domenica, 28 aprile, 2024
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CORRISPONDENZA DA LONDRA. -di Grazia Pulvirenti

Mentre l’estate irrompe nelle serate londinesi, i ritmi del mondo dello spettacolo sembrano accelerarsi ulteriormente. Nuovi debutti teatrali e operistici, una stagione concertistica di grande profilo, tanto che tenere il passo della “vibrant” scena è veramente difficile. 

Prendiamo le mosse dalla Royal Opera House, che ha ospitato due debutti fra fine maggio e inizi giugno, “Wozzeck” e “Il Trovatore”. Entrambe le esecuzioni, secondo tradizione, di ottima resa musicale, dirette da Antonio Pappano, che sembra più a suo agio nella produzione verdiana che in quella di Alban Berg. Purtroppo la regia del “Trovatore”, non è in grado di creare quella magia visionaria e paradossale in sintonia con la meraviglia dell’esecuzione musicale, con interpreti quali Marina Rebeka come Leonora, Ludovic Tézier nei panni del Conte di Luna, Riccardo Massi come Manrico (in alternanza con Gregory Kunde), Roberto Tagliavini nella parte di Ferrando, Jamie Barton nelle vesti di Azucena, Gabrielė Kupšytė come Ines.  Marina Rebeka disegna un personaggio di grande spessore interiore, con toni che vanno dal lirico al drammatico, dispiegando il suo virtuosismo belcantistico. Un solido Riccardo Massi conferisce al protagonista tutta la verve necessaria al ruolo, dispiegando ottimi acuti e colori metallici e allucinati, in ottimo contrappunto con quelli bruniti e scuri di Ludovic Tézier, che restituisce al personaggio del Conte mistero e ambiguità. Altrettanto eccellente la prova di Roberto Tagliavini, il basso italiano, che spicca nel cast per un dominio del fraseggio tutto ‘italiano’, un’intensità interpretativa e una voce affascinante per timbro e spessore. Una vera ovazione è riservata a Jamie Barton che, pur risultando di grande intensità interpretativa, non convince in “Stride la vampa”, piuttosto sotto tono e sforzata. Pappano guida una esecuzione ricca di contrasti timbrici, di  variegate dinamiche ritmiche, centrando a pieno l’intensità del dramma e la soavità degli squarci lirici. A volte sembra prediligere un forte contrasto nei volumi che, se convince nell’esaltazione di piani e pianissimi, suscita qualche dubbio per i forti che a volte coprono le voci, come nel caso di quella di Azucena.

Lo spettacolo è da ascoltare ad occhi chiusi. In scena un gran caos di rara bruttezza, privo di ogni disegno interpretativo. La chiave tentata dalla regista Adele Thomas è quella del grottesco e della parodia. Ma il grottesco precipita nel ridicolo di una scena con la solita scalinata (di Annemarie Woods) illuminata in maniera sgarbata da Franck Evin con luci che inondano dall’alto la scena senza contrasti e senza alcuna dinamica. Cambia solo la temperatura, dall’acciaio al giallo. Perché? Non ho saputo trovare risposta a questa domanda durante lo spettacolo, come neanche all’uso di costumi in stile medievale, ma arricchiti di particolari come strani copricapi a uovo che implodevano sulle teste degli artisti. Le immagini dicono più e meglio di quanto possano le mie parole. Poi ho studiato attentamente il programma di sala con le note di regia: l’intento pare fosse quello di creare immagini di sapore pittorico sul modello dei dipinti allucinati di Hieronymus Bosch. Peccato che nulla della drammatica verve allucinata e visionaria del pittore apparisse su una scena per altro esteticamente decisamente brutta e per nulla utilizzata da un punto di vista drammaturgico, con i cantanti sempre in ribalta. Quando è necessario leggere le note di regia per comprendere quel cha capita in scena, la regia ha fallito. Come in questo caso. 

Più efficace e in sé risoluto risulta il “Wozzeck,” anch’esso diretto da Pappano, che predilige ritmi sostenuti e tinte forti, sacrificando il lirismo disperato di certi brani e momenti, come il finale. L’opera corre, anzi precipita di scena in scena, togliendo il respiro e creando un tormentato senso di ineluttabilità. La regia di Deborah Warner è minimalista come le scene di grande impatto per la loro natura visionaria di Hyemi Shin, illuminate con sapienza da Adam Silverman, in grado di conferire ora toni allucinati, ora piccoli squarci naturalisti. La regia funziona perfettamente nei cambi di scena, che risultano la parte più riuscita per l’impeccabile dinamismo, meno nella gestione e nello scavo psicologico dei personaggi. Christian Gerhaher è un inquietante e intenso Wozzeck, in grado di dispiegare un canto giustamente esasperato nello Sprechgesang di alcuni brani, allucinato e dolente. Meno convincente la Marie di Anja Kampe che, seppur eccelle in termini di condotta vocale, non “graffia” in termini di disperazione. Il personaggio appare piatto da un punto di vista interpretativo, senza le abissali inquietudini della creatura di Georg Büchner, riprese e ampliate da Alban Berg. Ottime le prove del Capitano di Peter Hoare, del Dottore di Brindley Sherratt e dell’Andreas di Sam Furness. Meno convincente il Tambur Maggiore di Clay Hilley e la Margret di Rosie Aldridge.

