venerdì, 29 marzo, 2024
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INTERVISTA a ODOARDO MARIA BORDONI (IV° parte) - di Michele Olivieri

(IV° parte)

Come si può preservare oggi lo “stile” e il repertorio del balletto classico dell’Ottocento?
Chiedere ad un coreografo maestro ripetitore come si può preservare oggi lo “stile” e il repertorio del balletto classico dell’Ottocento equivale a chiedere ad un restauratore come si possono salvaguardare e restaurare le opere d’arte immortali del nostro patrimonio. Ritengo che in entrambi i casi sia indispensabile la coordinazione di due formazioni: una tecnica e una culturale. La formazione tecnica permette di capire come è stata realizzata l’opera, su tela o affresco, pittura ad olio o altre tecniche, i materiali usati dall’artista per formare i colori e quindi usarne di simili. La formazione culturale per capire lo stile dell’artista, il contesto storico-sociale nel quale ha lavorato, il suo stile e il suo linguaggio personale, cosa voleva comunicare con quella specifica opera, eccetera. Un maestro ripetitore vero, e mi riferisco non alla massa di coloro che ricostruiscono i balletti con i dvd, lavora nelle modalità sopra descritte seguite da un restauratore. Credo che sia indispensabile invece conservare le coreografie del repertorio classico con la stessa cura e riguardo con cui i musei restaurano e conservano i capolavori delle arti figurative: il desiderio filologico di avvicinarsi all’autenticità deve essere accompagnato dal rispetto che si ha per l’arte del passato e per le sue tradizioni, come avviene per le arti figurative, per la musica e per tutte le altre forme artistiche. Noto la generale tendenza nei teatri d’opera di tutto il mondo di dedicare sempre meno spazio e meno energie per riproporre, restaurare e salvaguardare quelle inestimabili opere d’arte quali i balletti del repertorio classico, meravigliose espressioni dell’arte coreografica sulle quali hanno studiato numerose generazioni di danzatori e coreografi. Ecco quindi che quanto maggiori saranno il rispetto e la premura con i quali queste operazioni saranno condotte, tanto più preziosi risulteranno il significato e la portata dell’operazione di recupero e conservazione. Tuttavia alcune operazioni di recupero sono state condotte con modalità completamente errate, con delle modifiche apportate alla coreografia che hanno causato dei peggioramenti, snaturandola dal suo stile originale ma anche nel suo significato più profondo. Portando avanti una tale concezione di lavoro sui balletti di repertorio ho ascoltato rivolgere critiche a me e colleghi che hanno la mia stessa formazione e modo di lavorare, che citavano il rischio di portare sulla scena spettacoli vecchi e superati, non adatti al pubblico del XXI secolo. Ritengo invece che se il coreografo che riporta in scena un balletto lavora con minuziosa perizia, mettendo tutta la sua cultura e sensibilità artistica, da uomo del XXI secolo non potrà mai mettere in scena uno spettacolo non adatto al pubblico contemporaneo. Ho visto coreografi riprodurre balletti del repertorio classico, come ad esempio il secondo quadro del Lago dei Cigni, cercando di attenersi il più possibile alla coreografia di Lev Ivanov, eppure in scena la coreografia risultava estremamente attuale e alla portata dal pubblico di oggi. Ciò avviene in quanto l’arte coreografica, cosi effimera e labile, non potrà mai essere completamente impermeabile alle infiltrazioni del tempo. Ancora oggi questi “adagio”, queste “variazioni” questi “ballabili” e “divertissement” rappresentano non solo un modello ideale i cui principi guidano i coreografi, insegnanti, maestri ripetitori e danzatori, ma anche un materiale didattico vivo ed eterno. Spesso infatti i pas-de-deux, le variazioni soliste, i pas de trois, pas de quatre o coreografie di gruppo dei balletti classici sono stati l’iniziale materiale sul quale hanno fatto le loro prime esperienze artistiche grandi coreografi, insegnanti e maestri che si sono cimentati nel ritoccare questo o quel frammento coreografico di un balletto a volte con lo scopo di aumentarne le difficoltà tecniche, altre volte per alleggerirle, altre ancora con l’idea di modificarne l’estetica o i movimenti al fine di adattarli al contesto che poteva essere lo spettacolo di una scuola di danza oppure l’esibizione di una grande étoile.

