Oil [Petrolio]
di Ella Hickson. Regia di Carrie Cracknell. Scenografia di Vicki Mortimer. Luci di Lucy Carter.
Almeida Theatre, 7 ottobre - 26 novembre 2016
Un nuovo lavoro con questo titolo apre un'area ancora inesplorata della drammaturgia e nella sua forma epica non teme di affrontare argomenti non solo scottanti, ma vitali per l'umanità: risorse naturali promotrici di progresso che si rivelano armi di conquista di mercati e di inquinamento globale. Scritto da Ella Hickson, con la regia di Carrie Cracknell, ha al suo centro un'eroina; May, interpretata da Anne-Marie Duff di cui ricordo la passionante interpretazione nel film Suffragette, e sua figlia Amy interpretata da Yolanda Kettle. Gli altri otto attori ruotano intorno alla storia, che gravita però sul rapporto madre e figlia, al loro legame fatto di amore e di risentimento. Su questo si appoggia l'altro filone del lavoro quello che da il titolo al pezzo e che quindi dovrebbe essere quello dominante, cioè quello che porta avanti la storia dall'introduzione delle lampade a kerosene, allo sfruttamento del petrolio, alla ricerca di altri mercati, alle guerre per conquistarli, fino a finire nel secondo atto con l'andata dei cinesi sulla luna per estrarre l'elio-3 per la fusione nucleare che pensavo una surreale creazione della scrittrice, ma che invece corrisponde ad una incredibile realtà. Quindi una straordinaria varietà di notizie suddivise e tenute assieme dai due filoni, uno storico e l'altro psicologico. La regista ha fatto scaturire immagini di grande poesia a cominciare dalla prima scena con la magia della lampada a kerosene che illumina quello che sembrava uno spazio ed una realtà povera, di duro lavoro, una comunità chiusa, fredda e triste e che ci fa vivere il miracolo della luce che abbraccia l'ambiente nel suo calore prima giallognolo di vecchia fotografia per poi portarlo alla chiarezza di un'esplosione di luce di cui tutta la stanza riverbera. Non è la creazione dell'universo, ma poco ci manca: il senso di meraviglia e di apertura è quello. L'interpretazione delle due donne è magistrale. Credibili nel loro realismo e nella capacita di impersonare le sottili variazioni dei loro temperamenti e le evoluzioni che la loro relazione subisce nel tempo: Amy, la figlia adorata dalla madre -che per darle un migliore futuro ha lasciato il compagno e la comunità rurale, per una vita che dopo varie vicissitudini, la porterà ad essere imprenditrice,- ripaga la madre staccandosi da lei, rimproverandole e deprecando quello che fa ed è diventata, per poi nel secondo atto, riunirsi a lei, ormai anziana e decretarle il suo amore.
Come si può intuire la difficoltà sta nel tenere insieme le due anime della storia e direi che specie nel primo atto le due parti combaciano meglio, anche se non sempre, che nel secondo atto, dove il racconto si dilunga e la parte psicologica appesantisce il discorso. Tra le novità del lavoro l'uso di dialoghi in arabo nel discorso portante. Questi non rallentano l'azione, ma invece aggiungono verismo e sofisticazione al pezzo.
Nel complesso un lavoro da vedere e tenere presente per future produzioni di questo connubio di attori, drammaturgo e regista, rilevanti nella scena teatrale.
Amadeus
di Peter Shaffer. Regia di Michael Longhurst. Scenografie di Chloe Lamford. Coreografie di Imogen Knight. Luci di Jon Clark. Con Lucian Msamati (Salieri), Adam Gillen (Mozart), Carla Krome (Constanze Weber), Fleur de Bray (soprano), Wendy Dawn Thompson (mezzo soprano), Peter Willcock (basso-baritono), Eamonn Mulhall (tenore) e la Southbank Sinfonia orchestra.
Olivier Theatre, National Theatre dal 26 ottobre 2016. Sarà trasmesso da National Theatre Live dal 2 febbraio 2017 nei cinema in UK.
Sedici attori, sei cantanti, venti orchestrali della Southbank Sinfonia che interagiscono insieme sul palcoscenico. Una festa di suoni, di parole e di musica, di soli e duetti, di coro, un'azione coreografica che mischia e raccoglie la pluralità degli interpreti utilizzando tutte le possibilità dell'enorme palcoscenico dell'Olivier: le due piattaforme semicircolari del tamburo che sottostà il palco, che si alzano e si abbassano creando per esempio il palco d'opera dell'Imperatore Giuseppe II o la scena funebre del Don Giovanni. Il movimento in avanti del semi-palco, verso Salieri investe di valore metaforico la scena, così come il suo arretrare. L'anello semicircolare che prende tutto lo spazio del proscenio, può diventare la passerella -che risulta più alta rispetto al livello del semicircolare abbassato- su cui si esibiscono i cantanti negli spezzoni di brani mozartiani.
