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ULTIMA NOTTE DI CASANOVA (L') - regia Mario Mattia Giorgetti

L'ultima notte di Giacomo Casanova L'ultima notte di Giacomo Casanova regia Mario Mattia Giorgetti

di Stefano Massini
regia Mario Mattia Giorgetti
con Mario Mattia Giorgetti
Teatro Belli, Roma, 24 - 6 Dic 2009

www.Sipario.it, 19 gennaio 2010
Il Giornale, 28 dicembre 2009
Giornale della Filosofia, 3 dicembre 2009

L'eclettico direttore della rivista Sipario vanta anche un vistoso curriculum di regista e attore teatrale: ed è in queste ultime vesti che è comparso recentemente a Roma al Teatro Belli in una pièce di Stefano Massini, dedicata alla intramontabile figura di Giacomo Casanova.

Mario Mattia Giorgetti, diplomato nel 1961 al Piccolo Teatro di Milano come attore e regista, fonda in un primo tempo la Compagnia Informativa 1965 e successivamente La Contemporanea del Centro Attori di cui è direttore artistico, regista e attore. Sulla scorta del suo prestigioso curriculum indichiamo regie di Beckett (Aspettando Godot), Ionesco (La cantatrice calva), di Camus (I giusti), di Osborne (Ricorda con rabbia): né mancano classici come La mandragola di Machiavelli o L'Avaro di Molière. All'Olimpico di Vicenza nel 1995, di cui è direttore artistico per quattro anni, mette in scena Edipo Re con Franca Nuti e Mario Scaccia. Per due anni ha curato le regie del Danny Kaye Playhouse a Broadway.

Al Teatro Belli di Roma, Giorgetti, in qualità di regista e attore, ha diretto e interpretato Giacomo Casanova un personaggio che da sempre suscita interesse sia nel cinema che nel teatro di prosa.

Ricordiamo che di Casanova si sono occupati autori di prestigio come Hugo von Hofmannsthal (L'Avventuriero e la cantante) e Arthur Schnitzler (Casanova a Spa), nonché il cecoslovacco Karl Gassauer con il Casanova al castello di Dux dove il cavaliere di Seingalt è notoriamente bibliotecario. L'autore attribuisce all'inesauribile dongiovanni un'ennesima conquista nella persona di Sophie, una ancora piacente cameriera, che Casanova sposa, ma al termine della cerimonia nuziale, mentre riposa su uno scranno, egli reclina la testa e muore.

Al Belli Casanova esce dal buio e siede fra due tavoli colmi di candele accese. Barba e folti capelli bianchi conferiscono all'interprete eccellente dignità, che lo assimilano più all'iconografia ufficiale di Giove Olimpico, che a quella popolare di Casanova. L'attore siede e prende a dettare ad uno scrivano nell'ombra: disserta sulla sua vita avventurosa da una capitale all'altra dell'Europa, rievoca conquiste, la celebre fuga dai piombi di Venezia, ruggisce deprecando il freddo a cui è condannato nel gelido Castello boemo di Dux. Lo sorregge la fede di lasciare traccia di se stesso con le Memorie. Ed è noto che la sua autobiografia, ci illumina sulla società del Settecento più di tanti trattati di storia.

Il testo di Stefano Massini (Premio Flaiano 2004) tende a indagare l'intima essenza del Casanova: un uomo deciso a primeggiare sulla massa, e costantemente in fuga, come precisa Giorgetti nella presentazione, verso una libertà senza limiti, salvo quelli imposti a se stesso da un canone di coerenza e d'umanità.

