Shakespeare nostro contemporaneo è quello di
Racconti africani da Shakespeare del regista Krysztof Warlikowski, uno di quegli spettacoli che dimostra ancora una volta – se ce ne fosse bisogno – la grandezza della scuola teatrale dell'Est Europa, ma soprattutto la capacità di artisti come Warlikowski di costruire rappresentazioni di mondi, di interrogarsi sulle grandi tematiche dell'esistenza: l'amore, la morte, il sesso, il denaro, la malattia, la vecchiaia. Il regista polacco o i suoi strepitosi e impeccabili attori realizzano un intreccio di storie sospese fra la vita e la morte per voce di
Otello,
Il Mercante di Venezia,
Re Lear, intrecciate a testi contemporanei come
?oul on Ice di Cleaver Eldrich e
L'Estate di John Maxwell Coetzee. Al di là dei riferimenti testuali, la drammaturgia di
Racconti africani da Shakespeare – firmata da Krzysztof Warlikowski e Piotr Gruszczynski – è corpo che scotta, sono amori che si sfidano, sono relazioni poste su un tavolo operatorio, è chirurgia dell'anima e dei legami d'amore fra i sessi. Otello il negro, Lear il vecchio, Shylock, l'ebreo sono simboli di esclusione, simboli della diversità che incute paura e affascina, simboli dell'altro che è parte di noi. Shylock è un macellaio che taglia la carne, sul suo tavolo di lavoro si consumano gli amori e si consuma la sua condanna, si esplicita l'amore di Bassanio per Antonio, Porzia appare come un puro presto giocoso, ma in quel gioco in palio c'è il senso di giustizia. Otello è bellissimo con la sua negritudine finta, l'amore fra il negro e Desdemona si compie su un tavolo che è quello della macelleria di Shylock ma è anche un tavolo da sala operatoria o da obitorio. Straziante è il monologo di una Desdemona dei nostri giorni, riscritto dall'autore sudafricano Wajdi Mouawad: «L'amore cammina sopra il baratro. Nessuna mano amica. Una sconfitta. La stufa in cui bruciano le lettere. Ho solo la cenere per comporre le parole. Ti parlo con le parole tessute con il pulviscolo. La nostalgia dell'alfabeto perduto. Sei un cane, un cane. Non hai di che avere paura. Nessuno può sterminare il guaito». E ancora in chiusura di cinque ore di intenso spettacolo lo scrittore sudafricano ingaggiato da Krzysztof Warlikowski fa dire a Cordelia (Lear è il terzo riferimento shakespariano): «Di noi rimarranno solo brandelli: felicita, amore, attacchi di rabbia, alcune parole consunte, alcune narrazioni sepolte – bellissimo palinsesto, dal quale nasceranno i nuovi dei, per portare consolazione a ogni brandello. Sarà il momento d'innocenza. Ci sarà il risveglio. Ci sarà la festa! Uomini e donne festeggeranno ignari di cosa sia la preoccupazione. Festeggeranno per noi, che non abbiamo saputo festeggiare. Ripeteranno i nostri nomi. Ricorderanno i nostri corpi e la loro gioia sarà il nostro unico sepolcro». E non ci si può che commuovere! I personaggi, le storie, lo spazio sono in un altrove che è vita sospesa o morte agita, c'è la sensazione di una fine imminente eppure c'è la voglia di non perdersi via, di non buttarsi via. In
Racconti africani da Shakespeare c'è la violenza del padre sulla figlia, c'è il sesso come completamento dell'anima, c'è la gelosia che acceca, c'è l'amore omosessuale, in una sola parola c'è la vita e la voglia di viverla fino in fondo, anche nel freddo di un obitorio, anche col dolore nel cuore. Strepitoso capolavoro che è un inno all'intelligenza e all'unicità del teatro che sa farsi pensiero del e sul mondo.
Nicola Arrigoni