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PROCESSO A DIO - regia Sergio Frantoni

Processo a Dio Processo a Dio Regia Sergio Frantoni

di Stefano Massini
con Ottavia Piccolo
scene e costumi: Gianfranco Padovani
regia: Sergio Frantoni
Bellinzona, Teatro Sociale, Stagione di Lugano, marzo 2008

www.Sipario.it, 13 marzo 2008
Il Manifesto, 9 marzo 2008
Il Messaggero, 1 marzo 2008
Il Mattino, 17 novembre 2007
Corriere della Sera, 22 aprile 2007
Il Giornale, 20 marzo 2007
Sete di giustizia e di verità

Non fa sconti il Processo a Dio del giovane Stefano Massini. È un processo in piena regola con personaggi immaginari imbevuti di verità storica. Alla sbarra lo sterminio senza la retorica dell’orrore. Polonia, primavera 1945: è l’ultima notte al lager, la prima dopo la liberazione. Nel padiglione 41, una baracca di legno con una pesante porta in lamiera ondulata, Elga Firsch, attrice di Francoforte deportata a Maidanek, consapevole dell’impossibilità di liberarsi della violenza subita, decide di mettere alla sbarra Dio e la sua imperdonabile lontananza dalle sciagure che hanno colpito il suo popolo. Sul banco dell’imputato il capitano Rudolf Reinhard, aguzzino del campo di sterminio, vittima della sua stessa bramosia di sostituirsi al divino. Non c’è tempo per un’udienza preliminare. Le cinque accuse di Elga reclamano un giudizio immediato: gli ebrei sono stati ridotti in schiavitù; gli ebrei sono stati massacrati sistematicamente; gli ebrei sono stati venduti; gli ebrei sono stati illusi e traditi; gli ebrei, benché creati a immagine e somiglianza di Dio, sono stati privati della loro umanità.

Come ogni processo anche questo necessita di testimoni e giudici. Ecco Solomon e Mordecai, due saggi che assumono il delicato ruolo di giudici, ma nella sede dell’occasionale tribunale fa il suo ingresso anche il rabbino Nachman Biderman, presenza indispensabile per controbattere le accuse spietate. Spetta invece all’irrequieto Zadek verbalizzare gli atti dell’aspro e analitico processo che pone continuamente domande destinate a rimanere inevase.

L’allestimento firmato da Gianfanco Padovani è compatto e rigoroso. La nuda scena è chiusa quasi ermeticamente. Occorre ricostituire la propria dignità prima di consentire alla vita di entrare nuovamente nella stanza. La nitida regia di Sergio Fantoni, scandita dalle consone musiche di Cesare Picco e dalla semioscurità disegnata da Iuraj Saleri, restituisce al testo di Massini la sua tensione drammaturgica, esaltandone i nervi e lo scabro clima, evidenziando a tratti passaggi eccessivamente didascalici, come lo svuotamento di sacchi pieni di capelli, ossa e denti umani.

Coerente con le sue ultime scelte teatrali, Ottavia Piccolo lavora questo ruolo sgrossando il blocco di marmo per poi scendere pian piano nella rifinitura dei dettagli. Nell’appassionata requisitoria la Piccolo, capelli rasati sale e pepe, dà voce violenta alla sete di giustizia e verità, circondata da una compagnia affiatata, forte di un collaudo che supera le centocinquanta recite. Vittorio Viviani è un ispirato rabbino quando, a volte con imbarazzo, deve sostenere le tesi dei testi sacri.

Silvano Piccardi veste con abilità la propria sofferenza di giudice al di sopra delle parti. Gli fa eco Olek Mincer, un po’ troppo caratterizzato. Francesco Zecca è il giovane Adek, smanioso di vendetta, che combatte con l’istinto feroce del sopravvissuto, mentre Enzo Curcurù tiene bene fisicamente i lunghi silenzi del capitano Reinhard. Il silenzio di Dio. Ma alla fine è necessario un verdetto. Elga lo pretende. Sopravvissuta grazie al fucile inceppato del capitano, Elga ribalta ancora una volta i ruoli da vittima a carnefice, affidando alla roulette russa di un’arma da fuoco il giudizio di Dio. E sta forse qui una delle più felici chiavi di lettura del regista. Fantoni rinuncia al suono roboante dello sparo fuori scena e fa calare il buio e il silenzio sull’uomo-burattino, senza smascherare il motore dei fili.

