di Alessandro Fullin
con Alessandro Fullin, Simone Faraon
costumi Monica Cafiero
direzione artistica Sergio Cavallaro
regia Alessandro Fullin
produzione Musa Produzioni Srls
distribuzione Terry Chegia
Ridotto del teatro Comunale, Vicenza, 18 novembre 2022
Strana e scombussolata è la storia di Madame de Parure e di sua figlia Sgonica (quel’alltra tanto nominata, Iole, non si vede mai) nella Rivoluzione francese, un po’ vera un po’ rivisitata in questo spettacolo di Fullin che si prende l’accortezza, sempre nobile, va detto, di portare al pubblico di questi tempi un sorriso senza tanti né fronzoli né approfondimenti particolari. Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione d’oltre Manica quanto meno bizzarra, dove le tre sono condannate alla ghigliottina e in attesa di un’eventuale grazia. Madre e figlia, la Sgonica appunto, frastuonano impudentemente una di fronte all’altra in un confronto continuo tipico madre-figlia, mentre la terza incomoda e invisibile è quella pare destinata a sacrificarsi, pur in qualche maniera, cosa già fatta più in gioventù. Provenienti da tal Villa Mona, colloquiano spesso con la Cittadina Champignon, in qualche misura guardiana del loro essere e anch’ella assente. Le sorelle Robespierre non c’entrano nulla, almeno a nome, è solo un evocare quel periodo, un invito all’ immersione nel Settecento d’oltralpe, giusto per prendere le misure. La trama è abbastanza flebile, anche inconcludente per quanto si cerchi di inserire elementi di satira che affiorano altrettanto a loro volta flebili, poco graffianti nonostante Alessandro Fullin, quando parla con quella voce garrula basta un niente e vengono giù risate. Il problema qui è aver pensato di portare in scena uno spettacolo che, probabilmente nelle intenzioni, potesse avere elementi vari per coinvolgere, dove appunto anche la satira poteva avere un proprio sfogo. Succede invece che nonostante le risate di cui sopra, dovute appunto proprio alla sagoma-personaggio Fullin, gli stessi elementi aspettati si arenano spesso e volentieri grazie innanzitutto alle troppe concessioni sul mondo moderno, le battute su marchi, nomi noti e moti della contemporaneità (nemmeno il Pride infatti viene un attimino approfondito, ma solo citato “leggermente”). Quello che di graffiante ci si attendeva passa dunque invano, se non per qualche piccolo richiamo, quell’irriverenza velata su alcuni mondi nostri e di allora, dove in certi casi poi è come voler vincere facile. Accanto a Fullin, sempre comunque attore divertente, che alterna salti e sgraziate camminate, e accenni di danza, risatine e facce di gomma come sa fare, si pone con linearità e scrupolosa interpretazione Simone Faraon, che gioca bene le sue carte e della sua Sgonica offre sfumature azzeccate, nel complesso insomma i due funzionano. Quel che manca è proprio il testo, apparso limitante e senza alcun sbocco d’arrivo, dove il divertimento passa e se ne va nel raggio di pochi secondi. Molta Trieste rimane tra i dialoghi, città propria di Fullin forse omaggiata o forse solo citata, chissà, e un raccontare una certa monotonia attraverso le note di Philip Glass, minimalista musicale, secondo il testo, americano. L’impianto dello spettacolo è semplice, diverte e fa sorridere, sicuramente uno scavare al meglio alcuni argomenti avrebbe aiutato un po’ a diventare più ironico e certamente più penetrante. Sembra strano anche credere che tutto questo non si volesse fare, perché per quanto Fullin non sia Paolo Poli, l’ironia andrebbe garantita da un certo livello in su, e non ci si dovrebbe accontentare di uno spettacolo “facile facile”. Naturalmente a mio parere.
Francesco Bettin