Sei stato anche Principal guest al Teatro Michajlovskij di San Pietroburgo, uno dei più antichi della Russia, fondato nel 1833 dallo Zar Nicola I e dedicato soprattutto ad accogliere spettacoli di compagnie teatrali straniere, in particolare francesi. In questo teatro nel lontano 1891 avvenne la prima assoluta dell’Amleto di Shakespeare. Cosa ha significato per te entrare in uno dei templi del teatro mondiale?
Pur essendo più piccolo del Marinskij, il teatro Michajlovskij non è certo secondo per importanza, ma semplicemente un teatro che svolge un ruolo culturale diverso e quindi con un repertorio diverso. Infatti mentre al Marinskij la parte principale del repertorio è dedicata ai balletti della grande tradizione ottocentesca ed inizio novecento, il teatro Michajlovskij dedica la parte principale del suo repertorio alle coreografie ottocentesche meno famose ma soprattutto alle nuove creazioni. All’epoca del mio soggiorno a Leningrado al Teatro Michajlovskij veniva rappresentato ad esempio “Harlequinde” e “La Sosta della Cavalleria” balletti meno conosciuti di Petipa, ma anche delle nuove creazioni tra le quali ricordo un meraviglioso “Romeo e Giulietta” e un “Macbeth” del coreografo Nikolaij Bajarcikov. L’aver lavorato al Michajlovskij mi ha dato una notevole ricchezza ed esperienza proprio per la diversità del suo repertorio.

Vogliamo spendere anche due parole per lo stile italiano legato al grande Maestro Cecchetti?
Enrico Cecchetti rappresenta il punto più alto raggiunto dalla scuola italiana che nel settecento e nell’ottocento aveva rivaleggiato con la scuola francese. La scuola francese aveva sempre posto il suo focus sull’eleganza del danzatore ed accusava la scuola italiana di essere troppo tecnica e poco elegante. I grandi maestri italiani da Viganò a Blasis e quindi Cecchetti hanno sempre puntato sulla crescita delle potenzialità tecniche del danzatore e accusavano i francesi di essere troppo freddi e poco tecnici. Comunque la storia ci mostra come in tutti i maggiori teatri Europei le prime ballerine erano tutte danzatrici italiane, e questo durante l’intero ottocento fino all’inizio del novecento. I grandi maestri italiani furono i primi a cercare di creare un programma didattico coerente e funzionale alla corretta crescita tecnica del danzatore. Cecchetti inserendosi in questa tradizione di maestri italiani che avevano già codificato un metodo di studio, prosegue e perfeziona un lavoro teorico che sistematizza il metodo e definisce il corretto modo di eseguire i passi e i movimenti del vocabolario coreografico classico. Vaganova non parla molto di Cecchetti, però alcune testimonianze riportano come lei spesso si dedicava alla scrittura delle lezioni del maestro subito dopo la classe. Ecco quindi che il grande lavoro di codificazione della corretta esecuzione dei passi e movimenti di danza e la loro sistemazione didattica in un programma di otto anni di studio trae la sua origine dal lavoro precedentemente svolto da Cecchetti. Quello che ha finito per premiare la tecnica Vaganova (più correttamente Vaganova-Tarasov perché insieme elaborarono il programma didattico su commissione del ministero della cultura sovietico) sono stati i continui aggiornamenti. Infatti se il metodo Cecchetti è rimasto principalmente così come codificato da lui agli inizi del Novecento, il metodo Vaganova viene continuamente aggiornato nel programma didattico ogni dieci anni da una commissione di metodisti che si riunisce appositamente per migliorare lo studio in modo da portare le danzatrici ad avere gambe più alte e muscolatura più elastica, ecc. Questo è quanto ci raccontava la nostra insegnante di metodologia Irina Trofimova, lei stessa allieva della Vaganova, una delle più grandi teoriche e conoscitrici della didattica della danza classica. Ecco quindi che ad oggi il metodo Vaganova risulta più attuale. Il metodo Cecchetti comunque mantiene ancora oggi grandi qualità e pregi, come un’ottima tecnica di punte per le donne, di giro e di salto per gli uomini. Auspico che si riuniscano commissioni per renderlo più attuale al pari di quanto accade in Russia. Non posso addentrarmi oltre poiché, nonostante abbia iniziato lo studio della danza sotto la direzione di Giuliana Penzi che iniziò lo studio alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala quando il grande maestro era ancora in attività, non ho mai approfondito lo studio della tecnica Cecchetti così da poterne esprimere un approfondito ed autorevole giudizio.