Cosimo Manicone

Olocausto, il male assoluto e le domande senza risposta

Ottavia Piccolo è anche lei attrice che non s'arrende. E non s'accontenta di testi facili o di sorrisi di scena. Lo spettacolo che ora porta in giro, Processo a Dio (al Valle fino a domenica 16) è una grande sfida. Parla dell'Olocausto, anzi ne mette in scena un'appendice romanzesca, che ha luogo la notte prima della partenza dei pochi sopravvissuti da un lager. E' la fede di un gruppo di ebrei tedeschi che si autoprocessa, davanti a quello che il loro popolo ha dovuto subire. Il giovane scrittore Stefano Massini (che ha coraggio e amore spericolato per l'analisi dei grandi interrogativi attraverso la drammaturgia, dalla scelta dei brigatisti al mistero della follia artistica) ha preparato un testo impegnativo e «scabroso», che ogni momento rischia però di rimanere schiacciato dall'enormità orrenda di quanto evoca.
Tutto lo spettacolo, per la regia di Sergio Fantoni, ruota sulla figura di un'attrice (appunto Ottavia Piccolo), deportata da Francoforte ma che non si è lasciata domare dall'orrore subito. Anzi il fatto di essere solo per caso ancora viva, le dà una frenesia indagatoria e insoddisfatta, nel porre ai suoi compagni di sventura l'interrogativo del titolo. Per questo, mentre gli altri preparano mesti il «ritorno a casa», lei ordisce un processo reale all'ufficiale nazista (Enzo Curcurù) che a quel male ha dato volto e firma dentro i confini del campo.
Convoca i saggi della antica comunità sopravvissuti, il rabbino, il figlio di questi. Vince le loro diffidenze e le loro paure, perché tutti assieme rispondano come e perché «sia potuto succedere». Una domanda che non ha avuto ancora risposta plausibile o esaustiva, e su cui l'opinione pubblica internazionale torna a interrogarsi oggi di fronte a nuove violenze.
L'ordito del racconto teatrale vive certo i limiti di tutte le ricostruzioni (o di certe abitudini tv, o di un linguaggio che rischia ad ogni momento di non essere adeguato). Ma quella messa in causa della memoria, più ancora che della fede e della ragione, diventa la vera forza conquistatrice del pubblico (compreso quello degli studenti di una replica pomeridiana). Diventa anche la ragione della necessità di un teatro come questo, che rispetto ad altri media può bruscamente riportare certi temi al centro dell'attenzione. Come del resto aveva fatto, poco prima del '68, L'istruttoria di Peter Weiss.
Quindi un grande merito e successo «pedagogico» per il Processo a Dio. Anche se poi è soprattutto la forza di una attrice come Ottavia Piccolo, nel rispecchiare con garbo e gusto la forza del proprio mestiere, a sostenere e rendere necessaria, oltre il dolore evocato, la carica civile dello spettacolo.

Gianfranco Capitta

Con "Processo a Dio"
a lezione di memoria

Stefano Massini, 30 anni, talento ne ha. Scrive per il teatro sapendo cosa significhi dover recitare quello che il drammaturgo mette nero su bianco. Ha ben presente cosa significhi "contenuto", ma, altrettanto, quanto siano redditizi gli scossoni, i colpi di scena, gli effetti. Dalla sua penna viene il Processo a Dio che Sergio Fantoni ha diretto per la vibrante interpretazione di Ottavia Piccolo nei panni di Elga Firsch, attrice ebrea internata in un campo di sterminio. Lo spettacolo è in scena al Valle, fino al 16 marzo, con Vittorio Viviani, Silvano Piccardi, Francesco Zecca, Olek Mincer, Marco Cacciola.
Massini, dicevamo. Ha costruito una situazione di per sé intrigante: Elga, nel campo appena liberato dai russi, compra, al prezzo di un anello d'oro a lungo occultato sotto il piede della sua branda, un ufficiale nazista. Lo requisisce per istruire contro di lui, che identifica con il Dio incapace di preservare Israele dall'Olocausto, un processo in piena regola: i giudici sono due anziani giudei, scampati alla camera a gas; l'avvocato difensore è un vecchio rabbino; da cancelliere funge il di lui figlio. Per sé, l'ex attrice riserva il ruolo di accusatore e adduce prove per condannare Dio in base a cinque tremendi capi d'imputazione. Sarebbe ingiusto riferire oltre. Il testo ha un suo andamento thriller che merita rispetto. Occorre però dire che forse Massini ha esagerato nel farcirlo di rimandi, suggestioni, agganci, argomentazioni teologico-filosofiche, descrizioni scioccanti. Nel dibattimento, che finisce in parità, ribolle questo magma di sentimento e storia, scandalo e passioni, teologia e insània, di cui gli attori, Piccolo in testa, si fanno carico con bravura. Ma in alcuni momenti la narrazione si fa troppo didascalica, testimoniale oltre misura, autorizzando, da parte della regia, l'uso di concretezze estreme. Se cioè la cenere dei forni crematori gettata nell'aria può funzionare, è eccessivo lo svuotamento, davanti ai giudici, dei sacchetti contenenti gli scalpi, la pelle, i denti, le ossa delle sventurate vittime del campo. Alla "prima", molti e calorosi applausi per tutti.

