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UCCELLI (GLI) - regia Roberta Torre

Gli uccelli Gli uccelli Regia Roberta Torre

di Aristofane. Traduzione di Alessandro Grilli
Regia di Roberta Torre. Musiche di Enrico Melozzi. Coreografie di Dario La Ferla. Costumi di Roberto Crea. Luci di Elvio Amaniera
Con Sergio Mancinelli, Mauro Avogadro, Massimo Tuccitto, Rocco Castrocielo, Simonetta Cartia, Giacinto Palmarini, Enzo Campailla, Doriana La Fauci, Alessandro Aiello, Rocco Castrocielo, Andrea, Valentina Rubino, Davide Geluardi , Francesco Scaringi, Giuseppe Orto, Sebastiano Tazzina. Giulia Zuppardo
Siracusa Teatro Greco. Dal 17 maggio al 30 giugno 2012

www.Sipario.it, 19 luglio 2012

Volge decisamente al faceto e fescennino, in una complessiva atmosfera di 'divertissement' fra la terra e l'Olimpo, l'ultimo spettacolo in cartellone al Teatro Greco di Siracusa per il ciclo di rappresentazioni promosse dall'Istituto Nazionale del Dramma Antico
"Gli uccelli" di Aristofane (autore pirotecnico, dotato di una capacità invettivo-qualunquistica paragonabile, per estensione contemporane, a quella di Beppe Grillo) fu messa in scena, per la prima volta, al gran certame delle falloforìe Dionisiache (414 a.C). Ove ottenne il piazzamento d'onore (secondo posto), risultando vincitrice "I crapuloni" di tale Amipsia, la cui sorte è data dall'oblio e dalla perdita degli originali manoscritti. Tanto per sottolineare che, nell'ambito della commedia (anzi, della satira), ai progenitori ellenici non mancavano né gli argomenti né i bersagli da trafiggere, specie in ambito politico e di insubordinazione religiosa, avendo essi dato al politeismo (di derivazione egizia) vizi, usanze, iconografie tipiche della più crudele condizione umana. Il tutto sviluppato, come sempre, mediante l'intersecarsi di mitologia, allegoria e immaginazione a briglia sciolta.

Qui l' avventura scenica narra di due ateniesi, Pisetero ed Evelpide, che disgustati dai concittadini, decidono di lasciare la città per cercarne un'altra dove vivere senza patemi. Il caso o il capriccio degli dei li trasporta al cospetto di Upupa, che è in realtà Tereo (in passato re di Tracia, poi trasformato in uccello per metamorfosi infame), al quale propongono di fondare, insieme ai volatili, una sorta di città celeste di nome Nubicuculia. Gli uccelli, inizialmente, sono ostili all'idea (poichè, e saggiamente, diffidenti del genere umano), ma poi si lasciano convincere dal ciarlare degli ateniesi in trasferta.
Del resto Nubicuculia risulta ubicata in una specie di microclima ideale ed indiziato, poiché sta " in cielo, a metà strada tra gli dei e gli uomini". Colta l'opportunità, i pennuti dichiarano allegramente guerra agli dei, ed intercettando i fumi dei sacrifici a loro offerti dagli uomini, riducono il grande Olimpo alla fame. Al contempo, gli uomini accettano di venerare gli uccelli come nuove divinità (sembra che la loro natura non riesca a farne a meno), con supplemento di complicazioni, equivoci, abbindolamenti che sarebbe noioso elencare.

Per dovere di cronaca, diremo che esistono molti eruditi in grado di attribuire a "Gli uccelli" seriosi significati che, nel quasi goliardico allestimento di Roberta Torre (e nella spedita, pimpante traduzione di Alessandro Grilli), è impossibile, forse non indispensabile rintracciare. Messa in scena al tempo d'una spedizione ateniese in Sicilia (risoltasi in totale disfatta sulle coste iblee), la commedia potrebbe alludere all'insana ambizione della 'polis' di espandersi, in totale rovina, verso terre insidiose e 'impenetrabili'
Più concretamente, invece, la commedia (diversamente dalle abitudini di Aristofane) non prende di mira alcun personaggio della Atene di quei tempi, né alcun problema di ordine civico- sociale affermandosi però come una delle tessiture più immaginifiche (e sapientemente strutturate) di tutto quel repertorio che va sotto il nome di 'commedia attica antica'.

Oltre alla leggerezza, al piacere quasi cabarettistico che dispiega la vivacità degli accadimenti, non v'è dubbio che l'allestimento di Roberta Torre riveli un sottofondo di disincanto, di gioviale sbalordimento rispetto alla fragilità, alla puerile stupidità dell'umana supponenza. Come nel caso (ma è solo un esempio) del bonario Pisetero (interpretato da Mauro Avogadro) che, a lungo andare, svela la sua reale natura di prepotente e opportunista. Sino al punto di mettere al bando 'gi uccelli dissidenti' e farne cibaglia (prelibata?) per la sua festa di nozze. Non senza essersi sbarazzato dell'amico Evelpide preposto alla costruzione, in territorio remoto, di una inespugnabile muraglia a difesa di ciò che ancora non esiste.

Né potrebbe essere altrimenti, dal momento che l'ordito di Aristofane altri non è che un oleato meccanismo di distopia, di anti-utopia immaginata e praticata sul 'corpus' irredimibile di un tessuto sociale verso cui l'autore nutre profonda sfiducia e morale disappunto. Visivamente stemperati dal gusto variopinto e coreografico impresso alla rappresentazione, nel suo continuo rimando di canti, parodie, clawnerie, sollazzi da cartone animato. Nella blanda profusione di maliziosità frizzatine e tanto format televisivo espiantato (di sana pianta) da trasmissioni genere "Zelig" o "Chiambretti night".
Filologi e puristi (della tradizione, del classicismo) mostrano accademico disagio.
Ma è estate, fa un caldo boia e lo spettacolo vellica senza strafare. Mentre in tanti ci si distrae (quanto basta) sorseggiando una bibita ghiacciata, dentro l' invisibile voliera.

Angelo Pizzuto

Ultima modifica il Domenica, 11 Agosto 2013 09:54

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