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SCUOLA DELLE MOGLI (LA) - regia Arturo Cirillo

Arturo Cirillo e Valentina Picello in "La scuola delle mogli", regia Arturo Cirillo. Foto Luca Del Pia Arturo Cirillo e Valentina Picello in "La scuola delle mogli", regia Arturo Cirillo. Foto Luca Del Pia

di Molière
Traduzione Cesare Garboli
Regia Arturo Cirillo
Interpreti: Arturo Cirillo, Valentina Picello, Rosario Giglio,
Marta Pizzigallo, Giacomo Vigentini

Scene Dario Gessati
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Camilla Piccioni
Musiche Francesco De Melis
Produzione Marche Teatro, Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro dell'Elfo
Teatro Mercadante di Napoli dal 20 al 31 marzo 2019

www.Sipario.it, 1 maggio 2019

Si ride molto, e di gusto, ne La scuola delle mogli di Molière, messa in scena da Arturo Cirillo col timbro della Commedia dell'Arte. La vicenda è quella del ricco borghese quarantenne Arnolfo ossessionato dall'incubo di diventare un giorno (come, secondo lui, tutti gli uomini) un cocu, un cornuto. Per sottrarsi a questo destino, che si configura nella sua mente come il peggiore dei mali possibili, egli ha concepito un progetto pazzesco e a suo modo geniale: sposare una trovatella, figlia di poveri contadini, che ha preso con sé da bambina e ha allevato appositamente nella più completa ignoranza, convinto com'è che solo l'innocenza, unita a un isolamento pressochè carcerario, possa impedire a una donna di diventare civetta e infedele. Pericolose, pensa il signor Arnolfo, sono le donne intelligenti, mentre sposare una grulla è l'unico modo per non finire grullo. Ed eccola, Agnese, uscita dal collegio, educata nel timore e nell'obbedienza, ospite di una casa un po' fuori mano che il maturo fidanzato le ha appositamente allestito in attesa delle nozze, affidata alla sorveglianza di una stolida coppia di servi incaricati di vegliare sulla sua purezza. Ma è proprio quella breve attesa a scombinare i rigorosi programmi di Arnolfo: passa sotto le finestre il giovane Orazio e scoppia l'amore. Inutile dire che il misero progetto di Arnolfo sarà destinato ad un tragicomico fallimento. Prima di giungere al sospirato lieto fine, gli equivoci e i fraintendimenti si sprecheranno. Il giovane Orazio, nella sua fiduciosa ingenuità, affiderà puntualmente le sue confidenze sentimentali proprio al tiranno al quale, ancora, si appellerà per difendere la sua bella minacciata dall'ossessiva protervia di quel geloso pater familias che, fino alla felice conclusione di tanti patimenti, non identificherà in Arnolfo stesso. Nel mezzo ci sono scene emblematiche: come quella in cui Arnolfo si umilia davanti a Agnese per conquistarla e quella in cui, sempre lui, si fa maltrattare dai servi con la scusa di esemplificare il trattamento da infliggere al giovane rivale. E ancora, all'inizio della commedia, davanti alla casa, l'incontro con il raziocinante Crisaldo che, pur disprezzando i mariti beatamente complici dei tradimenti delle mogli, non perciò considera una disavventura matrimoniale il massimo dei mali, né si accanisce contro l'incolpevole cocu, ritenendolo soltanto una vittima della cattiva sorte. Con la traduzione di Cesare Garboli, Cirillo ne fa uno spettacolo effervescente, direi, "a colori", non solo per i fiorati e luminosi costumi, e per la scena geometrica e coloratissima – una piazza e una casa girevole manovrata a vista, con, da un lato solo la facciata segnata da una finestrella in cima, e dall'altro l'interno di due piani con una scala e una botola che collega le due stanze-prigione -, ma soprattutto, in un affiatamento lineare col capocomico, per la recitazione brillante e pungente di tutti gli interpreti (che sono, oltre allo stesso Cirillo, Valentina Picello, Rosario Giglio, Marta Pizzigallo, Giacomo Vigentini). C'è una moralità o quasi un'amena sofferenza nel finale dal sorriso amaro che spicca in modo esemplare grazie ai pregi di chi impersona il protagonista, coi suoi stupori, sdegni e propositi di vendetta del vecchio illuso destinato alla solitudine, che ci fa ridere di noi stessi, delle nostre miserie, debolezze ed incompiutezze. Perché Arnolfo non è un personaggio soltanto comico, grottesco, ripugnante, per il quale è impossibile parteggiare, ma un personaggio anche sventurato, anche drammatico, meritevole, almeno in parte, di comprensione e di pietà. Proprio come voleva Molière.

Giuseppe Distefano

Ultima modifica il Sabato, 04 Maggio 2019 07:09

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