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UNO, NESSUNO E CENTOMILA – regia Antonello Capodici

Pippo Pattavina e Marianella Bargilli in "Uno, nessuno e centomila", regia Antonello Capodici Pippo Pattavina e Marianella Bargilli in "Uno, nessuno e centomila", regia Antonello Capodici

ABC Produzioni e ATA Carlentini presentano
Pippo Pattavina e Marianella Bargilli
Uno, nessuno e centomila
Di Luigi Pirandello
Con: Rosario Minardi, Mario Opinato, Gianpaolo Romania
Musiche originali: Mario Incudine
Scene: Salvo Manciagli
Regia: Antonello Capodici
Roma – Teatro Quirino Vittorio Gassman dal 10 al 15 gennaio 2023

www.Sipario.it, 11 gennaio 2023

A chi interessasse sapere come si faceva teatro prima dell’avvento della regia alla Strehler, suggerisco di correre a vedere Uno, nessuno e centomila al Quirino per la regia di Antonello Capodici e con protagonista l’onnipresente Pippo Pattavina.
Uno dei tanti capolavori di Pirandello è stato ridotto per le scene come le pezze di Arlecchino: un “taglia e cuci” che aveva come solo scopo quello di portare a casa lo spettacolo e basta. Niente ritmo, nessun senso di approfondimento del personaggio – Vitangelo Moscarda –, che secondo l’autore dovrebbe essere di 28 anni e invece ce lo ritroviamo anziano, coi capelli bianchi e giustamente bolso e cascante data l’età.
Ma questo è il meno.
Ciò che più ha colpito – può aver colpito – lo spettatore è il fatto d’essersi trovato davanti a uno spettacolo che non si è ben compreso se fosse un monologo o una vera e propria pièce, con tanto di altri personaggi. Perché Pattavina (Moscarda) dall’inizio alla fine non smette mai di parlare. Racconta, riassume, evoca, spiega, analizza, anticipa, tira le somme di tutto. In scena ci sono altri interpreti, ma nessuno di loro ha potuto disegnare personaggi con un minimo di psicologia, un’ombra di personalità. Malgrado non si trattasse di attori dalle doti eccezionali, o quantomeno notevoli, il problema di fondo è legato proprio alla drammaturgia: e cioè al fatto che questi dovessero fare solo da contorno all’attore protagonista, farlo emergere nel suo eccezionale essere mattatore della scena e basta.
In ciò sta l’aria stantia dello spettacolo, del tutto dimentico della ormai lunghissima e consolidata – e quindi molto più facile – tradizione del teatro di regia critica (alla Strehler, Ronconi, Squarzina e così via). All’epoca di Tommaso Salvini o Eleonora Duse, qualsiasi testo veniva tagliato e letteralmente rabberciato per far sì che l’attore-capocomico (colui che sovrintendeva ed era creatore della compagnia) emergesse in piena ed eccezionale solitudine. E il pubblico? In delirio, ovviamente.
Ma nel caso di Pattavina, di questo Pattavina cui ho avuto modo d’assistere, non ci troviamo di fronte a un mattatore; bensì a un bravo attore di lungo mestiere, consapevole di trucchi e tecniche per portare a casa la scena. Ma nulla di più. Il suo personaggio era una voce narrante, privo di personalità, una specie di figura che teneva insieme un edificio sempre sul punto di crollare.
La chiusura dei due atti, entrambi con un monologo di Pattavina-Moscarda, rappresenta l’ennesima evocazione del teatro all’antica italiana (per evocare quel raffinato talento e quella mente sopraffina di Sergio Tofano) nella sua tecnica di realizzazione sul palco.
Perché dar vita ad operazioni simili? Ci sono ragioni specifiche? Che non si conoscono? Si dicano allora, senza paura. Con la consapevolezza che questo modo di fare teatro non entra mai nel merito delle scatole della storia e della Storia dei testi rappresentati di cui parlava Strehler nelle note di regia al suo Giardino dei ciliegi.
Un gran peccato.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Giovedì, 12 Gennaio 2023 09:52

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