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VITA A COTTIMO (UNA) – regia Giovanni Maria Currò

Mauro Failla in "Una vita a cottimo", regia Giovanni Maria Currò Mauro Failla in "Una vita a cottimo", regia Giovanni Maria Currò

di Giusi Arimatea
Disegno luci e regia di Giovanni Maria Currò
Interprete: Mauro Failla
Scene e costumi: Cinzia Muscolino
Aiuto regia: Giusi Arimatea
Produzione: Clan degli Attori
Museo Regionale di Messina dal “1 al 23 aprile 2023

www.Sipario.it, 25 aprile 2023

Più lavorava più guadagnava. La sua era una vita a cottimo. Direi piuttosto una vita di m….Parlo di Vincenzino il personaggio inventato da Giusi Arimatea, collega critico di Teatro, attenta e acuta drammaturga di cui ci siamo occupati nel recente passato in occasione d’una sua pièce titolata Il rasoio di Occam, messa in scena da Giovanni Maria Currò, lui stesso in questo fine aprile a curare una minuziosa regia al Museo Reginale di Messina di Una vita a cottimo per conto del Clan Off Teatro. Lo spettacolo di poco meno di un’ora si svolge, (nella scena di Cinzia Muscolino), all’interno d’una modesta cameretta con lettino e comodino, due sedie e un tavolinetto con vari ninnoli e un manubrio a terra che sintetizza una bicicletta. Vediamo Vincenzino all’inizio che rammenda delle calze perché non bisogna comprarne delle nuove. Bisogna risparmiare. Questo l’imperativo categorico impartito dalla madre. Che non si vedrà mai in scena, come gli altri personaggi che lui rievoca in questo reale e metafisico monologo che Mauro Failla, con molta bravura, si cuce addosso, come quella sua camicia che indossa con tutti i bottoncini nelle rispettive asole, compresi quelli dei polsini e l’ultimo che gli serra il collo. Parla Vincenzino senza sosta, del suo presente e del suo passato, rendendo visibili in flashback gli avvenimenti che hanno segnato senza sconti la sua vita. Una vita a cottimo appunto sin dall’età di 10 anni, quando, morto il padre in un incidente col suo camion, è costretto a fare i lavori più disparati, non potendo più continuare gli studi scolastici, riuscendo infine a trovare un lavoro di operaio, giusto per portare a casa quei pochi soldi utili a non far morire di fame lui e la madre. Cammina a piedi giunti Vincenzino, come quel prete mancato, rimasto solo un desiderio della madre, perché il ragazzo, per quanto buono e mansueto, rimbrotta Don Ciccio che quello che lui ama accarezzare non è il cuore del “padre nostro” ma qualche altra cosa. Non ha amici Vincenzino, non può permettersi un nuovo cappotto e per quanto abiti vicino alla ferrovia non ha mai preso un treno. Gli è consentito però recarsi con la sua bici al mare, pensare di comprarsi un gelato, sognare d’avere una fidanzata e darle pure un nome: Maria. L’immagine di sua madre, che gli dice di non spendere una lira, è sempre lì davanti ai suoi occhi, anche quando compra il suo primo quotidiano e conosce Bettina, la figlia del giornalaio, fantasticando d’invitarla a cena, stare con lei, addirittura sposarla e avere figli. Passano gli anni, in fabbrica non riesce a diventare amico di nessuno e contribuisce con pochi spiccioli quando in un incidente muore un collega. Avrebbe l’opportunità di fare moneta quando arrivano dei cugini malavitosi calabresi, ma lui, opportunamente, non vuole entrare in loschi affari. Ad un tratto si sposa un parente, la madre sparagnina ricicla un vecchio lume e per la prima volta Vincenzino conosce tavole imbandite, festeggiamenti e danze al suono di siamo figli delle stelle di Alan Sorrenti.  La data del 10 maggio 1978, giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro nel bagaglio d’una Renaul4, fa sobbalzare Vincenzino al punto che compra il suo secondo quotidiano: L’Unità, il giornale dei lavoratori commenta e nello stesso tempo pensa a cosa servono i soldi se non per essere soltanto spesi e non conservati in un cassetto del frigorifero. Eccolo adesso tornare a casa con un televisore nuovo di dodici pollici e un rossetto rosso per la madre, regalo per i suoi 50 anni e i suoi 100 chili di peso, che lei rifiuta, dicendo al figlio di restituirlo. Da lì a poco la madre muore, lui le fa un decoroso funerale e vedremo Vincenzino alle prese con delle calze da rammendare come all’inizio, indossare poi uno scamiciato a fiorellini, passarsi con una mano sulle labbra quel rosso-rossetto rifiutato dalla madre, che nella mia mente avrebbe dovuto fare la fine di quella madre di Antony Perkins nel film Psycho di Alfred Hitchcock. 

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Martedì, 25 Aprile 2023 18:45

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