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TUTTO SU MIA MADRE - regia Leo Muscato

Tutto su mia madre Tutto su mia madre Regia Leo Muscato

di Samuel Adamson, traduzione di Giovanni Lombardo Radice, basato sul film di Pedro Almodovar, regia di Leo Muscato
con Elisabetta Pozzi, Alvia Reale, Eva Robin's, Paola Di Maglio, Alberto Fasoli, Silvia Giulia Amendola, Giovanna Mangiù, Alberto Onofrietti
scene di Antonio Panzuto, costumi di Gianluca Falaschi, luci di Alessandro Verazzi, suono di Daniele D'Angelo
produzione Teatro Due di Parma e Teatro Stabile del Veneto
visto a Cremona, teatro Ponchielli, 6 marzo 2012
Teatro Vittorio Emanuele, Messina dal 26 al 29 aprile 2012

www.Sipario.it, 8 marzo 2012
Giornale di Sicilia, 28 aprile 2012

Mélo e quel dolore che strozza la voce in gola procedono a braccetto, si rimpallano fra la storia di Blanche Dubois di Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams e quella di Manuela di Tutto su mia madre di Samuel Adamson. La pièce del drammaturgo anglosassone — resa celebre dal film di Pedro Almódovar — è una sorta di matrioska del dolore e dell'eccesso di amore che distrugge, brucia, ma alla fine risorge, malgrado tutto. In Tutto su mia madre, nella versione registica di Leo Muscato, c'è uno scarto continuo fra realtà e finzione, fra vita rappresentata (quella di Blanche Dubois) e vita agita (quella di Manuela) e tutto accade su quella scena che è scatola grigia, luogo astratto, scacchiera su cui si muovono le pedine delle passioni e dell'amore. In questo spazio asettico che si rivela persistente spazio teatrale, con una platea speculare a quella 'vera', si proioettano le varie situazioni emotive che hanno cromatismi alla Rotkho e prendono spazio in buon ordine i vari tasselli di una vicenda che sarebbe melodrammatica se di mezzo non ci fosse la morte di un ragazzo di diciassette anni, Esteban (Alberto Onofrietti), la disperazione della madre (Elisabetta Pozzi), sposata ad un travestito, una suora (Silvia Giulia Mendola) messa incinta da quello stesso travestito, la passione lesbica fra un'attrice consumata (Alvia Reale) e la sua giovane compagna (Giovanna Mangiù) nella vita e sul palcoscenico, nell'allestimento del dramma di Williams. In mezzo c'è la figura del travestito Agrado, un'esilarante, diretta Eva Robin's che lo scarto di realtà se lo gioca interrogando il pubblico stesso, rompendo quella finzione che persiste, che scotta perché ella stessa Robin's/Agrado frequenta il confine di quell'ambiguità che sa far piangere e ridere insieme, sa essere dolorosamente comica. E se Agrado è l'Es di un racconto che procede per sentimento, per passione sentiente, Esteban è l'Io, la ragione che ordina, il narratore interno, testimone di un dolore muto e di un bisogno di alzare il velo sull'autenticità dell'amore. In questo Manuela è strumento del disvelamento, è grimaldello poetico, ovvero è colei che agisce e fa, che si prodiga per e alla fine 'trionfa'. In tutto ciò Elisabetta Pozzi è misurata e corretta, così come tutto l'allestimento ben ragionato, ben orchestrato, pensato fin nei particolari, dettaglio, dopo dettaglio, narrazione che ha come pregio l'aver raggiunto un'autonomia reale dal film, in quel gioco di rimandi teatrali e metateatrali che sfiorano la vertigine ma che dicono quando dietro la finzione più smaccata cresca e maturi il senso vero delle cose. Tutto su mia madre di Leo Muscato vive di un suo ritmo serrato, che non incide il dolore sulla carne dello spettatore, per preferire un andamento fluido, veloce in cui sono le parole e il racconto a dire e narrare di quel dolore, del rapporto fra morte e vita, del divenire continuo e inatteso dell'esistenza. Il pubblico apprezza la chiarezza e premia tutti, oltre agli interpreti già citati anche Paola Di Meglio e Alberto Fasoli, camaleonte della meschinità.

Nicola Arrigoni

Quando tredici anni fa uscì Tutto su mia madre, uno dei più bei film di Pedro Almodovar, fu subito amato dal pubblico e dalle giurie di tutto il mondo che gli tributò i premi più prestigiosi. Il film di quel tempo e adesso pure lo spettacolo teatrale scritto da Samuel Adamson, tradotto sapientemente da Giovanni Lombardo Radice e messo in scena con molto patos da Leo Muscato, contiene in sé uno di quei comandamenti fondamentali che molti sanno ma che si dimenticano di osservare, ovverosia di amare il prossimo come se stessi. Aiutare l'altro, solidarizzare con lui, condividere le sue pene e le sue gioie: quello che in buona sostanza realizza il gineceo di donne qui raffigurate con seri problemi esistenziali, affrontati sempre frontalmente e con dignità non nascondendosi mai dietro un dito. A Manuela (Elisabetta Pozzi) infermiera di Madrid, una macchina le investe mortalmente suo figlio 17enne Esteban (Alberto Onofrietti), il quale non ha mai conosciuto il padre Lola, un travestito con due grosse tette il quale a sua volta ha messo in cinta Rosa (Silvia Giulia Mendola) una futura suora trasmettendole l'AIDS, lasciando sempre all'oscuro di tutto sua madre Alicia (Paola Di Meglio). L'attrice Huma Rojo (Alvia Reale) vive un amore lesbico con Nina (Giovanna Mangiù), pure lei attrice, drogata e sua partner in teatro. Fra di loro si frappone il colorito e travolgente trans Agrado ( Eva Robbin's), uno spirito schietto convinto che nella vita ci siano di autentico solo i sentimenti e il silicone. Lo spettacolo teatrale, più lento e più lungo di quasi un'ora rispetto al film, è un grande omaggio alle donne, al cinema, al teatro e all'arte delle attrici. E non è un caso che vengano citati Eva contro Eva di Mankiewicz e si rappresentino in scena schegge di quel Tram che si chiama desiderio di Tennesse Williams e nel finale si faccia cenno alle Nozze di sangue di Garcia Lorca. Le scene di Antonio Panzuto hanno come fondale uno spaccato di teatro e in sua assenza appaiono una serie di belle figurazioni astratte, forse del catalano Antoni Tapies scomparso da poco. Lo spettacolo, cui prende parte pure Alberto Fasoli in più ruoli, ha l'andamento d'un grande melodramma, in cui tutti i personaggi (con i costumi di Gianluca Falaschi), resi magnificamente da un cast di tutto rilievo, vengono assolti tout court, qualunque possa essere il loro peccato e viene fuori che l'unica cosa che conta davvero nella vita è l'amore che ciascuno è in grado di dare ad un'anima innocente e di non star lì a giudicare ciò che non si riesce a comprendere nella sua interezza. Molti e calorosi applausi finali e repliche al Vittorio Emanuele sino a domani pomeriggio.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Lunedì, 23 Settembre 2013 07:07

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