Autore: Tino Caspanello
Regia: Cinzia Muscolino
Compagnia/Produzione: Teatro Pubblico Incanto
drammaturgia di Tino Caspanello
con Tino Calabrò e Tino Caspanello
Messina, Chiesa Santa Maria Alemanna, 25 gennaio, 2015
A differenza di suoi precedenti lavori quali Mari = Mare, Nta ll'aria = Nell'aria ai cui titoli dialettali corrispondeva una parlata in vernacolo - quella dei paesini collinari tra Messina e Taormina di Pagliara e Pagliara Rocchenere, luoghi natii dell'attore e drammaturgo Tino Caspanello - in questo poco rappresentato Sira = Sera scritto una ventina d'anni, la lingua è il nostro idioma italico. Trattasi d'un breve atto unico andato in scena nella chiesa gotica di Santa Maria Alemanna di Messina, all'interno della rassegna "Atto Unico. Scene di Vita, Vite di Scena" 2014-2015 di QAProduzioni, diretta da Auretta Sterrantino e propiziato da Cinzia Muscolino, attrice e moglie di Caspanello, questa volta nei panni di regista, che ha pensato di fare agire i due personaggi della pièce, lo stesso Caspanello e Tino Calabrò, in una sorta di ring, uno spazio scenico ricavato nella parte centrale della navata sistemando le poltroncine tutte intorno a forma di quadrato: qualcosa che ricordava Jerzy Grotowski e il suo teatro povero, quando in una Biennale di Venezia del 1975 metteva in scena nell'isoletta di San Giacomo in Palude Apocalipsis cum figuris officiato dal grande attore polacco Cieslak scomparso nel 1990, con soli cento spettatori sistemati a terra su un quadrangolare parquet di legno. E' uno spettacolo breve questo Sira, appena 40 minuti, che ha l'andamento d'un apologo o d'una breve parabola tipo quella del figliol prodigo o d'una tranche dei Fratelli Karamazov di Dostoievskij quella incentrata su Il grande inquisitore sull'esistenza di Dio, sul senso del dolore e sull'essenza della libertà, durante il quale un professore (Caspanello) diventato poi giornalista di cronache politiche, incontra casualmente o volutamente un suo alunno (Calabrò) soprannominato Salvatore 'o scuru (l'oscuro) al quale non piaceva, seppure preparato, essere interrogato. Il dialogo tra i due, punteggiato da lunghi silenzi, che caratterizzano tout court il Teatro di Caspanello, si carica di suspense, di allusioni e di sottintesi, di argomenti insomma che dicono senza approfondire i come i perché e i quando. Sembra d'assistere a quei dialoghi kafkiani a mezze parole espresse in quel film di Tornatore Una pura formalità, diventato qualche anno fa per mano di Glauco Mauri uno spettacolo teatrale. Il professore dice di sé d'essere solo, senza una casa e una famiglia, di non avere figli e parenti e neppure un cane, di vivere in una pensione e se ad un tratto dovesse morire non ci sarebbe nessuno al suo funerale. Del giovane invece, lodato dal professore quale bravo allievo profondo e riflessivo, sappiamo solo che lavora col padre che fa il camionista. Nei minuti restanti finali il professore dirà al giovane d'essersi recato una mattina per un suo articolo in un luogo dove, pare, in un attentato dinamitardo, siano morti moglie e figli e d'aver capito poi che fra i responsabili poteva entrarci il padre di Salvatore. Si può intuire che padre e figlio potevano far parte del gruppo armato, che potevano avercela col professore perché testimone di qualcosa di cui non è dato sapere, non si sa perché e per chi agissero, né quanto meno è circoscritto il tempo e il luogo del o degli attentati. Fatto è che in chiusura il giovane offrirà al professore una pistola per farlo fuori, ma costui andrà via senza prenderla in mano piuttosto si defilerà senza più profferire verbo. Un finale che lascia attoniti gli spettatori, che applaudono comunque, senza del resto aver potuto udire bene tutte le battute dei due concentrati protagonisti, certamente a causa della cattiva acustica della chiesa, per cui le loro voci erano udibili a coloro che stavano di fronte, mentre quelli alle loro spalle stentavano a percepirle nella loro interezza.
Gigi Giacobbe