Presentato in prima assoluta al Festival di Spoleto dello scorso anno e poi al Théatre du Rond Point di Parigi, Perthus, del quasi 50enne Jean-Marie Besset, originario di Carcassonne, è un piccolo capolavoro di drammaturgia. Ci ha pensato adesso un ispirato Giampiero Cicciò a metterlo in scena in modo convincente nel Cortile del Palazzo Duchi di Santo Stefano in una misera edizione teatrale di Taormina Arte 2009. Perthus è un paesino di 620 anime situato nei Pireni al confine con la Spagna. Il lavoro fa il blow-up a quattro personaggi: due giovani studenti all’epilogo dei loro studi e due madri dilaniate dalla vita, qui vestite, quasi in maniera genettiana o fassbinderiana, da due attori maschi in giacca e cravatta, la cui appartenenza al sesso femminile è evidenziabile solo dai tacchi a spillo che calzano con gran disinvoltura. Jean-Louis (Matteo Romoli) ama la letteratura, Paul (Francesco Borchi) la matematica. Nelle proprie materie sono dei piccoli geni e roseo è il loro futuro. Stanno sempre insieme e l’amicizia per Paul si è tramutata in amore. Un sentimento che non sfugge all’occhio vigile delle madri, di Marianne in particolare: quella del barbuto divertente e divertito Annibale Pavone che spinge il suo Jean-Luis a frequentazioni femminili, colei che ad un tratto dirà che “Ogni uomo è un perdente a 53 anni. Io invece ho un figlio, il frutto delle mie viscere, il mio prolungamento, la mia vita, la mia speranza”: mentre la Irene del navigato Massimo De Rossi che infonde sicurezza e prestigio allo spettacolo, cantando pure in francese Septembre di Barbara, appare più disincantata: se suo figlio è frocio, vuole che sia il più in gamba di tutti! Le atmosfere ricordano il Risveglio di primavera di Wedekind per ciò che riguarda il periodo giovanile dei due studenti vissuto intensamente tra insidie e pericoli e il recente L’una e l’altra di Botho Strauss che affonda la lama sulle madri, vere colonne d’una società i cui padri sono sempre assenti e/o disinteressati a ciò che frulla nelle teste dei propri figli. Succede poi che Jean-Louis respinga l’amore di Paul e venga poi coinvolto in una storia di stupro con una giovane di colore e che le loro strade divergano, trasformando Paul in un attore di teatro e Jean-Louis in un semplice impiegato d’azienda. Si ritroveranno infine sulle tombe delle rispettive madri e forse non si rivedranno mai più. La scena di Francesca Cannavò (suoi pure i costumi) era composta solo da una decina di rettangolari nere strutture di legno amovibili, le ottime luci erano di Renzo Di Chio, le musiche, su ritmi di canzoni francesi, di Dino Scuderi. Eccellenti e brillanti tutti e quattro i protagonisti, facendo a gara quasi chi riusciva a raccogliere più applausi nei propri assoli, salutati alla fine da calorose ovazioni.
Gigi Giacobbe