Come ti sei trovato a lavorare al Teatro dell’Opera di Vilniius in Lituania?
In realtà sono arrivato a Vilnius su invito dell’Accademia di danza, e ho tenuto lezioni in teatro. È un bellissimo edificio moderno costruito in epoca sovietica, e sia nel repertorio che nel modo di lavorare risente ancora della tipica impostazione di quel periodo, anche se la compagnia oggi è solo in parte autoctona, ed ospita anche danzatori provenienti da diversi paesi europei. In quel periodo stavano rimettendo in scena “Giselle” assente dal repertorio da un paio di stagioni, in una versione coreograficamente simile alla precedente, ma con nuovi costumi e scene. Rammento una grande efficienza organizzativa e un grande orgoglio nel lavorare senza sentirsi secondi a nessuno. Mantengo un bel ricordo e molti amici, con cui sono rimasto in contatto.

Mentre al “Kingsport Ballet” e alla “School of the Arts a Jacksonville” negli Stati Uniti d’America?
L’esperienza al Kingsport Ballet mi ha fatto scoprire un’America che non conoscevo. La vita della provincia è molto diversa da quella delle grandi città come New York e Chicago dove ero stato in passato. Ho curato le produzioni dei balletti “Les Sylphide”, “Paquita” e “Schiaccianoci”. La direttrice della compagnia e della scuola era un’anziana maestra russa che mi ha apprezzato proprio per la mia conoscenza approfondita dello stile russo. Infatti un problema delle compagnie americane è che arrivano ottime ballerine da diverse città che hanno studiato in scuole con metodi ed estetiche diverse, problema inesistente nelle compagnie dei teatri russi dove tutti i ballerini hanno ricevuto la stessa formazione. Quindi il mio compito era non solo di riprodurre le coreografie, ma soprattutto l’attenzione principale era rivolta all’ottenere dalle danzatrici del corpo di ballo lo stesso stile nelle braccia e nella plasticità delle pose. Inoltre insegnavo Classico, Repertorio e Passo a Due alle classi avanzate della scuola. Tanto lavoro e tante soddisfazioni. Sia i ballerini professionisti che gli studenti erano particolarmente motivati, lavoratori instancabili, affamati di apprendere e di crescere artisticamente. Questo atteggiamento alleviava le fatiche e mi dava sempre grandi stimoli e molte energie. I risultati raccolti sono stati di vedere in scena interpretazioni di ottimo livello, superiori alle aspettative. A Jacksonville sono stato invitato alla “School of the Arts”, un high school dove gli studenti ricevono una formazione multidisciplinare, dalla danza classica e moderna, dal canto allo studio di uno strumento musicale, e anche la recitazione. I ragazzi ricevevano una formazione ad ampio spettro, ma ovviamente nella danza classica il livello non era particolarmente eccezionale. Sono stato invitato a preparare una coreografia per il saggio di danza classica. Ho creato una simpatica coreografia su “Capriccio italiano” di Čajkovskij. La mia creazione ha avuto molto successo ed è stata replicata anche in altri eventi ai quali la scuola partecipa durante l’anno scolastico.

Ti sei specializzato, in particolare, nella riproduzione dei balletti di Petipa e di Fokin. Cosa ti affascina maggiormente nel loro lavoro?
Per parlare di Petipa e Fokin, dell’ammirazione e del grande amore che nutro verso le loro creazioni credo che mi servirebbero centinaia di pagine ed una scrittura per intere settimane. Ritengo di aver già illustrato il mio amore per questi grandi coreografi rispondendo alle domande precedenti. Posso solo aggiungere che, a mio avviso, se Petipa è venerato in tutti i teatri del mondo, la figura di Fokin, genio dello stesso calibro, oggigiorno non è sufficientemente valorizzata, e mi rammarico che alcuni dei suoi lavori siano andati perduti. Fokin dovrebbe essere studiato e rappresentato molto di più di quanto avviene oggi.