Fernando Bevilacqua

Quel Casanova che vive di ricordi e gioca a scacchi con la morte

Quel caro teatrante milanese di nome Mario Mattia Giorgetti che da anni combatte una battaglia coraggiosa e solitaria contro i mulini a vento della cultura ufficiale ritagliandosi lo spazio privilegiato dell'outsider di continuo alla ricerca di testi inediti nella valorizzazione del repertorio italiano, stavolta si scontra col fantasma di Giacomo Casanova. Il grande veneziano che ispirò al cinema l'acclamato revival di Fellini e il capolavoro misconosciuto di Riccardo Freda dove un giovanissimo Gassman dalla lunga chioma bionda vagava nella sterminata pianura russa. Un personaggio simbolo non solo del Settecento, ma del tempo eterno del ricordo, un uomo sospeso per sempre tra la tentazione di creare, sulla carta, un carattere da tramandare ai posteri e il vitalismo di sconfiggere la morte attraverso la continua peregrinazione del suo status. In bilico tra un paese e l'altro, tra Una donna e l'altra, tra una fuga e l'altra nell'incessante partita a scacchi con l'alchimia, la vecchiaia e la morte.
Un archetipo esaltato da Hermann Hesse con suprema ironia e da Marina Cvetaeva in quel mirabile poema drammatico, La fenice, esumato anni fa da un regista come Gruber. Che ora Giorgetti, sulla scorta dell'opera prima di Stefano Massini L'ultima notte di Casanova, il copione più ispirato del giovane drammaturgo, porta in scena da un paese all'altro confortato dal successo che merita non solo per la sua iniziativa ma per il calore della sua recitazione. Che echeggia dal palco di un piovoso dicembre mentre, chino su un tavolo ingombro di carte, si rivolge a uno scrivano immaginario - che è poi un altro se stesso - non per tramandare ma per diffondere il suo messaggio di fuggiasco ormai assediato dal tempo ritrovato della morte. In un girotondo di parole sospese tra la rima libera e l'assonanza ritmica di versi che stanno tra il Petrarca e l'Ariosto, Giorgetti evita il rischio di smarrirsi nel canto sospeso che avvolge il testo dall'inizio alla fine nella danza frenetica del ricordo. E sostituisce alla declamazione fine a se stessa il ritmo fremente dell'evocazione. Tanto che, dietro al récit che lo costringe immobile per tutto lo spettacolo a vagliare puntiglioso ogni frammento della giovinezza, scorgiamo qualcuno che è, e al tempo stesso non è, Casanova. Ma un elfo sbarazzino, un Leonardo da Vinci, un Einstein divorato dall'ansia di sapere: un avventuriero della carne che si fa spirito.

