Di Michael Frayn
Commedia in tre atti
Traduzione Filippo Ottoni
Regia Valerio Binasco
Con Francesca Agostini, Valerio Binasco, Fabrizio Contri, Andrea Di Casa, Giordana Faggiano, Elena Gigliotti, Milvia Marigliano, Nicola Pannelli, Ivan Zerbinati
Scene Margherita Palli
Costumi Sandra Cardini
Luci Pasquale Mari
Produzione Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale con il sostegno di Fondazione CRT
Napoli, Teatro Bellini, 12 – 17 novembre 2019
Ricordate Monsters & Co o anche Le cronache di Narnia? Sono film in cui protagoniste sono le porte, che siano di un vecchio armadio o della camera di un bambino. Porte per entrare e uscire da mondi magici o paralleli, in cui il tempo scorre diversamente e in cui quello che succede ha un sapore di imprevisto e fuori dal reale. Ebbene, anche in Rumori fuori scena, accade un po' la stessa cosa. Chiunque sia un regista, attore, ballerino, performer o abbia in qualsiasi modo frequentato almeno per un po' il teatro, sa benissimo che durante le prove, ma anche durante lo spettacolo vero e proprio, dietro le quinte e perfino in scena, può succedere di tutto. Commedia scritta nel 1982 e diventata dieci anni dopo un film di successo, diretto da Peter Bogdanovich, è proprio queste vicende esilaranti che racconta la brillante farsa amorosa e comica, metateatrale per eccellenza. Attraverso le porte che si aprono, si chiudono, ma anche si aprono male e si chiudono male, attraverso tante stanze, che sembrano tuttavia ancora di più per la frenetica dinamicità dei personaggi in scena e fuori dalla scena, i meccanismi della rappresentazione ci mostrano un andirivieni, tra errori, battute ed equivoci, dalla prova generale, allo stesso spettacolo visto dal backstage, alla tournée teatrale. La natura multiforme del teatro e la sua varietà fanno vedere in contemporanea i caratteri di ogni attore e personaggio, gli amori e i disguidi nati dal condividere tante prove insieme e l'inevitabile vita che si dispiega tra la quotidianità della costruzione di uno spettacolo, a teatro, ma anche nella vita. Il regista della messa in scena che si sta costruendo è quasi sempre tra il pubblico e interviene sui suoi personaggi, cucendo i ruoli durante la visione come si fa con un puzzle che si cerca di completare. Siamo nel comico borghese, quello che dall'ultimo ventennio del Novecento rispecchia il pubblico e ne diventa il suo portavoce, quello che per far sì che la gente si identifichi nelle sue storie non ha bisogno di ingaggiare personaggi poveri o miserabili, perché ormai è la classe della borghesia che si fa avanti, quella che, in sostanza, non fa ridere perché non integrata o disadattata (come Chaplin per tanto tempo ha fatto), ma che fa divertire perché è perfettamente inclusa nelle logiche e nella società, ma non presenta spessore né profondità, essendo al contrario una mediocre rappresentazione di se stessa. Questo perché qui la superficie che accomuna i desideri e i caratteri, accolta dalla massa, non va a fondo nei pericoli o nei problemi quotidiani, ma impatta con la vita solo nel momento in cui serve a regalare una leggerezza fuori dalla logica e contro la pesantezza comune. I personaggi sono perfettamente integrati nei condizionamenti sociali, per cui non hanno bisogno di aggiungere una pennellata di stravaganza alla loro tela, essendo questa già presente nella società stessa. Bravissimi gli attori a mantenere tempi perfetti e ritmo di entrate, uscite, battute, espressioni. Ci resta un briciolo di amarezza per questa amoralità e per lo sfacelo della trama? Forse, ma il pubblico ride, perché ha capito che la commedia, questa volta, ne sa una in più del suo autore, che la dirige con armonia impeccabile, ma si fa anch'egli trasportare dal turbine del suo comico mondo borghese.
Francesca Myriam Chiatto