mercoledì, 22 gennaio, 2025
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TESTIMONE D'ACCUSA - regia Geppy Gleijeses

"Testimone d’accusa" – regia Geppy Gleijeses "Testimone d’accusa" – regia Geppy Gleijeses

di Agatha Christie
Traduzione di Eduardo Erba
Regia di Geppy Gleijeses
Interpreti: Vanessa Gravina, Giulio Corso, Paolo Triestino, Erika Puddu, Bruno Crucitti, Antonio Tallura, Francesco Laruffa, Michele De Maria, Sergio Mancinelli, Bruno Crucitti, Paola Sambo e Lorenzo Vanit
Scene: Roberto Crea
Costumi: Chiara Donato
Musiche: Matteo D’Amico
Luci: Luigi Ascione
Produzione: Gitiesse Artisti Riuniti in coproduzione con il Teatro Stabile del Veneto
Teatro Vittorio Emanuele di Messina dal 20 al 22 dicembre 2024

www.Sipario.it, 21 dicembre 2024

Ciò che ricordo dell’opera Testimome d’accusa di Agatha Christie, diventata poi nel 1957 un film capolavoro nelle mani del regista Billy Wilder, è il modo con cui Marlene Dietrich, nei panni d’una misteriosa donna dall’accento cockney, spostando di lato la sua folta chioma, mostrò  a Charles Laughton uno sfregio (finto) sulla guancia destra, vendendogli per una manciata di sterline una serie di lettere (false) che avrebbero scagionato suo  marito Tyrone Power colpevole d’avere ucciso una ricca vedova di nome Emily French. E qui mi fermo, perché il seguito, che non racconterò, è un vero colpo di scena con un finale davvero incredibile. Adesso l’opera della Cristie, all’origine (1925) un racconto diventato poi commedia, viene ripresa da Geppy Gleijeses creando uno spettacolo di giro di oltre due ore senza intervallo, transitato dal Vittorio Emanuele di Messina (che non lesina applausi qualunque cosa gli venga propinato), per il quale non è il caso di fare raffronti col film e che ho seguito svogliatamente e con un filo di noia. Sin dalla scena iniziale di Roberto Crea, quando le finte fiamme d’un bianco caminetto e alcune sedie ritraggono lo studio minimale di Sir Wilfrid Robarts, avvocato penalista di successo, temuto e stimato da qualunque tribunale inglese, impersonato da un Paolo Triestino, da me apprezzato tante volte, ma qui distante da quell’aplomb english  che avrebbe meritato il personaggio, oltremodo ironico, pure scorbutico, carismatico in pubblico e in privato, talvolta  colto da attacchi di angina, assistito da un’affettuosa assistente lì pronta a fargli deglutire una pilloletta di trinitrina. Una volta accettato il caso prospettatogli dall’avvocato suo assistente, il caminetto con rotelle viene spostato nelle quinte e dietro il sipario divisorio appare una verosimile aula di tribunale con scranno in alto del giudice in toga rossa, in basso la postazione dei testimoni e ai lati il bancone dell’accusato e quello della giuria, formata da sei spettatori anonimi scelti ogni sera fra il pubblico del Teatro. Eccolo adesso il sornione Sir Wilfrid in toga nera e parrucca bianca, diventare un castigamatti del foro londinese, opponendosi a qualunque quisquilia irregolare del pubblico ministero, difendere a spada tratta l’imputato Leonard Steven Vole, qui vestito da un irruento Giulio Corso, spesso sopra le righe, come del resto era lo stesso Power che non godeva le mie simpatie. Si avvicendano i testimoni, dall’ispettore di polizia alla governante dall’udito scarso Janet Mackenzie, qui vestita da una applaudita Paola Sambo per il modo popolaresco di esprimersi senza freni, indispettita oltre misura perché la sua datrice di lavoro aveva cambiato il testamento a favore del presunto omicida. Ecco adesso apparire alla sbarra la moglie dell’accusato, la bionda Cristina Helin, in stretto tailleur grigio e cappellino scuro alla Robin Hood, quella di una Vanessa Gravina che bisticcia con la dizione, caricatura quasi della gelida Dietrich, in un primo intervento scagionare il marito perché asserisce che era con lei al momento del delitto e in un secondo tempo  affermare che il marito era rientrato in casa con gli abiti insanguinati ad un’ora nettamente sospetta,  diventando la testimone d’accusa e di fatto condannandolo a morte. Un escamotage quest’ultimo, quando si camufferà da colei che possiede false missive, scritte da lei stessa, per far credere che la moglie dell’accusato ha un amante col quale involarsi bellamente e condannare di fatto il marito. Un lampo finale questo, illustrato alla corte e alla giuria, che dichiareranno innocente l’accusato durante un processo la cui verità sembrerà essere un normale caso di omicidio per denaro e oggetti preziosi da parte di un ignoto ladro. Questo il finale, ma non l’epilogo, che i curiosi potranno vedere reperendo il film di Wilder o vedere questo spettacolo diretto da Geppy Gleijeses.     

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Sabato, 28 Dicembre 2024 11:16

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