Peter Shaffer è venuto a mancare in giugno, a novant'anni. Il primo Amadeus fu messo in scena dal National nel 1979 con la regia di Peter Hall con Paul Scofield nei panni di Salieri e Simon Callow in quelli di Mozart. Il film Amadeus di Miloš Forman del 1984 gli fece vincere uno degli otto Oscar dati al film.
Allora, questo spettacolo che lo commemora, come si distingue dalle altre produzioni?
Soprattutto per la mescolanza degli interpreti, teatranti, cantanti lirici, orchestrali in scena assieme. Poi per il misto di epoche: Salieri legato al suo tempo, per vestiario, parrucca e pensiero, a cui si contrappone un Mozart caricaturale per vestiario e portamento del periodo, ma innovativo musicalmente, quindi con stivaletti, tipo Converse, multicolori ai piedi. Salieri frammenta il suo linguaggio con espressioni e frasi in Italiano, con cui anche si rivolge al personaggio del Conte Orsini; Giuseppe II sparge sul suo discorso parole in francese, Mozart si intromette parlando in italiano ed in francese. La Compagnia è multietnica, col bravissimo Lucian Msamati nei panni di Salieri. Alla eterogeneità dei linguaggi corrisponde un'azione coreografica fatta sì di 'quadri' settecenteschi ma non statici, o meglio statici solo per qualche breve minuto, ma subito dispersi per formarne altri sui vari livelli del palco o per dare posto a una colonna architravata portata a passeggio con una soprano a viva voce su un lato e musicista sull'altro, oppure cantanti lirici presentati su piccoli podi mobili. Due nuvolettone bianche di cartone, un sole a faccia piena, due angioloni calati dall'alto agiscono sia come richiamo all'opera buffa che come irriverente scompiglio.
Il ritmo del lavoro è veloce, le scene si susseguono tumultuose, con una marea di personaggi che entrano ed escono in ogni direzione e su vari livelli. Il gioco scenico è rappresentato in orizzontale, in verticale, in diagonale, ma direi che nel complesso da l'impressione di un vortice, un tumulto di popolo. Grande importanza ha quindi il numero di interpreti sul palcoscenico, che sono raddoppiati dal numero di musicisti. Questi, ed è qui la novità maggiore, oltre che a suonare i vari brevi pezzi operistici, prendono parte all'azione. Non tutti allo stesso modo, ma alcuni stendendosi a terra e sul gran piano; in generale mimando sentimenti di approvazione e disapprovazione, utilizzando anche la fisicità degli strumenti musicali a questo effetto. La loro fisicità sul palcoscenico viene usata per dare peso e consistenza sia alla musica che alla storia. Il loro apogeo è in una scena quando da stesi, quasi invisibili lungo una struttura piramidale gradinata, cominciano a muoversi flettendo il busto in un'azione diffusa e soffusa che ricorda le onde tumultuose del mare a sostegno della parola di Salieri in cima alla piramide.
L'accento della regia sottolinea nella storia la gelosia del 'mediocre', come si auto definisce Salieri nei confronti del genio Mozart e la fa diventare universale per tutti i mediocri nei confronti dei più geniali. Lucian Msamati è carismatico come Salieri, dotato di chiara dizione e potenti doti interpretative porta avanti il ruolo con forza e convincentemente. Il Mozart di Adam Gillen ricalca e rafforza fino all'irrealtà il personaggio del film di Forman e quindi da un senso di già visto. Solo quando Mozart è ridotto ad un piccolo essere tremante e moribondo, il personaggio acquista dimensione. Mentre Constanze, la moglie di Mozart, interpretata da Carla Krome merita un posto a parte per la consistenza che da al personaggio ed apparente facilità di rappresentazione.
La scrittura di Shaffer che aveva dichiarato nel 1958 che : "Il teatro dovrebbe condurre lo spettatore al mistero, al magico. Dovrebbe dare un senso di meraviglia ed, intrattenendo, fare emergere una visione di vita" nella produzione del regista Michael Longhurst, fa proprio questo. Da vedere.