Rita Sala

Lager e orrore la Piccolo processa Dio

Ecco - parliamo di «Processo a Dio», il testo di Stefano Massini che La Contemporanea presenta al Mercadante per la regia di Sergio Fantoni - un esempio probante di come il teatro possa (ciò che peraltro, lo ripeto ancora una volta, è una sua necessità inderogabile) esprimersi per vie indirette, in una dimensione prevalentemente simbolica. Gli argomenti in questione sono la Shoah e l'interrogativo terribile circa le «responsabilità» di Dio nei confronti dell'orrore dei lager, nella fattispecie quello di Maidanek. Perciò Massini adotta, come epigrafe al testo, il quinto versetto del Salmo XX: «L'Eterno risponda / a tutte le tue domande». Ma non si tratta solo di un'anticipazione del tema che svolgerà la pièce, appunto il processo a Dio intentato da un gruppo d'internati a Maidanek. Qui si nomina Dio unicamente con uno dei suoi appellativi, perché il nome di Dio è impronunciabile: tanto che la tradizione ebraica lo scrive «Jhwh», eliminando dalla parola «Jahweh» tutte le vocali e, così, realizzando quell'impronunciabilità senza dichiararla. D'altra parte, con l'epigrafe citata Massini illustra - senza parere, e quindi, giusto, per via indiretta - tutti i risvolti del problema: quelli storici (ricordo che il secondo versetto del Salmo XX suona: «Jhwh ti risponda nel giorno / dell'angoscia») e quelli religiosi («L'Eterno risponda / a tutte le tue domande» traduce esattamente il rapporto particolarissimo - individualistico, personale e «paritario» - che l'ebreo intrattiene con Dio). E ancora per via indiretta si sottolinea, qui, il dato dell'orrore in esame. A istruire il processo e, dunque, a cercare la verità è Elga Firsch: un'attrice, dunque una che finge per definizione; e nella stessa direzione va lo scarto fra il nome di Dio, che non si può pronunciare perché contiene tutto il mondo, e il nome degli internati nel lager, che non si può pronunciare perché sostituito da un numero che non contiene nemmeno la persona. A questo punto, non occorrono troppe parole per elogiare il rigore sommesso di Ottavia Piccolo (Elga Firsch), la fede tormentata di Vittorio Viviani (il rabbino Bidermann, l'avvocato di Dio) e la dolorosa dignità di Silvano Piccardi e Olek Mincer (rispettivamente Solomon Borowitz e Mordechai Cohen, i due anziani di Francoforte che si assumono il ruolo di giudici). In tono minore Francesco Zecca (Adek) ed Enzo Curcurù (il capitano nazista Reinhard). C'è da aggiungere solo che Fantoni ha fatto bene a eliminare il colpo di pistola da roulette russa con cui, nel testo, si uccideva Reinhard e, di conseguenza, si assolveva Dio. Ora la questione rimane aperta, e non poteva essere diversamente. Ma forse Massini voleva intendere che alla sbarra, insieme con Dio, siamo chiamati tutti noi. Non abbiamo soluzioni alte: voliamo basso, o, come ci ricordava Gaber, non voliamo affatto. Dice il Salterio: «Jhwh si affaccia dai cieli / verso gli uomini / per vedere se c'è un sapiente / un cercatore di Dio» (Salmo XIV, 2). Ed è dura finanche per Dio: se guarda sulla terra, oggi vede, per restare nella terminologia processuale, l'esercito infinito dei difensori d'ufficio arruolati nel servizio permanente effettivo della chiacchiera mendace.

