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TRAPANATERRA – regia Dino Lopardo

Dino Lopardo e Mario Russo in "Trapanaterra", regia Dino Lopardo Dino Lopardo e Mario Russo in "Trapanaterra", regia Dino Lopardo

Di Dino Lopardo
Spettacolo teatrale in atto unico
Regia e ideazione scene Dino Lopardo
Musiche Mario Russo
Luci Giovanni Granatina
Supervisione artistica Matteo Cirillo
Con Dino Lopardo, Mario Russo
Produzione LOPARDO – RUSSO / NOSTOS TEATRO / Collettivo ITACA
Piccolo Bellini di Napoli, dal 22 al 25 ottobre 2020

www.Sipario.it, 24 ottobre 2020

TRAPANATERRA – Tornare per non restare, di Dino Lopardo

«Come è bello tornare. Tornare a sentire. Tornare ad amare. Tornare a credere. Tornare a giocare.» dice l’autrice Susanna Casciani, ma queste parole potrebbero essere pronunciate da chiunque abbia avuto, dopo mesi, l’occasione di tornare a teatro. E infatti in inglese recitare si dice to play, come giocare. Tornare a teatro. Tornare a giocare. Era solo inizio marzo quando il sipario è calato per l’ultima volta e per tempi lunghissimi nessuno ha potuto più risentire l’odore inconfondibile di quel luogo in cui il tempo aveva smesso di scorrere. Il tempo sospeso del teatro. La realizzazione di un eterno mondo parallelo che costruisce prospettive altre e chiude fuori, oltre il foyer, le paure e le incertezze. Il Piccolo Bellini torna dopo questi infiniti giorni e recupera un po’ di infinito, di quell’infinito che è la bellezza delle cose e del raccontare storie e lo fa con un atto unico in cui il linguaggio è ironico, con note amare e tratti grotteschi, in chiave tragicomica. Due personaggi in scena, due fratelli, il Ritornante e il Residente, che incarnano il sistema e la narrazione della loro Terra, delle vite di tanti e dei pregiudizi di molti. La Basilicata dei ricordi e dei tempi andati, delle famiglie unite e dei canti ai matrimoni, delle feste di paese e della gente in piazza forse non esiste più: al suo posto fabbriche chiuse, fallimenti e amarezza che si legge sui volti e si sente nelle voci dei servitori dei padroni sfruttatori, ancora adesso, ancora di più. Un fratello partito e ritornato al suo paese di origine, ormai acculturato e laureato, che non ha dimenticato la gioia quotidiana dell’infanzia, ma che è andato via per inseguire sogni che forse la terra madre per lui non poteva realizzare, troppo piccola per ospitare i desideri di tutti. E un fratello rimasto, disilluso e ormai provato dal ripetersi dei giorni uno accanto all’altro, assistendo la sorella malata e ormai morta e quasi risentito nei confronti del Ritornante: «Il coraggio ci vuole per restare, non per scappare». C’è ancora spazio per le musiche e i suoni di quei ricordi o la nostalgia è stata sepolta nel cimitero del paese? Una storia locale che si allarga all’universale, nelle cui pieghe si legge la voglia di crescere, per chi fugge, forse soltanto da se stesso, ma poi torna perché richiamato dalle radici che, in certi giorni, sono come una stretta che richiama a casa. C’è ancora quella casa? Tutto è cambiato, eppure tutto è sempre uguale, ancora come in quello sguardo del naufrago, che corre lontano e si chiede come faccia il fratello ad amare il lavoro in una raffineria, pericoloso e forse poco decoroso. Ma i tubi di quella raffineria, anche scenografia semplice e mutevole, sono al contempo la semplicità e la vita ancorata alla realtà, che però sa risollevarsi (grazie alla musica dal vivo) dal dolore, ogniqualvolta riesce ad andare oltre il degrado, il cattivo odore dei gas e la difficile condizione del periodo, quello del caso ENI dello sversamento di petrolio. In questo viaggio in dialetto con contaminazioni calabre e lucane, in cui prevalgono note di un animo nostalgico che vive la condizione di emigrato tra estraneità e solitudine, i due fratelli sono tessere di un vecchio puzzle che non sempre si incastrano, i due attori sono maestri della parola e artigiani del raccontare, per la velocità delle battute e il pacifico scontro tra la seria realtà dei fatti e lo stile dell’assurdo della messa in scena. Trapanaterra parla di un respiro che è aria di casa. E anche la ripartenza del Teatro lo è. Com’è bello tornare.

Francesca Myriam Chiatto

Ultima modifica il Mercoledì, 28 Ottobre 2020 11:29

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