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SERRA (LA) - regia Marco Plini

"La serra", regia Marco Plini "La serra", regia Marco Plini

di Harold Pinter
traduzione Alessandra Serra
regia Marco Plini
con Mauro Malinverno, Valentina Banci, Luca Mammoli, Fabio Mascagni, Giusto Cucchiarini, Francesco Borchi, Elisa Langone
scene e costumi Claudia Calvaresi
foto Lorenzo Porazzini
Produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro Metastasio Stabile della Toscana
Milano, Teatro Franco Parenti dal 27 gennaio al 1 febbraio 2015

www.Sipario.it, 15 febbraio 2015

La serra ... comica apocalisse

Il testo ritrovato
Da un luogo ed un tempo dimenticati ecco riesumata, la"Serra": pièce semisconosciuta è, fra le commedie del repertorio pinteriano, una delle più divertenti e crudeli.
Farsa al vetriolo, datata 1958, è oggi proposta, nel brillante adattamento di Alessandra Serra, arricchita dall'incisiva regia di Marco Plini.
Metafora in chiave grottesca e, superbamente beffarda, del destino degli uomini: deboli strumenti nelle mani di un potere superiore. Pinter affronta il tema della lotta per la supremazia del potere e, con sguardo gelido da entomologo, decreta la sorte di vittime e carnefici: beffati nell'illusione di un libero arbitrio e vincolati al proprio destino.

L'eterno teorema sull'infelicità dell'uomo
Momenti di pura comicità risplendono, a tratti improvvisi e secchi, come colpi di fucile. Si tratta di un divertimento agre e frustrante, fondato sul veritiero aforisma Beckettiano, che "Non c'è niente di più comico dell'infelicità umana..."
Il processo di spersonalizzazione e le torture inflitte ai pazienti dell'istituto manicomiale costituiscono l'ambito di sfogo preferito dallo staff medico e dirigenziale della struttura.
Massacro organizzato
Come in una grande catena ogni elemento è legato all'altro: ogni offesa, ogni umiliazione subita, è immediatamente lenita dalla crudeltà e dalle prevaricazioni inflitte a coloro che si trovano nei gradini più bassi. In un sottile gioco di alleanze e voltafaccia è destinata a rivelarsi, la vera natura dell'uomo.
Lo sterile e interminabile dibattito, causato dallo scambio fra le matrici dei due degenti: "6459" di sesso maschile (da poco deceduto per maltrattamenti) e il "6457" vittima delle molestie da parte del personale medico testimonia il generico e vacuo interesse dei vertici e tradisce, dietro le civili apparenze e le attività ricreative, l'effettiva natura di "campo di prigionia" fisico e psichico della clinica.

Uno sguardo sull'uomo
Visione lucida e perfettamente centrata sull'uomo. Apprezzabile la scelta di rispettare la traccia originale del testo pinteriano.
La partitura registica, impostata a partire dal ruolo formale e dalla posizione sociale dei personaggi, ha il merito di porre in rilievo la contrapposizione fra paternalismo burocratizzato e spietata crudeltà.
Ottimo ensemble d'interpreti, perfettamente calibrato, spicca per gli efficaci contrasti creati fra staff medico e pazienti: Mauro Malinverno nel ruolo di Roote è un ottimo despota vigliacco e ottuso quanto basta; Luca Mammoli è perfettamente calato nella parte dell'ossequiente e servile burocrate... sino all'apocalisse finale!
Decisamente degna di nota la prova di Giusto Cucchiarini, un ottimo Lamb: agnello sacrificale per elezione. La sobrietà della performance contribuisce a svelare i lati più reconditi della crudele farsa.
Buona la Miss Cutts di Valentina Banci e Cecilia Langone, androgina e inquietante Lobb, due caratteri all'altezza della difficile prova.
Le scene di Claudia Calvaresi costituiscono elemento essenziale alla struttura stessa del testo, dicotomia legata al contesto: l'ufficio in vetro è evidenziato quale espressione del potere e isolamento nei quadri che vedono Gibbs e Roote e Lush nella loro sfera sociale e professionale. Elemento di fusione e armonizzazione nei dialoghi fra i personaggi in ambito privato.
Opera feroce e raggelante certamente destinata a lasciare un segno nel pubblico più attento ed esigente.

Francesca Bastoni

Ultima modifica il Lunedì, 16 Febbraio 2015 12:49

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