Spieghiamo ai nostri lettori nello specifico qual è il ruolo del “Maestro Ripetitore”?
Ritengo che la figura del maestro ripetitore sia una figura fondamentale, purtroppo oggi non sufficientemente apprezzata. Porto alcuni esempi. Un coreografo ospite ha terminato una nuova creazione e parte dopo la prima: “chi è che mantiene la coreografia in vita proseguendo le prove e occupandosi del cast per le repliche che si avranno nell’arco della stagione e nelle stagioni successive? Ovviamente il maestro ripetitore.” Quando si sta producendo una nuova coreografia, il coreografo creatore dopo che ha terminato di montare un frammento che può essere, ad esempio una danza di gruppo, e passa a lavorare ad un Passo a Due per gli interpreti principali: “Chi prosegue le prove di quel frammento appena terminato? Il maestro ripetitore.” Ecco dunque due esempi che ci illustrano il ruolo fondamentale del maestro ripetitore. Alcuni grandi compagnie hanno compreso l’importanza della figura del maestro ripetitore all’interno di una buona riuscita dello spettacolo coreografico, e li scelgono con cura, magari avendoli formati con anni di lavoro. Purtroppo la maggior parte delle compagnie fanno svolgere questo ruolo a semplici insegnanti di danza o anche ai ballerini più anziani della compagnia, con il risultato spesso di una messa in scena sciatta e depauperata di importanti dettagli. Come disse Stanislavskij, il padre della moderna tecnica di regia, “Dalle sfumature si vede la vera anima del lavoro.” Serve una grande maestrìa per riuscire a comprendere la vera anima di una creazione e mantenerne in vita tutti i dettagli, a volte considerati superflui, ma che invece contengono il valore di poter infondere un notevole significato.

Ognuno di noi ha avuto dei miti tersicorei, quali sono stati i tuoi?
Il mio mito da giovane studente di danza è stato principalmente Baryšnikov. Quando uscì il film “Due vite e una svolta” andai a vederlo con un mio compagno di classe. Lui uscì dal cinema alla fine del film, io rimasi all’interno del cinema e lo rividi per altre due volte. Quando seppi che ero stato accettato per una borsa di studio all’Accademia Vaganova ero felicissimo ed orgoglioso per essere riuscito a realizzare un sogno e un obiettivo difficile da raggiungere.

Quanto è cambiata, in termini evolutivi e fisici, la disciplina classica da ieri ad oggi?
Indubbiamente oggi la danza classica è diventata molto più fisica, soprattutto la danza maschile. Forse sarà stato proprio Mikail Baryšnikov ed anche Vladimir Vassiliev ad iniziare questo nuovo corso, anche se in Russia c’erano già dei danzatori maschili dalla grande fisicità come ad esempio Juri Soloviov a Leningrado e Juri Vladimirov a Mosca. Oggi la tecnica invece di essere a servizio dell’interpretazione del personaggio è divenuta fine a se stessa e purtroppo non solo nei concorsi ma anche nelle scene. La tendenza ormai prevalente da qualche decennio di valorizzare nei concorsi solo la tecnica ha penalizzato lo studio dell’aspetto plastico ed estetico del ruolo che per i studenti e giovani danzatori è passato in secondo piano, se non proprio totalmente dimenticato. Questo ha causato la formazione di una nuova generazione di danzatori molto tecnici ma assolutamente incapaci di interpretare il ruolo e quindi anche poco eleganti, motivo per cui viene ancora rimpianto il grande Nureyev che affascinava con la sua eleganza e la sua interpretazione, ancor prima che con la sua tecnica. Spesso mi è accaduto di vedere balletti dove i primi ruoli erano trasparenti, assolutamente privi di spessore; si poteva sedere tutto l’atto al buffet con un buon aperitivo ed entrare solo per vedere il Passo a Due, perché comunque non si sarebbe perso niente. Inoltre altro aspetto grave della moderna tecnica interpretativa è che in ogni variazione, sia maschile che femminile, si vedono sempre gli stessi virtuosismi dimenticando che i virtuosismi, al pari di qualsiasi passo di danza, rappresentano delle parole il cui significato illustra le azioni del personaggio. In un’opera lirica non si sono mai cambiare le parole delle arie per renderne maggiore l’effetto né tanto meno vengono inseriti “Do di petto”. Ogni variazione è stata creata con dei passi che sono estremamente fusi con la musica e amplificano l’immagine del personaggio. Cambiare i passi di danza rende tutte le variazioni uguali, e ne snatura il senso interpretativo ed estetico. Ritengo importante porre l’accento su questo aspetto che rischia di far degenerare il balletto ad una forma di spettacolo priva di contenuti e priva di spessore estetico.

