scritto e diretto da Roberto Cavosi
con Federica Luna Vincenti
e con (in o.a.) Milutin Dapcevic, Ira Nohemi Fronten, Claudia A. Marsicano, Miana Merisi
costumi Paola Marchesin
musiche ORAGRAVITY
light designer Gerardo Buzzanca Foto Gianmarco Chieregato Grafica Giulia Pagano
coproduzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro Stabile di Bolzano e Golden Art Productions con il sostegno del Ministero della Cultura-Direzione Generale dello spettacolo
Trieste, Politeama Rossetti, 26 marzo 2025
Fragile ma anche aggressiva, ferita nel profondo ma pronta a reagire e a denunciare le convenzioni e la corte finta e insensibile da dove scappa continuamente. La figura dell’imperatrice d’Austria è vista da sempre come un’eroina ribelle, anche nelle edulcorate pellicole che la vedono protagonista con il volto di Romy Schneider. L’ultima cinematografia (“Il corsetto dell’imperatrice” 2022, “Io & Sissi” 2024), come anche la pièce dedicata a lei da Roberto Cavosi, radicalizzano la sua natura anticonformista, restituiscono la sua vera immagine insofferente senza infingimenti, alla luce della lettura dei suoi diari e delle sue poesie. Il drammaturgo rifugge infatti dalla mera iconografia romantica e offre, nell’interpretazione intensa di Federica Luna Vincenti, un tormentato affresco spirituale di Elisabetta. Sul palco del Politeama Rossetti “Sissi l’imperatrice”, messo in scena dallo stesso Cavosi, è un atto unico di vibrante verità. Con essenziali ma evocativi elementi scenici come una sedia rialzata, casse di ferro per contenere scarpe e vestiti, una lunga parrucca settecentesca si rincorrono più quadri di vita della moglie di Francesco Giuseppe, all’indomani dei numerosi lutti che l’hanno provata. La troviamo nella stanza-spogliatoio intenta a prepararsi e a vestirsi insieme alle sue abituali aiutanti, una parrucchiera e una limatrice, con cui si confronta, litiga, si confida, svelando tutto il suo travaglio interiore. Sempre insoddisfatta del proprio corpo, rifiuta il cibo per farsi stringere più forte il corsetto e sottoporsi ad esercizi fisici estenuanti. E ancora nutre odio-amore per la sua chioma, vissuta come se avesse “sul capo un corpo estraneo”. È una donna forte ma lacerata dalla tristezza e dall’inquietudine, avversa alle guerre e all’imperialismo che tanto connotano l’impero asburgico. “Un’imperatrice anti-imperialista, schierata con le classi più deboli, dalla modernità sorprendente”, secondo le parole del regista. Con ironia e cinismo muove critiche veementi alla nobiltà viennese che danza sull’orlo dell’abisso, quella “schiatta depravata” che non l’ha mai accettata. Si indigna per le sofferenze delle minoranze etniche e per i soprusi subiti dai più poveri, lei che, dilaniata dal dolore e dai sensi di colpa, non riesce a staccarsi dall’immagine della morte dei suoi due figli, Sofia e Rodolfo. Ama Shakespeare, Heine, Baudelaire, e scrive poesie per dare sollievo alla sua anima afflitta, vulnerabile. Queste saranno donate poi – secondo la sua volontà – agli editori e i loro proventi andranno alle famiglie dei perseguitati politici. Nell’ultima scena la visita il medico, dopo il colpo ben assestato dell’anarchico Lucheni. È in fin di vita, pronta a consegnare le sue ultime volontà alla “cara anima del futuro”. Emerge nel finale una personalità che supera i confini del tempo, una coscienza critica che comunica anche al nostro secolo, rivelata nei suoi mille chiaroscuri dalla Vincenti. Elena Pousché