpentieri, Imma Villa, Betti Pedrazzi, Silvia Aielli, Paolo Cresta, Francesca Cutolo,
Stefano Jotti, Valeria Lucchetti, Vincenzo Pasquariello, Ezo Salomone
scene e disegno luci di Gianni Carluccio
costumi di Daniela Cernigliaro
suono di Hubert Westkemper
produzione Teatro di Napoli, Il Rossetti di Trieste, Teatro della Toscana
al teatro Sociale, Brescia, 17 febbraio 2022

www.Sipario.it, 18 febbraio 2022

In proscenio ci sono le valigie con scritta la destinazione: Oxford, ma il richiamo è alle valigie degli ebrei deportati, così come le scarpe che il professor di matematica Schuster comprava in continuazione, anche a Grasz, covo di nazisti, sentenzia Bernhard per voce di Robert Schuster, filosofo. Nel primo atto i preparativi per la partenza dopo il suicidio del professore, nel secondo una panchina e l’autunno viennese dopo il funerale e i ricordi delle figlie, nel terzo atto l’ultimo pranzo nella casa di piazza degli eroi, dove nel 1938 Hitler annunciò l’annessione dell’Austria al Reich, le voci della folla che esulta, la follia della moglie del professore che vorrebbe distrarsi andando a vedere l’operetta a teatro. Le imponenti scene di Gianni Carluccio che ricordano un po’ lo stile di quelle di Maurizio Balò dei migliori spettacoli di Massimo castri descrivono e offrono un realismo che strizza l’occhio al simbolico. Piazza degli eroi è l’ultimo testo feroce dell’autore austrico, un testo profetico, potente, impietoso che Roberto Andò mette in scena per la prima volta in Italia perché – scrive nelle note di regia – è giunto il tempo giusto, infatti «a dispetto della inedita precisione realistica di Bernhard, oggi per comprendere il senso di questo testo visionario e catastrofico non servono indicazioni di luogo e di tempo».
Qui sta il senso riuscito dell’operazione sul testo con cui Bernhard ribadì con forza e senza mezzi termini come il suo Paese non avesse fatto i conti col passato, come la classe politica austriaca al potere avesse radici nel nazionalsocialismo, ma alla fin fine profetizzò la nascita del populismo, la deriva dell’Europa, il declino del linguaggio e della cultura: tutti aspetti che ci appartengono, sono del nostro oggi, per quanto la pièce parli esplicitamente del 1988. Intorno al suicidio del professor Josef Schuster ruota l’intero racconto, un vortice di parole, in cui alla più dura invettiva fa seguito un’ironia spiazzante, fanno seguito dettagli apparentemente futili di una famiglia ebrea, altoborghese con la passione del teatro, passione deprecata dal fratello di Schuster, Robert, filosofo sopravvissuto al professore e che continua a frequentare il Musikverein perché la musica è l’ultima dimora dell’uomo contemporaneo, ha detto Auden.
Il ripetuto desiderio di fuggire da Vienna e ritirarsi in campagna, la voglia di tornare a Oxford o Cambridge fa poca differenza, pur constatando che anche in università Josef e Robert erano degli isolati sono aspetti ricorrenti in un profluvio di parole e ricordi che tolgono il respiro. Con la morte del professore la casa di piazza degli eroi è in vendita, quella casa voluta da Josef e mai accettata dalla moglie che nella grande sala da pranzo sente le urla della folla osannante Hitler. Piazza degli eroi assomma tutte le tematiche care a Thomas Bernhard, è un concentrato caustico in cui sul banco degli imputati è la storia, è il presente che non sa fare i conti con il passato, è la malattia del linguaggio filosofico e l’impossibilità di guarirne. Convitato di pietra è ovviamente – qui come altrove, in Correzione ad esempio- Ludwig Witgenstein e questo è anche nel pensiero ossessivo del suicidio. Josef Schuster ci è vissuto, come l’autore del Tractatus, l’ha realizzato come Thomas Bernhard. Si assiste a Piazza degli eroi con la sensazione di essere lì, lì per cadere in un baratro, o forse essere già in caduta libera e a rivelarcelo sono proprio la scrittura e il pensiero del drammaturgo austriaco che ci inchiodano alla poltrona, ci avvolgono, ci buttano in faccia l’orrore dell’Occidente che muore. Tutto ciò ha nello spettacolo realizzato da Roberto Andò una sua fedele coerenza, un mettersi al servizio di un testo che non vuole aggiunte, ma chiede agli attori di essere al suo servizio. Lo è in maniera intensa, potente, coinvolgente Renato Carpentieri che incarna la lucidità senile di Robert Schuster, l’ultimo grande vecchio del teatro di Bernhard che come un oracolo impietoso ci butta in faccia il nostro declino. Tutti gli altri attori compartecipano a questo servizio al testo e all’aprirsi del sipario squadernano davanti allo spettatore i personaggi rabbiosi, affamati di passato di un Bernhard che irride e sferza, che alza il velo sulla rovina di un mondo, il nostro da cui l’unica via di scampo sembra essere il suicidio. Si esce da Piazza degli eroi con il cervello che va a mille, con un senso di profonda angoscia che atterrisce, angoscia solo un po’ lenita da uno spettacolo coerente nei toni, elegante nel suo essere attinente alla grande tradizione del teatro di rappresentazione. Applausi, ma con l’amarezza di chi – in platea – si è sentito chiamato in causa.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Sabato, 26 Febbraio 2022 13:01

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