La passione per la danza è sempre la stessa o con il tempo cambia?
Posso definire l’amore per la danza al pari dell’amore in un rapporto di coppia. Coppie che dopo decenni continuano a vivere insieme dividendo gioie e problemi sentono un amore che è diverso dall’amore che vivevano nel primo periodo. Se ripensano ai primi giorni si accorgono che quella passione esplosiva si è trasformata in un sentimento più profondo e tranquillo ma non per questo più debole. Questo parallelo è per me valido anche per un artista e l’amore per la propria arte. Cambia nel tempo, nelle modalità con cui viene vissuto, ma non nell’intensità del sentimento, anche se questo viene espresso in altri forme.

Cosa manca oggi nel panorama attuale a livello di insegnamento? Quali sono le qualità, etiche e morali, che non possono prescindere dalla determinante figura del Maestro di danza?
Anche la danza risente dell’andamento generale della società di oggi. Una volta l’insegnante era per sempre, ricordo come a Leningrado molte prime ballerine di tanto in tanto tornavano a prendere la classe dalle insegnanti che le avevano formate all’Accademia e continuavano a consigliarsi con loro. Era quasi una figura di un genitore con il quale ci si continua a rapportare anche da adulti, quando si ha una propria vita indipendente. I ballerini oggi saltano da un insegnante all’altro, pensando di acquisire in questo modo più nozioni tecniche, ma in realtà finiscono per non capire e recepire la tecnica di nessun insegnante. Il rapporto tra insegnante e allievo deve svilupparsi negli anni per poter dare il modo ad entrambi di compenetrarsi. Inoltre sempre più spesso si vedono insegnanti che danno lezioni non con l’obiettivo di produrre un miglioramento tecnico di coloro che frequentano la sua classe, poiché ciò porterebbe a lezioni con esercizi pesanti oppure difficili e scomodi, ma per impressionare positivamente tutti i danzatori presenti con esercizi leggeri semplici e divertenti, così da avere sempre le classi piene. Questo accade nei centri di danza frequentati da professionisti o da allievi a livello avanzato. Nelle accademie si vede spesso la tendenza degli insegnanti a farsi pubblicità con i loro allievi e con le loro lezioni. Porto un esempio, citando l’esame del corso maschile tenuto dall’attuale direttore dell’Accademia Vaganova Nikolaj Tsiskaridze. Ho visto una lezione composta da esercizi coreografati ed estremamente complessi e ricchi di passi, tanto da sembrare ognuno una piccola coreografia. Lo stesso faceva il maestro Prebil che per circa quarant’anni è stato il Maestro dell’Accademia. Ricordo che sia le allieve del corso di perfezionamento che coloro che assistevano alle sue lezioni rimanevano stupiti nel vedere la ricchezza e la complessità delle sue combinazioni. Personalmente rammento di aver assistito ad alcune lezioni del maestro Prebil e di ricordare ad esempio adagi alla sbarra con tour, pas de bourrée e promenade, tanto da sembrare un adagio al centro della sala. Quindi in merito alle lezioni ad effetto imperniate sul mostrare se stessi e non gli allievi oggi si stanno diffondendo sempre di più. Invece le lezioni che ho visto tenute dai grandi maestri come Pushkin, Shavrov, Tarasov e Messerer erano a volte di una semplicità disarmante, ma al tempo stesso possedevano un’estrema armonia interna, con le combinazioni che si susseguivano proporzionalmente continuando una logica interna come ogni frase segue un’altra, e finiscono tutte per creare un discorso armonico e coerente, senza poi parlare della musicalità. Ecco cosa si sta perdendo nell’insegnamento di oggi, dove le lezioni sono portate avanti con narcisismo egoistico e con scarsa visione a lungo termine di costruzione su una vera tecnica. Vedo la figura del maestro come quella di un saggio genitore, che dopo aver preparato il figlio per avere un buon voto a scuola o in un evento sportivo sanno osservare a distanza con discrezione per poi premiare il figlio con elogi senza sottolineare che il risultato ottenuto è stato per merito della preparazione che lui gli ha dato. È ovvio che i figli spesso rispecchiano quanto offerto dai genitori, ma non vanno mai privati della loro soddisfazione per il risultato ottenuto. Così un maestro nel campo coreografico, musicale e sportivo deve sapere anche guidare il suo allievo in modo discreto senza mettersi in evidenza offuscando la figura del giovane.

