di Domenico Loddo
Regia: Roberto Bonaventura
Interprete: Stefano Cutrupi
Costume: Aurora Melito; Elementi scenici: Carlo Omodei
Produzione: Teatro dei 3 Mestieri
al Teatro dei 3 Mestieri di Messina dal 27 al 29 ottobre 2017
Se Krapp nel suo ultimo nastro festeggia da solo il suo 70° genetliaco stappando bottiglie di champagne, mangiando eroticamente banane, rivivendo tramite un registratore un passato certamente più roseo di quello presente, Il signor Dopodomani del reggino Domenico Loddo, un monologo che va a mille all'ora con la pregevole regia di Roberto Bonaventura, vestito da un adrenalinico Stefano Cutrupi, anche lui di Reggio Calabria nonché tra i leader a dirigere il Teatro dei 3 Mestieri nella zona Sud di Messina, sembra un parente del personaggio beckettiano, solo per via d'un registratore a bobine e d'uno stereo portatile su cui ad inizio di spettacolo vi infila un'audiocassetta di 45 minuti che racchiude tutto ciò che è rimasto della sua compagna Ada che l'ha lasciato. Sono parole vere o false, brani musicali che sentivano insieme e che Cutrupi agghindato di frac e farfalla neri su camicia bianca e piedi nudi, quasi un personaggio marinettiano sbucato fuori da una serata futurista, ascolta masochisticamente come a volersi continuare a far del male. Del resto, si sa che quando si è abbandonati, e questo vale per entrambi i sessi, viene fuori una verve poetica, un fiume di parole che possono essere scritte su carta o registrate su nastro, salvifiche quasi, utili a lenire le ferite d'amore. Si torna indietro con la mente e ci si proietta in avanti per individuare il bandolo della matassa, del perché l'altro è andato via e non è più con te. Si analizzano ricordi, incontri e scontri, i tanti perché l'altro/a non è più accanto a te: cause, luoghi e modi ben descritti da Igor Alexander Caruso nel suo libro-saggio La sepazione degli amanti. Sembra impazzito Cutrupi, andando tutto torno allo spazio scenico, vivendo anfetaminicamente il personaggio, ora afferrando una rosa rossa mentre echeggiano le parole della canzone Cogli la mia rosa di Rino Gaetano, ora ricordando la sua Ada con Un anno d'amore cantata da Mina. I neuroni di Cutrupi s'illuminano come quando una biglia d'acciaio colpisce i bersagli d'un flipper e non gli è chiaro perché in matematica 3x0 faccia 0 e tre mele x zero rimangano lì come tre mele, come dice pure Dylan Dog. Ma gli è chiaro - alla maniera di Catalano - che si è felici fintanto che non si è infelici e che non può essere felice un condannato a vivere. Grida Cutrupi il suo status esistenziale. Il suo sembra uno sproloquio delirante, schizofrenico, malato. Un uomo senza domani ma con un dopodomani. Verso la fine, forse immaginato forse reale, il personaggio assume le fattezze d'un giustiziere della notte con un coltello in mano. Lui uomo del Sud, che non voleva vivere solo per vivere ma per conoscere, sente che la sua Ada l'ha tradito, sembrandogli un palindromo (che non è) stra-fottente, poco stra e molto fottente, al punto da mimare sul proprio corpo un'infinità di colpi di pugnale, mentre le mele non ne vogliono sapere di scomparire. In chiusura s'ode la voce di Ada (quella registrata di CristianaNicolò) che dice d'aspettarlo, riferendosi chiaramente a tempi più felici. Sia come sia, se femminicidio c'è stato non è giustificabile. Mai.
Gigi Giacobbe