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Dal tempio della lirica spostiamoci a quello shakespeariano del Globe: la temperatura è differente, come l’atmosfera di una tradizione rinascimentale che rivive nella maestria di un continuo coinvolgimento del pubblico che, in piedi, oltre che sugli spalti, affolla l’area circolare del Globe. La “Commedia degli errori” nella regia scatenata di Sean Holmes offre agli spettatori tutta una gamma di cliché d’obbligo, ma eccezionalmente confezionati: irruzione degli attori su barche che attraversano la platea, costringendo il pubblico a muoversi, spostarsi e interagire con gli attori, anche tramite delle pedane che si proiettano oltre lo spazio della scena. Il ritmo è da capogiro, come richiede il testo, un congegno perfetto di equivoci e inganni. Gli attori danno tutti prova di una grande sapienza di recitazione, cifra vincente del teatro britannico che, a differenza di quello italico, conserva una scuola di altissimo livello. Matthew Broome e Michael Elchock si confrontano con una straordinaria somiglianza visiva nelle parti dei due Antipholus, distinguendosi abilmente per le caratteristiche di toni e ritmi, mentre George Fouracres e Jordan Metcalfe trascinano e coinvolgono il pubblico nel sub-plot dei due servitori. Su tutti spicca la recitazione Paul Rider nella parte di Egeon e di Philip Cumbus in quella del Duca. Eccellenti le interpreti femminili, Jessica Whitehurst come Luciana, Laura Hanna come Adriana, Phoebe Naughton come cortigiana. Il pubblico partecipa, ride, si diverte. Teatro d’antan, certamente, ma eccellente, divertente e coinvolgente. 

Passando all’ambito della sinfonica, al Barbican Centre la London Symphony Orchestra, una delle più prestigiose istituzioni attive dal 1904, offre un programma di altissima qualità. Si alternano direttori di grandissimo prestigio, quali Simon Rattle che, per il suo ultimo concerto come direttore musicale della LSO, ha reso omaggio a Olivier Messiaen, di cui è stata eseguita la “Turangalîla-Symphonie”, straziante e magnifica, e la prima assoluta di un brano del compositore newyorkese Betsy Jolas. Il “Conductor Laureate” della stessa orchestra, Michael Tilson Thomas, ha dedicato a Johannes Brahms un ciclo intero. Nel concerto per violino op. 77 ha guidato uno straordinario Christian Tezlaff, solista virtuoso nel suono brillante, eccezionale nella cadenza del primo movimento (quella di Joseph Joachim), nelle riprese del tema principale e in un esaltante rondò finale. Sempre nel segno di Brahms un altro concerto con una splendida esecuzione della prima Serenata. Su Brahms è ritornata Hélène Grimaud, con i tre intermezzi, cui ha fatto seguire una strepitosa esecuzione della chaconne di Bach trascritta da Busoni. La pianista francese, che ha suscitato una lunghissima standing ovation, è celebre per l’intensità e la sensualità delle sue interpretazioni, nonché per il suo impegno nei confronti dell’ambiente e delle criticità del nostro attuale mondo contemporaneo, mostrando una straordinaria sensibilità come essere umano oltre che un carattere da intensa e originale interprete. L’atteso concerto di Daniil Trifonov è stato cancellato per un’indisposizione e sostituito da un’esibizione mozza fiato di uno dei pianisti più eminenti del nostro tempo per musicalità, versatilità e tecnica, Peter Donohoe,  che con il suo humor britannico ha anche accompagnato con interessanti annotazioni le sue esecuzioni della Fantasia in do minore di Mozart, dei “Miroirs” di Ravel, del walzer in la bemolle, incastonato fra le variazioni su tema di Chopin di Ferruccio Busoni e la sonata numero 5 di Alexander Scriabin

Conclude questa serie di preziose gemme musicali l’esecuzione del “Trionfo del Tempo e del Disinganno” di George Frideric Händel, nell’eccellente esecuzione della Academy of Ancient Music, un’opera di rara esecuzione, contenente alcune delle melodie più grandiose di Handel, diretta da Laurence Cummings, che ha condotto in maniera dinamicamente effervescente alcuni dei più carismatici vocalist dell’attuale scena barocca, Sophie Junker nella parte di Bellezza, Anna Dennis in quella di Piacere, Nick Pritchard in quella di Tempo. Fra tutti eccelle il controtenore Reginald Mobley che ha conferito straordinarie sonorità alla figura del Disincanto. 

La pausa estiva delle maggiori istituzioni londinesi non penalizzerà l’effervescente scena off che prenderà il sopravvento con eventi in luoghi all’aperto, come parchi, giardini, e diverse altre località deputate a festival, come quelli dedicati all’immancabile Shakespeare e  ai linguaggi sperimentali della danza contemporanea. Londra non solo non dorme mai, ma non smette mai di vibrare in serate e notti di grandi spettacoli.

Ultima modifica il Sabato, 15 Luglio 2023 10:30

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