Per risultare dei ballerini tanto più completi e consapevoli qual è il vero segreto?
A mio avviso non c’è un segreto unico! Per diventare grandi artisti servono una serie di qualità, alcune caratteriali e quindi innate, altre ricevute dall’educazione. Costanza, umiltà, una giusta dose di ambizione ma anche il senso del tempo necessario e indispensabile per raggiungere gli obiettivi, un grande amore, fiducia e rispetto per il proprio maestro. Scendendo più specificatamente nel nostro caso, un giovane danzatore non sarà mai un vero artista carismatico sulla scena se non coltiva contemporaneamente l’aspetto fisico, l’aspetto estetico e la propria personale cultura. Un calciatore può diventare una stella anche se ha una scarsa cultura, un danzatore no!

In conclusione, caro Odoardo Maria qual è oggi la vera rivoluzione nella danza? Forse conservare al meglio la tradizione e lo stile?
Sono d’accordo con te Michele, nel senso che in un mondo che si pone l’imperativo di voler rinnovare tutto, forse il volersi prendere cura di mantenere i grandi capolavori dell’arte coreografica più vicino possibile alla visione artistica dei loro creatori può essere un vero atto rivoluzionario, o comunque un nuovo modo di lavorare che definirei “contro corrente”. Senza nulla togliere alla danza moderna che amo e rispetto, ma credo che se un coreografo sente l’ispirazione per creare un nuovo balletto può farlo prendendo una nuova musica, un nuovo soggetto e soprattutto un nuovo nome. È troppo facile riempire il teatro con un titolo famoso, anche perché non c’è bisogno di scrivere un nuovo soggetto o di lavorare con il compositore per nuove musiche. Fare una versione moderna di una creazione di repertorio significa prendersi il pregio di una inedita creazione con il minimo dispendio di energie creative, in quanto appoggiandosi su un lavoro già fatto si applicano solo delle modifiche, un po’ come se un grande scrittore dell’Ottocento, un Manzoni, un Dostojevskij, un Flaubert o un Dickens avessero fatto dei remake di opere dell’antichità classica di autori come Omero e Dante invece di ideare nuovi soggetti e nuovi personaggi. Credo altresì che operazioni di questo tipo siano estremamente diseducative. Anche se uno spettacolo di balletto in chiave tradizionale può sembrare una noiosa ripetizione per gli addetti ai lavori, non bisogna dimenticarsi che spesso il pubblico è proprio quello che si aspetta con amore, ovvero un tradizionalissimo balletto! I coreografi devono mettere da parte il proprio narcisismo e la voglia di stupire a tutti i costi, ponendosi così al centro dell’attenzione. Il centro dell’attenzione è lo spettacolo di balletto e non il coreografo. L’arte coreografica deve continuare il suo cammino verso la modernità per essere sempre un’arte al passo con i tempi. Ma questo non deve avvenire violentando le opere di repertorio!

Intervista a Odoardo Maria Bordoni - I° Parte

Intervista a Odoardo Maria Bordoni - II° Parte

Intervista a Odoardo Maria Bordoni - III° Parte

Intervista a Odoardo Maria Bordoni - IV° Parte

Michele Olivieri

Ultima modifica il Mercoledì, 05 Febbraio 2020 01:01

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