di e con Tindaro Granata
con le canzoni di Mina
ispirato dall’incontro con le detenute-attrici del teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare di D’aRteventi
diretto da Daniela Ursino
disegno luci di Luigi Biondi
costumi di Aurora Damanti
regista assistente Alessandro Bandini
produzione LAC Lugano Arte e Cultura/Proxima Res
al teatro Filodrammatici, Piacenza, 18 ottobre 2024
Tindaro Granata si presenta a salutare amici e spettatori, a fine spettacolo, ancora truccato, con gli occhi pesantemente segnati e il rossetto alle labbra, Ricorda una delle maschere di Mina anni Settanta, non per imitazione, ma per profonda dedizione. Al tempo stesso incute un certo timore e spavento. È in sé mostruoso, laddove la parola non è insultante, ma mette in evidenza il coraggio e la forza di fare emergere l’inespresso e chiedere con Mina, Vorrei una voce. Lo sguardo – in questo racconto – vuole essere puntato sull’interprete e sulla sua bravura che fa emergere il non detto, l’impossibile e diciamolo, fuori dai denti, quel femminile che protesta nel corpo maschile. Maschile e femminile in Tindaro Granata coesistono e forse il titolo dello spettacolo Vorrei una voce fa riferimento non solo alle storie delle detenute, emerse durante il laboratorio nel carcere di massima sicurezza di Messina, ma anche a quel desiderio di Granata che da ragazzino imitava Mina, cantava in playback sulle sue canzoni, vestendosi e travestendosi, in cerca della propria voce e personalità. Lo testimonia una recente storia postata dall’artista in Instagram e lo dice egli stesso nello spettacolo. Vorrei una voce è questo: un intreccio fra la biografia di Granata e le storie delle detenute che ha avuto modo di incontrare e con cui ha lavorato per fare ri-emergere in loro quella voce del femminile che nel carcere si perde o semplicemente si scorda. Da tutto ciò fuoriesce un racconto di profonda autenticità, in cui il cambiarsi d’abito di Granata in una serie di costumi luccicanti e carichi di paillettes racconta di una femminilità mostrata e che ha necessità di fare di nuovo i conti con sé stessa. Dopotutto se così non fosse, ovvero se non ci fosse questo femminile comune, Granata non avrebbe potuto – all’anagrafe maschio – entrare nel carcere e lavorare con le detenute. È un pensiero che sorge e che il racconto dell’attore non fa nulla per nascondere. È questa eccezionalità che rende speciale, vero e potente Vorrei una voce non solo per il resoconto teatrale di un incontro potente, ma anche per la possibilità e l’occasione per Tindaro Granata di ritrovare la propria voce, di recuperare il senso e la potenza del suo magistero teatrale. Non nasconde l’attore che il laboratorio all’interno del carcere messinese abbia costituito per l’interprete un’opportunità per fare i conti con sé stesso e al tempo stesso per riconsiderare il suo lavoro di artista. Tutti questi aspetti fanno di Vorrei una voce una intensa e poetica confessione con la complicità di Mina di cui abbiamo da decenni la sola voce e qualche fugace apparizione. Nell’assenza dell’immagine, Tindaro si presta a ricostruirla e veicolarla, mentre la voce della Tigre di Cremona racconta la forza di essere donna. Nicola Arrigoni