Enrico Groppali

"L'ultima notte di Casanova" è la storia di un conflitto e di una destinazione. E' il canto di un animo ambizioso e complesso al cospetto della propria fine.
Circondato da oggetti che richiamano tasselli della sua movimentata esistenza, Casanova si appresta ad accogliere la sua ultima ora nel Castello di Dux, in Boemia, dettando le memorie a un invisibile interlocutore, un servo-scrivano che sin dal nome (Giac-Jack) evoca e conferma il movimento soggiacente la pièce, cioè l'istanza di auto-riconoscimento rivolta a quell'altro-da-sé che la rende possibile. Come il" Jack" delle carte francesi, o l'omonimo connettore utilizzato nei dispositivi audio per la diffusione del suono (cavo Jack, appunto), altri non è che il suo doppio, il suo alter-ego scrivente(Jack-Giacomo).
Questo monologo, Premio Flaiano 2004 e Miglior Monologo Teatrale al Festival di Almada 2009, mirabilmente scritto in versi da Stefano Massini con la regia e interpretazione di Mario Mattia Giorgetti, ci presenta un Casanova seduto sull'orlo della sua vita, giunto in quella tappa finale dove la "vecchiaia" spinge a fare un bilancio. Un uomo che, sotto dettatura di se stesso, delle sue vicissitudini, vuole ricomporsi negli aspetti più intimi per rimanere nel tempo, sopravvivere e restare nella memoria.
Ci troviamo di fronte a un uomo che sta scrollandosi di dosso gli involucri che ammantano la sua umanità più propria. In questo percorso composto da spaccati d'esistenza, la voce di Casanova emerge dalla nebbia degli anni oscillando tra due orizzonti temporali-erotici: da un lato il racconto del suo passato, costellato di imprese e conquiste, per così dire, vissute, immediate; dall'altro l'anelito di gloria futura, post-mortem, in una sorta di gioco di seduzione nei confronti dei posteri mediato dalla sua opera auto-biografica.
Il Casanova di Massini-Giorgetti in punto di morte gioca l'ultima carta: sedurre il futuro, conquistare fama eterna presso i posteri, attraverso il racconto della sua vita da seduttore; ma la fine imminente affretta questo gesto. Nel rammentare le sue gesta Casanova appare incerto in principio, titubante; il destino ineluttabile che lo attende lo scuote fin nell'intimo della sua umanità, lo fa traballare. Motore di un movimento animato da un'imminente fine, Casanova non solo si trova così a scrivere in un'assenza, ma a diventare soggetto dell'assenza, che "tenta di produrre se stessa nel libro e si perde dicendosi". Mettendo in scena il 'divenir-assente e il divenir-inconscio del soggetto", la scrittura diventa il luogo del costituirsi del rapporto del soggetto alla sua morte.
Un'idea su cui si sono soffermati molti autori. Come ad esempio rileva Derrida, il "gioco della scrittura" fonda la sua struttura su due assenze; funziona, cioè, coprendo due posti vuoti: quello del mittente, del soggetto della scrittura, e quello del destinatario-lettore, nel suo ancora da venire. Il fatto che la scrittura sia radicalmente seconda, ripetizione della lettera, e non voce originaria che accade in prossimità del senso innesta costitutivamente nella sua struttura di significazione la differenza, la negatività e la morte; d'altra parte solo quest'assenza apre lo spazio alla libertà del mittente.
Ma il gesto-racconto di Casanova è innanzitutto orientato dal desiderio, dall'afflato seduttivo qui inteso come il riconoscimento di sé mediante l'altro. Perché si possa pervenire all'auto-coscienza, alla riappropriazione di sé mediante il riconoscimento dell'altro, occorre che il desiderio si diriga verso un altro desiderio. Casanova, in quanto seduttore e in quanto scrittore, desidera il desiderio dell'altro. Come afferma Alexandre Kojève, ne La dialettica e l'idea della morte in Hegel: "L'uomo non può dunque apparire sulla terra se non all'interno di un gregge. Ecco perché la realtà umana non può essere che sociale. (...) Il Desiderio antropogeno (umano) differisce da quello animale per il fatto che si dirige non verso un oggetto reale, "positivo", dato, ma verso un altro desiderio. Così, per esempio, nel rapporto tra l'uomo e la donna, il Desiderio è umano unicamente se l'uno non desidera (semplicemente) il corpo, bensì il desiderio dell'altro, se vuole "possedere" o "assimilare" il Desiderio assunto come tale. La storia umana è la storia di desideri desiderati." Perché il desiderio sia quindi umano occorre una lotta in vista del riconoscimento. Altrimenti si resta invischiati in quel gregge, in una vita da "uomo qualunque" che rappresenta quel che Casanova più fugge. Hegel nella fenomenologia esprime così questo concetto: "L'Auto-coscienza esiste in sé e per sé nella misura e per il fatto che esiste (in sé e per sé) per un'altra autocoscienza; essa cioè esiste solo come entità riconosciuta". Una sorta di atto d'ambizione ha fatto sì che sulla terra apparissero degli esseri umani. L'obiettivo di Casanova, dunque, consiste nel trasformare la consapevolezza soggettiva del proprio valore in una realtà riconosciuta anche all'esterno. Il proprio degli esseri umani risiede nell'avvertire questa lotta in vista del riconoscimento come un obbligo. "Infatti, essi devono elevare al rango di verità la certezza soggettiva che hanno da sé stessi di esistere per sé, e ciascuno deve farlo nell'altro e in se stesso". In altre parole, l'altro, inteso allo stesso tempo come lettore e come oggetto del desiderio, ha un ruolo fondamentale in questa lotta per il riconoscimento di sé. Senza conflitto, variamente inteso, è impossibile la propria affermazione.
Sartre, ne L'Essere e il Nulla, ha descritto questa struttura conflittuale trasferendolo da un ambito di dialettica originaria tra poteri in un ambito interpersonale, erotico. Il conflitto, sostiene il filosofo francese, è il senso originario di quello che lui chiama essere-per-altri: lo sguardo dell'altro significa innanzitutto possesso, è rivelatore di una volontà di sottomettere il suo oggetto: "lo sguardo d'altri forma il mio corpo nella sua nudità, lo fa nascere, lo scolpisce, lo produce così come è, lo vede come io non lo vedrò mai. L'altro possiede un segreto: il segreto di ciò che io sono. Mi fa essere, e con questo, mi possiede, e questo possesso non è nient'altro che la coscienza di possedermi". Se è vero che il desiderio si dirige sempre verso un altro desiderio (il desiderio del desiderio dell'altro), allora è anche vero che lo sguardo dell'altro mi condiziona, mi fa esistere, che mi fa essere ciò che sono. La differenza tra questa descrizione dell'amore e la dialettica servo-padrone risiede nel ruolo della libertà: ove lo schiavo si sottomette al padrone poiché ha "tremato di fronte alla morte", il desiderio del seduttore mira a una sottomissione libera, desidera essere scelto dell'oggetto amato.
Casanova da solo riempie tutto il dramma, e ne è l'eroe. È una volontà, così senza null'altro; volontà che riceve stimoli all'azione dal mondo esterno, ma che questi fonde nella sua personalità e fa propria. La pietà dell'auto-coscienza risiede nel suo non averne. In un certo senso, Casanova sembra soccombere alla visione dei fantasmi che egli stesso ha suscitato. Ma bisogna che affronti il baratro nel quale egli è precipitato per persuadersi di ciò. Bisogna che danzi nella selva.
Di questa danza immobile Giorgetti si esibisce come un attento interprete. La regia è lieve e sottile nella resa di questo appassionato commiato. Il suo Casanova è fatto innanzitutto di mani e di occhi, di gesti appena percepibili che accompagnano la voce sicura nei vari registri che il testo, denso e piacevole, impone. Il ritmo cadenzato delle parole ci accompagna nel percorso all'interno della complessa personalità del grande seduttore, tiranno e schiavo della propria ambizione e allo stesso tempo debole, pauroso, ma infine consapevole e immerso nella Storia. Umano, insomma.

Matteo Festa

Ultima modifica il Domenica, 11 Agosto 2013 09:55

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