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UNO DI NOI - regia Peppe Celentano

Uno di noi Uno di noi regia Peppe Celentano

di Peppe Celentano
da un'idea di Gianpiero Mirra
con la partecipazione di Gianluca Capozzi
Napoli, Teatro delle Palme, dal 18 dicembre 2007

Il Mattino, 20 dicembre 2007
Cannavaro uno scugnizzo da musical

In sala c'è Ciro Ferrara, nei filmati che scorrono su uno schermo il volto e le parole di Fabio Cannavaro, sul palco recita e canta Gianluca Capozzi. Tutti napoletani, due campioni di fama internazionale e un giovane artista di crescente popolarità tra il pubblico nostrano. Un mix che ha richiamato una folla di fan, l'altra sera al Delle Palme, per il debutto di «Uno di noi» (nella foto, una scena), lo spettacolo musicale ispirato alla vita di Cannavaro, lo scugnizzo della Loggetta, il ragazzo che dal popolare quartiere partenopeo percorre tutte le tappe nel mondo del calcio e diventa capitano della nazionale italiana che vince il campionato mondiale. Una storia assunta come modello di valori positivi dello sport. Il testo scritto e diretto da Peppe Celentano, da un'idea di Giampiero Mirra, si muove tra cronaca e fantasia. Due giovani come tanti, che partono da situazioni difficili, entrambi aspiranti calciatori sui campetti di periferia. L'uno impersona Fabio Cannavaro, qui con il volto pulito di Dario De Rosa, che sottraendosi a condizionamenti ambientali compie tutto il suo percorso fino al trionfo. L'altro, immaginario, è il suo amico Luigi, interpretato da Gianluca Capozzi, che intraprende una strada sbagliata e sciupando il proprio talento sportivo finisce male. Il racconto è come un lungo flash-back. Luigi è ormai in carcere e i quadri si susseguono a ritroso: i ragazzi del campetto, l'allenatore prodigo di consigli (lo stesso Celentano), la scuola e la preoccupata professoressa (Gabriella Cerino), la violenza degli ultras, un ambiguo procuratore sportivo (Peppe Miale) che con mistificanti promesse avvia Luigi al doping, alle partite truccate, allo spaccio della droga tra gli atleti. Uno schema semplice, che non nasconde il suo intento didascalico. Nell'impianto scenico di Peppe Cerillo, il linguaggio assume il gergo giovanile e la presa immediata di immagini proiettate sul fondo. L'apologo si ravviva delle musiche di Fabrizio Romano, delle coreografie, delle canzoni cui tutti danno voce. Il ragazzo sbandato, con la redenzione, cede alla generosità finale dell'amico campione vittorioso. Resta l'ammonimento che il talento da solo non basta, che il successo si conquista con il lavoro e il sacrificio.

Franco de Ciuceis

Ultima modifica il Domenica, 11 Agosto 2013 10:04

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