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RICHARD III - regia Ludovic Lagarde

Richard III Richard III Regia Ludovic Lagarde

di Peter Verhelst, da un adattamento di Richard III di W. Shakespeare
traduzione dall'olandese Christian Marcipont
regia Ludovic Lagarde
assistente alla drammaturgia Marion Stoufflet
scenografia Antoine Vasseur, luci Sébastien Michaud, costumi: Valérie Simonneau
suono e musica: David Bichindaritz
con Laurent Poitrenaux, Anne Bellec, Pierre Baux, Christele Tual, Antoine Herniotte, Francesca Bracchino, Camille Panonacle, Samuel Réhault, Geoffrey Carey, Suzanne Aubert.
Napoli, Teatro Nuovo, 30 ottobre 2007

Il Mattino, 1 novembre 2007
Un'Avemaria per il «mostro» Riccardo III

È come una scritta riflessa in uno specchio (la si legge al contrario) questo «Riccardo III» che il Festival di Avignone e il Festival delle Colline Torinesi presentano al Nuovo per la regia di Ludovic Lagarde. E tanto, innanzitutto, perché si tratta di una riscrittura - ad opera dell'olandese Peter Verhelst - che letteralmente capovolge il noto, e decisivo, parere di Jan Kott circa il personaggio protagonista della tragedia shakespeariana in questione: «Riccardo è impersonale come la storia. Mette in moto il rullo compressore della storia, dopodiché il rullo lo stritola. Riccardo non è neanche crudele. Non rientra in nessuno schema psicologico. È la storia pura. Uno dei suoi capitoli ricorrenti. Non ha volto». Qui, invece, Riccardo è «personalissimo», e rientra in uno schema psicologico complesso e articolato, la cui apparente contraddittorietà corrisponde esattamente alle due battute-chiave che il personaggio pronuncia, nel testo di Shakespeare, all'inizio e alla fine della tragedia: «Non conosco altro piacere, per ingannare il tempo, che sbirciare la mia ombra al sole e intonar variazioni sulla mia deformità» (atto I, scena I) e - rivolto a Catesby, che lo invita a ritirarsi dal campo di battaglia - «Vigliacco! Ho puntato la mia vita su una giocata, e accetterò il rischio del dado» (atto V, scena IV). Insomma, il Riccardo di Verhelst oscilla tra il sogno di recuperare l'«innocenza» (fisica e morale) e il coraggio di spendere la vita sino in fondo, proprio come riscatto nei confronti di quell'«innocenza» perduta (o, meglio, mai conosciuta). La storia - nella circostanza la catena ininterrotta dei delitti da lui compiuti - viene relegata sullo sfondo. Il campo d'indagine e di scontro è, per l'appunto, la psiche di Riccardo; e, di conseguenza, assumono particolare rilievo le donne, in quanto delegate, giusto, a creare e, quindi, a rinnovare ad ogni parto la vita. Non a caso, nello spettacolo in questione Riccardo non è deforme come nel testo originale. Ora, l'intelligenza della regia di Lagarde si manifesta, in perfetto accordo con lo scenografo Antoine Vasseur, nel sottolineare un simile quadro soprattutto sul piano visivo. Il trono dell'assassino appare collocato fra due archi a sesto acuto che introducono sulla sinistra a letti amari (la maternità maledetta o il sesso estorto) e sulla destra a interni/incubatrici (di sicari o di vittime): siamo allo scarto fra la tensione verso il cielo incarnata dall'architettura gotica e il precipitare sulla terra, fatta inferno - come grida sua madre, la duchessa di York - dalla nascita di Riccardo. Ma prima di morire, in una delle scene più belle degli ultimi anni, il «mostro» reciterà con lei l'«Ave Maria»; e una volta morto, lei, ancora non a caso, sussurrerà al suo cadavere: «Tornami nel ventre». Ecco un esempio probante di come il teatro possa neutralizzare la retorica del «discorso». E il resto lo fanno interpreti superbi quali Laurent Poitrenaux (Riccardo), Anne Bellec (la duchessa), Geoffrey Carey (Hastings), Samuel Réhault (Loyal), Christele Tual (Elisabetta), Francesca Bracchino (Lady Anna), Pierre Baux (Buckingham) e Camille Panonacle (Margaret). Davvero da non perdere.

Enrico Fiore

Ultima modifica il Lunedì, 23 Settembre 2013 13:36

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