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RITRATTO DI UNA DONNA ARABA CHE GUARDA IL MARE - regia Claudio Autelli

"Ritratto di donna araba che guarda il mare", regia Claudio Autelli. Foto Marco D'Andrea "Ritratto di donna araba che guarda il mare", regia Claudio Autelli. Foto Marco D'Andrea

di Davide Carnevali
regia Claudio Autelli
con Alice Conti, Michele Di Giacomo,  Giacomo Ferraù e Giulia Viana
scene e costumi Maria Paola Di Francesco
disegno luci Marco D'Andrea
suono Gianluca Agostini
assistente alla regia Marco Fragnelli
tecnico luci Stefano Capra
organizzazione Monica Giacchetto e Carolina Pedrizzetti
comunicazione Cristina Pileggi, produzione LAB121
testo vincitore del 52° Premio Riccione per il Teatro – in coproduzione con Riccione Teatro
con il sostegno di Next/laboratorio delle idee per la produzione e la distribuzione dello spettacolo dal vivo
in collaborazione con Teatro San Teodoro Cantù
al Teatro Filodrammatici, Piacenza, 15 ottobre 2018

www.Sipario.it, 16 ottobre 2018

Ritratto di donna araba che guarda il mare di Davide Carnevali – vincitore del 52° Premio Riccione – è un lavoro che fa del non detto, del suggerito il suo punto di forza. La storia è presto detta: una donna è oggetto dello sguardo di un uomo, lei è araba, lui un occidentale, ci troviamo fuori dalla città vecchia, in un paese del Mediterraneo. I due si rincontrano, ne nasce un innamoramento, ne scaturisce una sorta di confronto e scontro fra culture, in cui alla fine un coltello e una pistola hanno la meglio e ci scappa pure il morto: il fratello della donna. Questo è in estrema sintesi il racconto, un racconto ellittico fin dall'inizio, fin dalla definizione dei personaggi: una donna, un uomo, un ragazzo e un uomo giovane. Il testo di Carnevali gioca sull'ambiguità della situazione, non dà certezze, anzi non appena qualcosa sembra definirsi, lo capovolge. Si procede per antitesi: l'uomo cammina veloce mentre gli abitanti della città vecchia lenti, anche l'approccio visivo fra l'uomo e la donna non è definito. In tutto ciò i dialoghi, le parole sono taglienti, precisi, eppure si ripete spesso: «non capisco la tua lingua», «questa non è la mia lingua». Tutto ciò contribuisce ad aprire in continuazione, permette di leggere ciò che accade come la storia di un europeo e una donna araba che si innamorano e non riescono a coronare il loro rapporto, ma diventa anche spunto per una sorta di apologo sul confronto/scontro fra culture: sul sogno di raggiungere l'Europa e al tempo stesso sull'invadenza dell'occidente nei paesi arabi.
Tutto questo è reso da Claudio Autelli con un allestimento raffinato e curato. Gli attori si presentano in scena così come sono, in attesa del pubblico si guardano, si parlano, si sgranchiscono le membra, come giocatori in attesa di scendere in campo. Il gioco del teatro è reso esplicito. In mezzo ai quattro c'è il plastico di una città che viene filmato, zoommato da una telecamera – agita dall'attrice che interpreta il ruolo del ragazzino, una sorta di regista interno, deus ex machina, l'ariel di una tempesta delle culture e delle lontananza – ciò permette di cogliere i particolari del plastico, di ingrandire gli interni della casa che proiettati diventano scenografia per l'azione. C'è per tutto l'arco dello spettacolo un movimento di immagini calibrato, ma continuo che dal generale passa al particolare e fa del particolare il tutto. Questo movimento si oppone alla immobilità degli attori Alice Conti, Michele Di Giacomo, Giacomo Ferraù e Giulia Viana che vivono nelle parole che dicono, battute taglienti, fendenti verbali che feriscono e aprono varchi alle mille possibilità del significato, del non detto, della separazione fra culture, del desiderio di un incontro e la distanza dei mondi di appartenenza. Mentre intorno tutto si muove non solo nel video, ma anche nei suoni: la risacca del mare, nei rumori di un cantiere che si ipotizza assedi con la sua modernità la città vecchia, mentre tutto questo accade visivamente e sonoramente, i corpi degli attori fremono nella parole poetiche che corrono del testo di Davide Carnevali, accomunati da una tensione condivisa dagli spettatori. L'accumulo di segni e l'aprirsi continuo di possibilità interpretative fanno di Ritratto di donna araba che guarda il mare un allestimento affascinante, curato, ma a tratti faticoso e col rischio di contorcersi su se stesso con un po' di compiacimento intellettuale.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Martedì, 16 Ottobre 2018 17:50

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