Enrico Fiore

Di grande intensità la prova di Ottavia Piccolo, diretta da Fantoni
«Processo a Dio» di un' attrice

Se Dio esiste, perché la Shoah? Come si può conciliare il Bene assoluto con il male estremo? Ha ancora un senso invocare l' Onnipotente che ha permesso lo sterminio di milioni di innocenti? La Shoah non è un episodio fra tanti, bensì l' Evento che discrimina tra un prima e un dopo e che costringe a ripensare radicalmente lo stesso concetto di Dio: Giobbe leva nuovamente la sua domanda, ma il cielo resta muto. Domande che fanno nascere altre domande a cui è difficile dare risposte. Domande che si pone il giovane drammaturgo Stefano Massini nel suo Processo a Dio dove immagina che alla liberazione del campo di Maidanek un' internata, l' ex attrice Elga Firsch fieramente adirata con Dio, decida di fargli un processo davanti a due saggi, a un rabbino, al giovane figlio del rabbino e a un SS carnefice e testimone. Un testo che è anche un entrare nella lucida determinazione dello sterminio, in un' orrenda macchina messa in moto per razzismo, odio dell' uomo per l' uomo, tra silenzio di massa e indifferenza di massa. Con una regia nitida e asciutta Sergio Fantoni porta in scena questo processo emotivamente squassante nel quale tra le cinque accuse lanciate da Elga contro l' Onnipotente che ha sconfessato anche i sacri testi, tra le deboli repliche del rabbino e la sprezzante volgarità dell' ufficiale delle SS fino a ieri un dio col potere di vita e di morte, si fa strada la verità storica, cifra su cifra, prova su prova, di una vergogna senza pari. Alla fine, l' unica sentenza possibile è quella dell' uomo sull' uomo. Ottavia Piccolo, con un' interpretazione di grande intensità, forza e sensibilità, è bravissima nel restituire la tensione di Elga: il suo mondo è andato in frantumi, le resta l' urgenza di conoscere fino in fondo la verità, la sua «rabbia», il suo sgomento. Accanto a lei i bravi Vittorio Viviani, Silvano Piccardi, Francesco Zecca, Olek Mincer e Marco Cacciola. Uno spettacolo di forte tensione etica che costringe a chiedersi: dov' era l' uomo mentre venivano con scientificità e metodo uccisi milioni di innocenti, dov' è l' uomo oggi quando si nega la Shoah? Processo a Dio è un modo per essere «messaggero dei morti fra i vivi», come ha definito se stesso Elie Wiesel, perché con l' oblio e le negazioni non si aggiungano altre vittime.

Magda Poli

NEL GIOCO DELLE PARTI DIO E IL CARNEFICE SI INCONTRANO IN AULA

Secondo Truffaut il solo veicolo popolare in grado di contestare la tragedia esistenziale dell'uomo appellandosi al Dio nascosto di Racine era l'accorato refrain dei grandi chansonnier. Un suggerimento fatto nostro, negli anni sessanta, dalla canzone d'autore. Che tuttavia mai collocò al nodo focale della protesta contro la degenerazione del nuovo paganesimo il simbolo della divinità. Ad eccezione dei Nomadi in Dio è morto. Ora un autore emergente, Stefano Massini, fa qualcosa di ancor più sconvolgente. Nel suo Processo a Dio che, tanti anni dopo L'istruttoria di Weiss, riprende in esame la Shoah, il massimo oltraggio al Divino nel ventesimo secolo si muta il giorno della disfatta del nazismo nel processo che un'ebrea scampata al genocidio intenta, davanti a due alti sacerdoti della sua fede, al Dio dei suoi padri.
Catturata l'ultima SS, Elga Firsch di professione attrice costringe l'ultimo patrocinatore dell'onnipotenza ariana a impersonare il Creatore. E smantellando ciò che resta della macchina oppressiva del lager ne dimostra l'implacabile meccanica. Svelandone al di là delle sevizie l'atroce sadismo esercitato sulla psiche delle vittime, incoraggiate a corrispondere con amici e parenti per ricavarne un incitamento a piegarsi all'oppressione. Non basta. Massini enuclea nel colpevole silenzio della divinità di fronte al genocidio la totale assenza dell'Assoluto e, in filigrana, la sconfessione dei testi sacri del giudaismo, dalla Bibbia allo Zohar. Fino all'inesorabile verdetto di lasciare arbitro della pena l'assoluto del Caso. Il solo in grado di decidere se l'arma che Elga infila in bocca a Reinhard esploderà troncandogli la vita. Una chiusa che, nel testo, l'autore risolve nella detonazione che echeggia fuori scena mentre, nella sapiente regia di Fantoni, il dubbio regna sovrano condannando attori e spettatori a precipitare nel deserto degli interrogativi senza scampo.
Con buona pace dell'attonito Silvano Piccardi e dell'autorevole Vittorio Viviani che, con rara capacità introspettiva, fanno corona alla splendida Ottavia Piccolo chiamata alla prova più ardua e impegnativa della sua carriera.

PROCESSO A DIO - di Stefano Massini La Contemporanea. Regia di Sergio Fantoni, con Ottavia Piccolo. A Lugano da oggi a domenica, a Torino da sabato 24.

Enrico Groppali

Ultima modifica il Martedì, 24 Settembre 2013 07:55

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